L'articolo che posto, di Maurizio Blondet, propone più di un tema di riflessione sull'argomento. So bene che molti diffidano di Blondet considerandolo un complottista, fascista, antisemita, e chi più ne ha..., ma mi pare innegabile la sua capacità di evidenziare e di saper mettere nella giusta successione una quantità di notizie che altrimenti rimarrebbero senza rilievo oppure prive di coordinazione e collegamento logico.
Dal sito Effedieffe:
Tre false flag firmati |
Martedì a Bangkok, un uomo che apparentemente ha un nome iraniano (Saeid Moradi) fa saltare per accidente la casa in cui abitava; ferito e sanguinante, cerca di salire su un taxi – che rifiuta di prenderlo in quello stato – e poi gli lancia contro una bomba a mano. Si mette a correre, la Polizia lo insegue, lui lancia un’altra bomba a mano contro gli agenti; l’ordigno rimbalza su un albero e scoppia vicino a lui, troncandogli le gambe.
Immediatamente, prima ancora che la Polizia thailandese abbia compiuto l’indagine, dalla lontana Israele, il ministro della guerra Ehud Barak si dice sicuro che l’individuo voleva colpire interessi israeliani o ebraici in Thailandia: «Il tentato attacco terroristico prova ancora una volta che l’Iran e i suoi complici continuano ad agire da terroristi, e gli ultimi attacchi ne sono un esempio».
Difatti, siamo (per ora) al terzo attentato che Israele dichiara avere la firma dell’Iran. Lunedì, a Nuova Delhi, un motociclista attacca una bomba adesiva ad un minivan dell’ambasciata israeliana; nell’esplosione restano ferite quattro persone, fra cui la moglie dell’attachè israeliano alla Difesa, che è ricoverata ma non in pericolo di vita.
«È l’Iran», accusa immediatamente Netanyahu.
Lo stesso giorno, a Tbilisi, capitale della Georgia, la Polizia disattiva un ordigno scoperto sull’auto di un impiegato dell’ambasciata israeliana. Le circostanze sono queste, secondo il ministero dell’Interno georgiano: «Un autista dell’ambasciata, cittadino georgiano, ha parcheggiato la vettura a 200 metri circa dall’ambasciata. Ha in seguito notato l’ordigno di fabbricazione artigianale attaccato al telaio dell’auto ed ha chiamato la Polizia». Nessun pericolo per nessuno.
«È un atto di terrorismo iraniano», accusa Netanyahu.
La conclusione mediatica politicamente corretta è: le sataniche menti degli ayatollah sono in grado di minacciare Israele e le sue ambasciate a livello veramente globale, ma per fortuna affidano il compito a dei terroristi cretini, o squilibrati mentali, che falliscono sempre.
Ma, prima di correre a tale conclusione, sarà bene rileggere un recente studio redatto nel 2009 dalla Brookings Institutions (una storica «fondazione culturale» americana finanziata da miliardari, come le altre), dal titolo significativo Which Path to Persia?, che possiamo tradurre più o meno così:
«In che modo attaccare l’Iran?», non è facile, ammette l’autore: «Sarebbe di gran lunga preferibile se gli Stati Uniti potessero citare una provocazione iraniana come giustificazione degli attacchi aerei, prima di lanciarli. Chiaramente, più l’azione iraniana sarà oltraggiosa, più sarà letale, meno provocata, e meglio saranno piazzati gli Stati Uniti. Naturalmente, sarà difficile attrarre l’Iran in questa provocazione senza che il resto del mondo riconosca il trucco, il che lo renderebbe inutilizzabile. Un metodo che avrebbe qualche possibilità di successo sarebbe di mettere in piedi dei tentativi occulti di ‘regime change’ nella speranza che Teheran compia rappresaglie apertamente o in modo semi-aperto, che potrebbe dunque essere dipinto come un atto non provocato di aggressione iraniana».
Brookings Institution’s 2009 Which Path to Persia? report, pagine 84-85.
Lo studio prosegue enumerando tutti i modi possibili di provocare Teheran: finanziare gruppi d’opposizione per rovesciare il regime, danneggiare l’economia iraniana, finanziare organizzazioni terroristiche perchè compiano attentati mortiferi all’interno dell’Iran. Attenzione però, dice lo studio, perchè i leader iraniani spingono la propria perfidia fino a «calcolare che recitare la parte della vittima sia il modo migliore per raggiungere il proprio fine, sicchè possono trattenersi dal rispondere con rappresaglie»
Brookings Institution’s 2009 Which Path to Persia? report, pagina 95.
