U.E. e dintorni

E' noto che il cittadino italiano medio non sa nulla dell'Unione Europea. L'Italia è probabilmente il Paese membro in cui si riscontra il più basso livello di cultura in tema di integrazione europea.
La scuola e le istituzioni si limitano ad una nauseante propaganda filoeuropeista totalmente priva di contenuti. I media non aiutano, anzi contribuiscono ad aumentare la confusione.
Andando coraggiosamente controcorrente, la testata Thule Italia (organo dell'omonima associazione culturale) ha pubblicato una serie di miei articoli destinati a divulgare notizie vere sul conto dell'U.E. in luogo delle fandonie raccontate dai media e dai canali di informazione e di istruzione ufficiali.
Inizialmente gli articoli dovevano essere quattro, poi sono diventati cinque, ora ce n'è un sesto in gestazione.
Poiché questi articoli sono stati ripresi e pubblicati, in modo casuale e disordinato, da vari siti, ritengo opportuno riunire qui di seguito i cinque finora apparsi per dare la possibilità di una lettura organica e continuativa.     
Nel farlo, mi sento in dovere, come Italiano e come Europeo, di ringraziare il mio Amico Gabriele Gruppo (esponente di spicco dell'associazione Thule Italia) e l'infaticabile organizzatore Marco Linguardo (Presidente della stessa) per la battaglia che quotidianamente conducono in difesa della Verità.


(da Thule Italia, sett.-ott. 2009)
UN "OGGETTO MISTERIOSO":
L'UNIONE EUROPEA
Parte prima: Introduzione.

Benchè la mia professione (sono avvocato) mi porti spesso a contatto con le norme comunitarie, confesso che fino a pochi anni or sono mi sono totalmente disinteressato dell’Unione Europea, limitandomi ad applicare, nell’attività lavorativa quotidiana, le regole e regolette che di volta in volta incontravo (direttive, regolamenti, ecc.), senza pormi particolari domande.
Per anni, insomma, mi sono comportato come la stragrande maggioranza degli italiani, per i quali l’Unione Europea è un oggetto assolutamente misterioso munito di un altrettanto misterioso “parlamento” per il quale ogni tanto si va a votare senza minimamente capire che cosa si vota.
Ho iniziato ad occuparmi di questo “oggetto misterioso” nel 2003-2004, in concomitanza con il dibattito sviluppatosi intorno alla legge di attuazione in Italia della decisione-quadro sul mandato d’arresto europeo[1]. Il mio interesse nacque (come spesso accade) dalla curiosità, poichè lessi alcune notizie giornalistiche che mi parvero quanto mai singolari ed alle quali, in quel momento, non riuscivo a credere. Lessi che con il mandato d’arresto europeo si poteva venire arrestati e condannati per azioni che non costituivano reato... lessi che si poteva venire processati (ad es.) a Stoccolma o a Lisbona per un fatto commesso a Roma... lessi che contro il mandato d’arresto europeo il cittadino non aveva alcuna difesa poichè il meccanismo della cattura era automatico ed insindacabile...
Ma figuriamoci, baggianate! Come potrebbe esistere una legge così strampalata – pensavo tra me -, una legge che inoltre contrasterebbe con la metà degli articoli della nostra Costituzione! Eppure i giornali riportavano dichiarazioni di autorevolissimi giuristi, i quali, anzichè sghignazzare come io avevo fatto, si mostravano estremamente allarmati: dall’ex Presidente della Corte Costituzionale Vincenzo Caianiello (che definiva il mandato d’arresto europeo una proposta “giacobina”, cioè tesa ad instaurare un clima di terrore istituzionalizzato) ai Presidenti dell’Unione delle Camere Penali Ettore Randazzo e Giuseppe Frigo, e così via.
E non solo, perché serie preoccupazioni provenivano anche da politici tutt'altro che "alternativi" al sistema, dai quali mai ci si sarebbe attesi una critica all'Unione Europea, quali ad es. Giulio Andreotti, Carlo Azeglio Ciampi (che aveva segnalato l'incompatibilità della decisione-quadro con la nostra Costituzione parlando al C.S.M. nella seduta del 29 ottobre 2003), Marcello Pera (il quale pochi giorni prima dell'intervento di Ciampi aveva sottolineato come le esigenze di sicurezza dopo i fatti dell'11 settembre 2001 non dovessero determinare l'adozione di provvedimenti pericolosi per la libertà dei cittadini) ed altri.
Insomma, che cosa diavolo stava accadendo?! Pareva che, mentre tutti ci preoccupavamo di scandalizzarci per il Patriot Act degli States e per l'inciviltà di Guantanamo, nel Vecchio Continente stesse per arrivare qualcosa di molto peggiore…
Ormai la curiosità era scattata, e così incominciai ad approfondire l’argomento. Documentandomi sul mandato d'arresto europeo e, più in generale, sull'U.E., ho scoperto una realtà sconvolgente, che supera ogni più cupa fantasia. Una realtà sconosciuta praticamente alla totalità dei cittadini.  
Ho raccolto e riassunto i risultati delle mie ricerche sul mandato d'arresto europeo in un breve scritto, di impianto volutamente divulgativo e compilativo, pubblicato all’inizio del 2007[2]. Ho cercato di spiegare la genesi e le ragioni recondite dell’euromandato e di evidenziare l’iniquità e l’ingiustizia sostanziale di una normativa che potrebbe stravolgere la vita di ciascuno di noi. Ho cercato di rendere noto ad un’opinione pubblica troppo distratta che il mandato d’arresto europeo è un’aberrazione giuridica che sotterra principi e garanzie fondamentali e potrebbe colpire chiunque.
Ho preso le mosse dalla dichiarata ed esplicitata volontà dell’U.E. di criminalizzare le opinioni e le voci non conformi al “pensiero unico”[3] (sottolineando il parallelismo tra questa politica e quella da cui sono nate le più scellerate leggi liberticide nazionali della recente storia europea), e ritengo di avere messo in luce “oltre ogni ragionevole dubbio” la strumentalità di una normativa introdotta (ufficialmente) per semplificare il sistema di consegna dei ricercati e condannati tra Paesi europei con finalità di lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata, ma in realtà funzionale all’instaurazione di un sistema di “censura continentale” mediante l’introduzione dei reati d’opinione, di “razzismo” e di “xenofobia”, che nulla c’entrano con la lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata.
In effetti, a dispetto di quanto affermavano i proponenti sforzandosi di banalizzare il problema, il mandato d’arresto europeo non garantisce una giustizia internazionale più efficiente: non si tratta di un sistema di estradizione semplificata, ma - come è stato definito - di una vera e propria "dittatura su base giurisdizionale", di uno strumento idoneo a perseguire senza remore l’omologazione culturale e delle idee.  
Dal mio succinto saggio emerge come la normativa sul mandato d’arresto europeo vada a stravolgere due parti delicate ed importantissime del nostro sistema processuale penale (quella relativa alla competenza del giudice e quella relativa alle garanzie in tema di estradizione, garanzie che vengono tutte, indistintamente, azzerate!) ed emergono le innumerevoli incompatibilità con la nostra Costituzione.           
Dalla ricostruzione dell’iter di promulgazione della legge italiana di recepimento della decisione-quadro (L. 69/2005) si comprende come il legislatore italiano abbia avuto ben presente il carattere illiberale, totalitario ed incostituzionale di questa normativa, ma, all’atto di recepirla, abbia ritenuto di poter attenuare tale carattere circondando l’articolato di limiti e di garanzie per il cittadino, ulteriori rispetto al testo dell’U.E., da quest’ultimo non previsti.
Questa “operazione attenuazione” – come è stato fin troppo facilmente immaginato – era destinata al più totale fallimento, sia perchè, così facendo, si attribuivano al giudice italiano poteri di cui questo non può disporre, e sia perchè è impossibile dare attuazione modificata o incompleta ad una decisione-quadro che il Paese stesso, in sede comunitaria, abbia accettato. Tale strumento normativo comunitario ha infatti carattere vincolante e, in caso di divergenza della legge interna rispetto a quella europea, il giudice nazionale ha l’obbligo di interpretare la normativa nazionale in funzione del contenuto e delle finalità della decisione-quadro[4]. Ed infatti, al termine del mio scritto, spiegavo come nei primi diciotto mesi di applicazione della legge italiana la giurisprudenza ne avesse già scardinato l’impianto garantista e – interpretandola in funzione della decisione-quadro – avesse rimosso alcune importanti barriere che tale legge aveva (invano) tentato di porre all’uso illimitato del mandato d’arresto europeo.