Insomma, c’è qui un piano di provocazione «suggerito» al presidente, che somiglia molto al «consiglio» contenuto in un fatale documento, che una fondazione «culturale» chiamata Project for a New American Century (PNAC), nel 2000, mise nero su bianco per il presidente americano di prossima elezione. Lo studio si chiamava «Rebuilding the American Defense» (Ricostruire la difesa americana) e progettava un enorme riarmo, avvertendo però che non sarebbe stato facile convincere il contribuente americano a spendere tanto, «a meno che non si verifichi un evento catastrofico catalizzatore, una nuova Pearl Harbor».
La desiderata, auspicata e sospirata Nuova Pearl Harbor avvenne un anno dopo, con i mega attentati «islamici» alle Twin Towers e al Pentagono. A quel tempo, tre dei firmatari del «suggerimento» erano vice-ministri al Pentagono, gli ebrei Paul Wolfowitz, il rabbino Dov Zakheim e Douglas Feith, per non dire del «consulente speciale» Richard Perle, lo stratega dell’aggressione all’Iraq.
Quanto al PNAC, fra i suoi fondatori spiccano Dick Cheney (vicepresidente il giorno della Nuova Pearl Harbor), Donald Rumsfeld (al Pentagono lo stesso giorno), Jeb Bush, Richard Perle, Richard Armitage, John Bolton, tutti ebrei neocon e membri del governo Dubya Bush. (103 Suspected 9-11 Criminal Coconspirators)
Il presidente della PNAC è William Kristol, ebreo di origine russa ed ex trotzkista, direttore-fondatore di Weekly Standard nonchè firma della Fox News di Murdoch, una delle menti del movimento neoconservatore, pro-israeliano e sostanzialmente composto da ebrei.
Se ora guardiamo chi è l’autore dello studio (o suggerimento) della Broocking per attrarre l’Iran in qualche provocazione, il cerchio si chiude. Si tratta di un certo Max Boot, nato a Mosca da due genitori ebrei, poi trasferitisi a Los Agneles; una nullità che si autodefinisce «storico militare», Boot risulta in carriera in USA nei circoli neocon all’ombra della ex ambasciatrice Jeane Kirkpatrick (J), articolista del Weekly Standard (J) del sullodato Kristol, del periodico ebraico Commentary e del Wall Street Journal di Murdoch. Come portaborse della Kirkpatrick, Boot è entrato nel Council on Foreign Relations, trampolino di lancio per la carriera di opinion leader e per confricarsi con i potenti della politica e degli affari americani.
Date queste notizie, stupirà forse apprendere che Boot ha «sostenuto vigorosamente l’invasione dell’Iraq nel 2003», che «durante Piombo Fuso ha sostenuto che Israele era moralmente giustificata ad invadere la Striscia di Gaza», e che teorizzi «quel che chiama imperialismo americano basato sulla fondazione di nazioni e sull’espansione della democrazia»? Boot sembra una copia di Wolfowitz, solo un po’ più scemo.
Naturalmente, Boot è stato lesto a commentare gli attentati a Delhi e in Georgia, sull’ebraico Commentary, per spiegare a suo modo come mai tali attentati si risolvono in cilecche:
«...questi eventi debbono smentire coloro che sostengono l’idea che gli iraniani solo freddi e calcolatori seguaci della Realpolitick, che agiscono con tanta cautela da potersi fidare se avranno la bomba atomica. Al contrario: gli eventi degli ultimi due giorni mostrano che il regime iraniano, assumendo che sia il colpevole di questi attacchi, è capace di agire in modo contro-producente, irrazionale ma pericoloso». (Self-Defeating, But Dangerous Terror Acts)
Ragionamento di cui ciascuno può apprezzare la logica rigorosa. Ma il pensiero paranoico israelo-talmudico ci ha abituato a questo ed altro: tanto che si potrebbe addossare la pseudo-logica di Boot ad Israele e ai suoi sayanim sparsi nel mondo: basta sostituire «iraniani» con israeliani, e la logica fila molto meglio.
Resta il fatto che il documento della Brooking, ossia di Max Boot, fin troppo scopertamente consiglia di fare attentati false flag da attribuire poi a Teheran, onde giustificare l’aggressione militare contro l’Iran.
Assumendo ciò, ci si può domandare: perchè mai il regime dell’Iran dovrebbe compiere attentati a personale diplomatico stazionato in India, rovinandosi i rapporti con uno dei due Paesi (l’India e la Cina) che si sono rifiutati di obbedire alle sanzioni decretate da Washington? Anzi l’India ha aumentato gli acquisti del petrolio iraniano del 30%, e stretto un accordo fra i due governi che prevede il pagamento in rupie? (La prima idea del pagamento in oro è stata per il momento scartata).