Concludevo anticipando che sicuramente anche le rimanenti parti della legge italiana difformi dalla decisione-quadro sarebbero state, prima o poi, minate dall’esigenza di offrire un’interpretazione conforme alla normativa comunitaria (come infatti è poi accaduto), ed infine commentavo: “In tutti i Paesi dell’Unione l’euromandato è pienamente operante. Ben presto – è solo questione di tempo – le limitazioni poste dalle leggi nazionali cadranno tutte, ad una ad una, ed il testo della decisione-quadro costituirà la sola normativa di riferimento. Garanzie elaborate nel corso di secoli di civiltà giuridica sono spazzate via da un’eurocrazia anonima, lontana, priva di legittimazione popolare, che opera secondo procedure sconosciute alla stragrande maggioranza degli europei. Non solo lo Stato rinuncia ad una delle sue prerogative inalienabili – la tutela dei propri cittadini all’estero – ma persino la difesa tecnica (l’“avvocato difensore”) è vanificata, poichè le modalità di consegna del ricercato seguono meccanismi così automatici che di fatto non c’è possibilità di difesa, ed infatti l’art. 12 della decisione-quadro non prevede la figura dell’“avvocato difensore” bensì quella del “consulente legale”!”.   
Il mio studio suscitava un certo interesse in ambienti culturali e politici di diverso orientamento, e non passava inosservato tra gli studiosi del diritto grazie all’attenzione dedicatagli dal prof. Augusto Sinagra, il quale prima lo citava in occasione di un noto convegno accademico[5], e poi si riferiva ripetutamente allo stesso in successive pubblicazioni scientifiche.
L’attenzione ottenuta mi procurava alcuni inviti a partecipare a convegni e conferenze sul tema dell'euromandato, sul tema delle leggi liberticide e, più recentemente, sul tema del Trattato di Lisbona, dandomi così la possibilità di divulgare (presso un pubblico purtroppo di nicchia, poiché la massa della popolazione continua a disinteressarsi di queste tematiche fondamentali) notizie vere sul conto dell'U.E. in luogo delle fandonie raccontate dai media e dai canali di informazione e di istruzione ufficiali.   
Sono ora grato a Thule Italia di offrirmi l'opportunità di una serie di articoli sulla Rivista dell'Associazione, mediante i quali cercherò di condurre il lettore alla scoperta di una realtà che - ne sono certo - lo stupirà e lo spaventerà quanto ha stupito e spaventato me.
Al prossimo numero della Rivista, dunque. 


(da Thule Italia, nov.-dic. 2009)
UN "OGGETTO MISTERIOSO":
L'UNIONE EUROPEA
Parte seconda: Nasce un nuovo Stato!

Per evitare di scivolare in discorsi eccessivamente astratti e teorici, è utile muovere dalla domanda più concreta e pragmatica di tutte: che cos’è l’Unione Europea? Che cosa vuole essere? Essa è stata creata per essere che cosa?
Sono certo che, tranne qualche lettore superpreparato, tutti gli altri risponderanno: è un ente sovranazionale, ad esempio come l’ONU o la NATO, un ente al quale gli Stati aderenti, in forza dei loro poteri, hanno attribuito competenze in alcune materie di interesse comune.
Questa risposta è completamente sbagliata. L’U.E nasce per essere un organismo di tipo statuale: uno Stato a tutti gli effetti, destinato a sostituirsi ai precedenti Stati nazionali. E di questo obiettivo non è mai stato fatto mistero, benchè esso sia ignoto alla gran parte dell’opinione pubblica.
L’idea di U.E. origina dalla critica del nazionalismo sviluppatasi nell’800, che porta con sè il rifiuto della sovranità degli Stati nazionali e l’idea del loro superamento. Uno dei “padri fondatori” dell’Europa unita, Altiero Spinelli, espone a chiare lettere questo concetto nel celebre Manifesto di Ventotene, scritto mentre era al confino nell’omonima isola, e la dottrina pubblicistica ha sempre definito l’U.E. come “un organismo autonomo ed indipendente”. cioè la medesima definizione utilizzata per gli Stati!    
Questa nozione è pacifica, e lo è “da sempre”. Recentemente mi è capitato sotto mano un testo universitario del 1967[6], la cui Premessa esordisce con le seguenti parole: “Le aspirazioni degli iniziatori del movimento di integrazione economica europea miravano, come è noto, a raggiungere, al di là della creazione di un mercato unificato, un obiettivo politico, che nella sua formulazione ideale, prevedeva la instaurazione, a livello europeo, di strutture analoghe a quelle di uno Stato...”. 
Nulla di strano, dunque, che (come meglio vedremo in uno dei prossimi articoli) nel corso degli anni l’U.E. abbia ritenuto di potersi auto-attribuire funzioni e poteri ulteriori, nuovi e diversi rispetto a quelli attribuitile dagli Stati membri attraverso i Trattati costitutivi: uno Stato sovrano decide autonomamente i propri poteri, non attende che gli vengano conferiti!
Venendo a fatti recenti, un episodio dal quale è emerso in modo eclatante il carattere statuale dell’U.E. è stata la decisione di dotare la stessa di una Costituzione, per la redazione della quale fu creata una Commissione (assemblea costituente) presieduta da Giscard d’Estaing e Giuliano Amato. La Costituzione fu poi affossata dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi, ma – indipendentemente da tale fallimento - il significato rimane: gli Stati si dotano di una Costituzione (tant’è vero che può dirsi che non esiste Stato senza Costituzione), mentre gli enti sovranazionali, o comunque non statuali, non hanno Costituzione, tutt’al più hanno una statuto o un atto costitutivo!
Avere scritto la Costituzione dell’U.E ha significato affermare il suo carattere di Stato.
Ora, il punto è che, come insegna il diritto pubblico e costituzionale, due enti sovrani (cioè due Stati) sul medesimo territorio non possono coesistere: quindi, o sono sovrani gli Stati nazionali europei, e allora non lo è l’U.E.; oppure lo è questa, e allora non lo sono più gli Stati nazionali, riducendosi essi a strutture amministrative territoriali dello Stato U.E.[7]. La “nascita” dello Stato U.E. non può non provocare, istantaneamente, la “morte” dei vecchi Stati, e questo significa la soppressione dei loro poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, venendo tali poteri monopolizzati, per tutto il territorio europeo, dal nuovo Stato U.E. 
Questo è un grosso problema, e non solo per motivi sentimentali o affettivi verso le care, vecchie “patrie”: quel che allarma non è solo il pregiudizio al concetto “ideale” di sovranità degli Stati nazionali, ma anche e soprattutto il pregiudizio concreto a quelle garanzie per i cittadini che la sovranità degli Stati porta con sè. La critica al nazionalismo e agli Stati nazionali, di cui si è fatto cenno, sviluppatasi nell’800 ma proseguita anche nel 900 e spesso affiancata dalla critica alla democrazia, si regge su motivazioni in parte condivisibili, ma, se vogliamo fare un discorso politicamente realistico, non possiamo negare che quei “pessimi soggetti” che sono gli Stati nazionali, calati nella carne e nel sangue della Storia, hanno spesso dato ottima prova di sè, costituendo barriere fondamentali per la difesa dei diritti dei popoli. Ed in un’epoca di globalizzazione, di disorientamento, di sbandamento come la presente, continuano – pur con tutti i loro limiti ed inefficienze – a rappresentare gli unici presidi di cui il cittadino può disporre di fronte all’aggressione cosmopolita, così come di fronte alla quotidiana aggressione dei diritti individuali.      
Rinunciare ad essi in favore di un nuovo unico Stato europeo è quindi una scelta epocale che dovrebbe essere accuratamente studiata, discussa, condivisa, ed altrettanto importante sarebbe conoscere ed approvare quel “nuovo” che andrà a sostituire il “vecchio”, cioè la struttura dell’U.E., i suoi organi, i suoi poteri, il bilanciamento tra essi, i fini che essa si pone, ecc. Sappiamo invece che nulla di tutto ciò è accaduto: nessuno ha chiesto ai popoli del Vecchio Continente, ad esempio, quali principi e quale ideologia dovranno reggere il nuovo Stato europeo, oppure come questo dovrà collocarsi nello scacchiere geopolitico, oppure ancora se esso dovrà privilegiare a-moralmente l’efficientismo liberal-capitalistico a discapito dei diritti sociali o viceversa, e così via. Parimenti, pochissimi cittadini europei (praticamente nessuno) sanno come è strutturata il meccanismo di formazione delle decisioni all’interno dell’U.E., ben pochi sanno che il Parlamento Europeo (unico organismo dell’Unione eletto direttamente da popolo) è pressochè privo di potere e che la potestà legislativa è concentrata nelle mani di organi (il Consiglio e la Commissione) sforniti di legittimazione popolare, il cui operato è insindacabile e che sono privi di qualsiasi responsabilità per il loro operato. E naturalmente nessuno conosce i nomi degli oscuri burocrati che costituiscono i gruppi di lavoro della Commissione, i quali scrivono le future leggi dell’Europa, oppure i nomi dei giudici della Corte di Giustizia, il cui potere è ormai sconfinato.
Insomma, tutto viene calato dall’alto, deciso ed imposto ai popoli europei prescindendo dalla loro volontà, dalla loro approvazione e persino dalla loro consapevolezza.
Ora, la domanda che logicamente, a questo punto, il lettore dovrebbe porsi è: ma questo scenario descrive un futuro ipotetico, ancora di là da venire ed ancora contrastabile, oppure descrive una realtà già in atto?    