Infatti il governo indiano non è cascato nella provocazione. Il ministro agli Interni RK Singh ha dichiarato che «non esiste prova del coinvolgimento di un qualunque Paese nell’attentato ad un diplomatico israeliano a Delhi. È prematuro fare il nome di un Paese qualunque».
Quanto all’attentato in Georgia, non c’è bisogno di ricordare che la Georgia è un Paese che dipende strettamente, per l’armamento e lo spionaggio, da Israele e da Washington: senza il cui appoggio, il «presidente» Saakashvili sarebbe da tempo ridotto a vita privata dai votanti georgiani. Un Paese-satellite nel vero senso del termine. Recentemente, Saakashvili ha incontratto il presidente Obama, discutendo con lui l’utilizzo del terriorio georgiano nella futura guerra contro l’Iran. Il ministro della Difesa georgiano, tale Bacho Akhalaia, ha annunciato l’arrivo di istruttori americani, esaltando la «alleanza» con la superpotenza, che – ha detto – «è entrata in una fase totalmente nuova».
Obama, in cambio, ha promesso a Saakashvili un generoso aiuto nelle elezioni che si terranno l’anno prossimo; e già oggi la Georgia, un piccolo Stato con 4,7 milioni di abitanti, è al terzo posto nella lista dei Paesi che godono di aiuti americani dopo Israele ed Egitto.
L’ex presidente georgiano Eduard Shevarnadze (già esponente del PCUS) ha commentato: «Non escludo che per conservare la poltrona, Saakashvili si unisca ad una campagna militare contro l’Iran, che sarebbe una catastrofe per il nostro Paese».
Si aggiunga che i fantomatici attentatori supposti iraniani avrebbero usato per i due mini-attentati a Delhi e Tbilisi bombe magnetiche, che aderiscono al metallo delle vetture: una tecnica facile, utilizzata dai terroristi anti-ayatollah del gruppo clandestino MEK per assassinare cinque scienziati iraniani che stavano lavorando al programma nucleare. Il MEK è addestrato, finanziato e rifornito dal Mossad.
Proprio a gennaio scorso il ministro degli Esteri iraniano ha convocato l’ambasciatore dell’Azerbaijan a Teheran, per deplorare l’uso del territorio che l’Azerbaijan consente «ai terroristi implicati negli assassini degli scienziati iraniani»; assassini che (evidentemente i servizi iraniani hanno notizie precise) «hanno ricevuto aiuti per viaggiare a Tel Aviv in collaborazione col Mossad». Anche l’Azerbaijan intrattiene relazioni molto strette con Israele, che ha lì alcune delle sue centrali di spionaggio; e come per caso, a gennaio anche lì sarebbe stato sventato un attentato contro interessi israeliani, su cui non si hanno ulteriori informazioni.
E inoltre, il 15 febbraio, il ministero degli Esteri iraniano ha espresso la sua volontà di tornare al negoziato sul programma nucleare con il gruppo detto 5+1 (USA, Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia e Germania).
Il passo diplomatico mostra con quanta attenzione Teheran, lungi dall’assumere un atteggiamento provocatorio, cerchi di scongiurare le provocazioni contro di sè. Teheran risponde agli atti aperti e occulti di aggressione diretti contro l’Iran – dalle sanzioni agli assassini mirati contro esponenti civili e militari, agli attentati esplosivi contro le sue infrastrutture, con estrema cautela e mitezza («fa la parte della vittima», direbbe Max Boot); per poi tentare di ammazzare la moglie di un diplomatico israeliano a Delhi, e piazzare una bombetta subito scoperta a Tbilisi?
Certo il problema degli attentatori e dei loro consiglieri è: come fare attentati anti-ebraici che colpiscano l’opinione pubblica mondiale, aizzandola contro l’Iran, senza però sterminare un adeguato numero di ebrei, cosa che il Talmud vieta? Questo è il meglio che riescono a fare: cilecche, la cui crudeltà immaginaria i media servili o posseduti avranno poi il compito di ingigantire.
Sì, quegli attentati false flag sono chiaramente firmati. Dal solo Paese che compia attentati all’estero, in tutto il mondo, in piena impunità. Ci sarebbe da ridere, se tutta questa faccenda non preparasse l’ennesima guerra con falsi pretesti contro un Paese debole e disarmato.
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