Per rispondere a questa domanda bisogna fare un passo indietro, e tornare al 2005, cioè alla bocciatura della Costituzione europea a seguito dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi.
Infatti, in quel momento l’Unione aveva già acquisito, attraverso una lunga e complessa serie di operazioni politiche e giuridiche, assoluta supremazia sugli Stati nazionali, i quale dovevano adeguarsi alla sua legislazione e alla giurisprudenza della sua Corte di Giustizia[8] sotto minaccia, in caso di inadempimento, di sanzioni di vario genere, ma mancava ancora un “atto di nascita” ufficiale per il nuovo Stato, un’investitura definitiva.  
La Costituzione rappresentava il “piano A” per sancire formalmente la nascita del nuovo Stato, ma il Consiglio Europeo aveva già pronto, per il caso di insuccesso, il “piano B”: ripresentare il contenuto del testo costituzionale sotto forma di “trattato di riforma dei trattati” (cioè di riforma del Trattato di Maastricht e del Trattato di Roma del 1957), pervenendo così al medesimo risultato mediante l’approvazione di un documento che, non avendo apparentemente natura costituzionale, sarebbe stato ratificato semplicemente dai parlamenti o dai governi nazionali senza necessità di referendum.  
Il Consiglio Europeo avviava dunque il “piano B” in occasione della sua riunione a Bruxelles il 21-22 giugno 2007, ed il testo del “trattato di riforma dei trattati” era varato, durante il periodo di presidenza portoghese, dal Consiglio stesso riunito a Lisbona il 19 ottobre 2007: nasceva così il Trattato di Lisbona, per l’approvazione (obbligatoria) del quale da parte dei singoli Stati erano prestabiliti tempi rigidi e ristretti, secondo lo stile prepotentemente dirigista che da sempre contraddistingue l’operato dell’Unione. Per la maggior parte degli Stati, il testo era indiscutibile ed immodificabile; solo ad alcuni (quelli politicamente più forti ed autorevoli, come ad es. la Gran Bretagna) era riconosciuto il diritto di esercitare i c.d. “opting out”, cioè di svincolarsi da alcuni degli obblighi prestabiliti.
Allo scopo di garantire la ratifica senza che venissero sollevate contestazioni, fu redatto un testo inverosimilmente lungo (centinaia di pagine) e complicato, praticamente ogni riga del quale costituisce un rinvio ad altri documenti e ad altri testi legislativi: un testo cioè illeggibile ed incomprensibile. E’ bene chiarire che questa non è una mia opinione personale ma un fatto oggettivo. Infatti, il carattere volutamente illeggibile del testo del Trattato è stato ufficialmente e pubblicamente dichiarato da Giuliano Amato durante un discorso al Centro per la Riforma Europea a Londra il 12 luglio 2007. E che la scelta del formato “trattato di riforma dei trattati” sia stata dettata unicamente dalla volontà di evitare nuovi referendum (cioè di dare al popoli europei il potere di decidere) è stato – parimenti – dichiarato in via ufficiale da Giscard D’Estaing durante un incontro pubblico il 27 ottobre 2007; è dunque certo e non opinabile che i Capi di Stato e di Governo, i quali costituiscono il Consiglio Europeo, che hanno dato il via libera al Trattato di Lisbona hanno perseguito, in via primaria, un obiettivo: evitare di dare la parola ai cittadini, compiendo ogni acrobazia per aggirare lo spettro di nuovi referendum.           
Il carattere arrogante ed illiberale del modus operandi dell’Unione ha suscitato lo sconcerto della migliore dottrina internazionalistica. Ricordiamo le parole del prof. Tesauro, ordinario di Diritto comunitario presso l’Università di Napoli: “dopo tanto parlare di metodo democratico e trasparente, di partecipazione di tutte le categorie alla nascita di una nuova Europa, ecco un diktat di una élite minima che, nella più rigida tradizione direttoriale, impone un testo di revisione dei trattati esistenti, fin nei minimi dettagli, ed espressamente ammonisce a non cambiare neanche una virgola.[9].  
Uno dopo l’altro, gli Stati, obbedienti, hanno ratificato. Il Parlamento italiano l’ha fatto, con gradissimo giubilo di Napolitano e Fini, l’8 agosto 2008: voto favorevole all’unanimità, nessun contrario, nessun astenuto. Prima del voto, nessun dibattito, nessuna prima serata televisiva. Il voto con il quale veniva messo in liquidazione lo Stato italiano è passato quasi inosservato. In quel momento, tutti i parlamentari hanno tradito il popolo italiano, posto che tra i poteri del singolo parlamentare non rientra certo quello di deliberare l’estinzione dello Stato, e ritengo ragionevole sostenere che il Presidente della Repubblica, controfirmando la relativa legge, verosimilmente si sia reso responsabile del reato di alto tradimento e di attentato alla Costituzione (art. 90 Cost.). Ma è un reato per il quale dovrebbe essere giudicato... dal Parlamento!
L’unico intoppo proveniva dall’Irlanda, la cui legislazione interna impone comunque il referendum, benchè il testo da approvare non abbia carattere formale di Costituzione. Il primo referendum, celebratosi nel 2008, si concludeva con una clamorosa vittoria del no, ma l’intoppo era veramente troppo modesto per fermare la macchina. Il 2 ottobre 2009 si è rivotato ed ovviamente, prima ancora dell’inizio dello scrutinio delle schede, è stata annunciata la vittoria del sì... Nel momento in cui sto scrivendo mancano ancora le adesioni della Polonia e della Repubblica Ceca, le quali hanno già annunciato che attendevano solo l’esito del referendum irlandese e che la loro ratifica non tarderà.    
Ed ecco allora che possiamo rispondere alla domanda del lettore: lo Stato U.E. non è un’ipotesi futuribile, esso è già – almeno dal 2 ottobre 2009 - una realtà. La sovranità sul continente europeo e sui popoli europei, già ora, non è più in capo agli Stati nazionali bensì è in capo allo Stato U.E., del quale siamo tutti cittadini, o, se preferite, sudditi. Proprio nel momento in cui i nostri politicanti si riempiono la bocca parlando di costituzione repubblicana e di festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, lo Stato Repubblica Italiana è cessato, tutti i poteri e le funzioni che caratterizzano la sovranità sono stati trasferiti all’U.E.         
Ma – al di là della perdita delle sovranità nazionali - che cosa stabilisce esattamente il Trattato di Lisbona? Lo esamineremo sul prossimo numero della Rivista.


(da Thule Italia, gen.-febb. 2010)
UN "OGGETTO MISTERIOSO":
L'UNIONE EUROPEA
Parte terza: Il Trattato di Lisbona.

Sullo scorso numero della Rivista abbiamo ripercorso l'iter politico che ha condotto all'approvazione del Trattato di Lisbona, ed abbiamo visto che questo atto segna la cessazione della sovranità dei singoli Stati nazionali europei, in favore di una nuova entità statuale: lo Stato Unione Europea.
Abbiamo visto che l'operazione era stata imposta con criteri rigidamente e prepotentemente dirigistici dall'alto, evitando possibilità di intervento dell'opinione pubblica, e che  l'ultimo ostacolo che si frapponeva all'attuazione di tale progetto era costituito dal (secondo) referendum irlandese del 2 ottobre 2009: ostacolo peraltro superato con estrema facilità, mentre gli ultimi due Stati che ancora dovevano aderire (Polonia e Repubblica Ceca) avevano già dichiarato che avrebbero provveduto a breve.
Così è stato, e dal 1°.12.2009 il Trattato è ufficialmente e formalmente operativo: di fatto, esso è la Costituzione del nuovo Stato.
Ci eravamo lasciati, al termine dell'articolo, ripromettendoci di esaminare, su questo numero della Rivista, che cosa stabilisce esattamente il Trattato. E' questo, peraltro, compito arduo, poiché, come già si è spiegato nel precedente articolo, il testo del Trattato (che sostanzialmente recepisce pressochè tutto il contenuto della Costituzione bocciata dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi) è inverosimilmente lungo, complicato, volutamente illeggibile ed incomprensibile[10], suscettibile di infinite interpretazioni ad applicazioni. Questa difficoltà di lettura del testo del Trattato è, evidentemente, anche una difficoltà di esposizione, ed infatti dal 2007 ad oggi si è scritto tutto ed il contrario di tutto sul Trattato di Lisbona, vi sono stati visti i contenuti più disparati e contrastanti. Ancora recentemente, ad esempio, dopo il referendum irlandese, si è letto un comunicato della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea che loda l’esito del referendum affermando che il Trattato conterrebbe dei principi che, in realtà, gli sono totalmente estranei! Difficile dire se quei Vescovi fossero solo ignoranti o non piuttosto in mala fede...      
Proviamo dunque e cimentarci nella non facile impresa di delineare in sintesi il punti salienti del Trattato, e, quindi, i tratti fondamentali dello Stato U.E. del quale, oggi, tutti facciamo parte.
Per quanto riguarda gli organi e la ripartizione del poteri, nulla muta rispetto ad oggi: i poteri legislativo ed esecutivo rimarranno concentrati nelle mani di organi privi di legittimazione popolare. La Commissione europea, che proporrà le leggi, non è eletta da noi; il Consiglio, che voterà le leggi, non è eletto da noi.
Il potere giudiziario sarà assegnato alla Corte di Giustizia, i cui giudici, parimenti, anch’essi non sono eletti dal popolo. Si tratta, per capirci, di quella medesima Corte che alcuni anni or sono approvò l'arresto del giornalista Hans-Martin Tillack, "reo" di avere denunciato, al termine di una coraggiosa inchiesta giornalistica, lo scandalo Eurostat (fondi neri all'agenzia di statistica dell'Unione, all'epoca in cui Romano prodi era Presidente della Commissione). Ogni commento è superfluo…
Lo Stato sarà rappresentato verso l’esterno da un Presidente che – inutile dirlo – non sarà eletto dai cittadini. 
Ne emerge l’immagine di uno Stato rigidamente oligarchico, gestito da una minuscola elite che non risponde ad alcuno del suo operato, mentre i cittadini europei continueranno ad eleggere un Parlamento le cui funzioni (meramente consultive e non vincolanti), rispetto alle attuali, muteranno assai poco ed in misura non significativa.
Saranno istituite una Procura europea ed una Polizia europea (Europolice) ed il nuovo Stato avrà una sua legislazione penale. Sicuramente proseguirà la promulgazione, già ampiamente avviata, di leggi liberticide che – come già oggi – tenderanno a controllare e ad omologare le opinioni e le idee, mentre l'assenza di attenzione per i fondamentali diritti di difesa è già oggi ampiamente dimostrata dagli aberranti meccanismi del mandato d'arresto europeo. Intorno a questa deriva illiberale l'opinione pubblica e la stampa britanniche stanno manifestando serissime preoccupazioni, come meglio vedremo in uno dei prossimo articoli.   
La politica economica sarà retta dal principio della “libera concorrenza senza distorsioni”. E’ l’applicazione della dottrina del liberal-capitalismo, che esclude la possibilità di interventi correttivi degli organi pubblici e che arriva al punto, nel capitolo del Trattato sul diritto di sciopero, di sancire il divieto di tale diritto se ostacola (testualmente) “il libero movimento dei servizi”: formula vaghissima nella quale può rientrare di tutto! Questo divieto fa il paio con una sorprendente norma che, in caso di sommosse o insurrezioni, legittima da parte delle forze dell’ordine (e dell’esercito) l’uccisione dei partecipanti! Una norma decisamente ancora da indagare a fondo[11].
Quel che è certo, è che sicuramente è lecito attendersi una normativa sociale e di tutela dei lavoratori assai meno incisiva di quella attualmente in vigore in Italia. E’ prevedibile la liberalizzazione dei salari. E se un Paese membro deciderà di intervenire in favore dei propri cittadini in un momento di crisi, ad esempio aumentando l'occupazione pubblica (alla New Deal di Rooswelt), sarà sanzionato! Peraltro, si sa, una massa di forza-lavoro sradicata ed apolide è quanto di più gradito all'imprenditore transnazionale, ormai apolide anch'esso…  Con la tutela dei lavoratori, cade un altro caposaldo della nostra civiltà.
La politica monetaria ovviamente appartiene alla competenza esclusiva dell'U.E., di cui la Banca Centrale diviene un'istituzione indipendente da ogni organo politico, così ufficializzando la dittatura monetaria già in atto[12].
Da un punto di vista ideologico, basti ricordare che il Trattato dà forza giuridica obbligatoria alla Carta di Nizza del 2000 (che costituisce il cuore della nuova costruzione europea), cioè il documento, aspramente criticato da Giovanni Paolo II, che non considera la sessualità un dato di natura ma una scelta culturale soggettiva e che dissocia il concetto di famiglia da quello di matrimonio tra uomo e donna, aprendo la strada alle unioni omosessuali con pari diritti (compresa l’adozione di bambini) rispetto a quelle tradizionali. Nulla muta rispetto ai tradizionali orientamenti dell’U.E. favorevoli all’aborto ed all’eutanasia.
La politica estera sarà affidata ad un “Alto Rappresentante per gli affari esteri”, e l’Unione potrà decidere interventi militari, non solo con carattere difensivo ma anche offensivo. Gli ex Stati nazionali perderanno quindi anche la loro indipendenza militare. E nulla permette di escludere la leva obbligatoria europea. E’, questo, un altro capitolo assolutamente sconcertante, ma il nodo centrale rimane sempre quello del controllo sulle decisioni. Può anche essere utile un esercito europeo ed una politica estera e militare unitaria (anzi, quante volte abbiamo detto che sarebbero auspicabili!), però questa politica deve essere orientata a favore dei popoli europei, i quali devono poterla vagliare e devono poterla approvare o bocciare. In un meccanismo assolutamente non democratico come quello dell'Unione, questo controllo non esiste. Il rischio di andare a combattere le "guerre degli altri" perché così "qualcuno" ha deciso non è solo teorico…  
Ovviamente la sovranità nazionale cesserà anche in materia fiscale (con conseguente impossibilità di attuare il federalismo fiscale di cui tanto blatera la Lega Nord) ed in materia di immigrazione: l’Unione avrà frontiere esterne comuni e deciderà chi potrà entrare e chi no, senza possibilità per i cittadini di fare sentire la loro opinione. Lo scenario che si profila è molto triste. L'Unione ha già ampiamente dimostrato di non avere alcun interesse per la tutela dell'identità europea e dei nostri valori culturali tradizionali, fondanti. E poi, si sa, l'immigrazione giova al grande capitalismo (i "nuovi schiavi", no?). Insomma, esistono tutte le premesse per attenderci la costruzione su base continentale di quella "società multietnica" che è già clamorosamente fallita a livello nazionale.
Un ennesimo aspetto ancora da approfondire ma già ben presente nel Trattato è il potere dell'U.E. di disporre liberamente delle ricchezze naturali dei Paesi membri: ad esempio, l'Italia potrebbe essere obbligata a fornire risorse energetiche al altri Paesi…! La giustificazione è una generica "solidarietà" tra i Paesi, che in sé e per sé sarebbe anche una bella cosa, però è inquietante l'idea di andare ad incidere su assetti consolidatisi nel corso dei secoli, anzi dei millenni, con un colpo di spugna del quale non è possibile prevedere le conseguenze… anche perché non è dato sapere con quali criteri verranno assunte simili decisioni, e nell'interesse di chi!
Credo che queste poche righe siano sufficienti per delineare lo scenario. Ci stanno imponendo livelli di dispotismo inimmaginabili, che in altre epoche avrebbero provocato rivoluzioni[13]. E' questa l'Europa dei banchieri e dei mercanti. E' l'Europa, senza etica e senza morale, utile al grande capitale che non vuole vincoli.
Ce l'hanno costruita addosso. E noi non ce ne siamo accorti. 
Ma purtroppo i temi che dovremo affrontare nei prossimi articoli non saranno più frivoli. Anzi, se possibile, saranno ancora più inquietanti.
     

(da Thule Italia, mar.-apr. 2010)
UN “OGGETTO MISTERIOSO”:
L’UNIONE EUROPEA
Parte quarta: Le leggi liberticide.

Al termine del precedente articolo dedicato all’Unione Europea, sul numero scorso della Rivista, preannunciavo che, terminata la disamina del Trattato di Lisbona, altri temi assai inquietanti vi erano ancora da affrontare, temi che dovrebbero allarmare e mobilitare l’opinione pubblica, se questa non fosse ormai cloroformizzata da un sistema mediatico, educativo e culturale capace di distogliere la sua attenzione dalle questioni vitali intorno alle quali ruota il futuro della nostra civiltà.
Ed infatti mi occupo su questo numero di un argomento che non esito a definire raccapricciante: quello della leggi liberticide, cioè di quelle leggi che, promulgate con il pretesto ipocrita di difendere talune minoranze, perseguono l’obiettivo dell’imposizione del “pensiero unico” e così sanciscono progressivamente la morte della libertà di parola, di opinione, di pensiero. Infatti, con tali leggi viene vietata qualsiasi critica al modello di società (multietnica, a-culturale, a-etica, a-morale ed a-valoriale) oggi gradito ai “vincitori”. Sono leggi (qualche esempio è utile per inquadrare il fenomeno) che hanno portato alla condanna di esponenti di un partito politico italiano che si erano opposti alla costruzione di un campo nomadi nella loro città, alla condanna di Brigitte Bardot (sì, proprio lei, la “divina” B.B.!) per avere lamentato l’eccessiva presenza di immigrati islamici in Francia, alla condanna di una signora francese rea di avere preferito, quale acquirente di un suo immobile nella periferia di Parigi, un cattolico ad un non-cattolico, e così via.  
E non esagero quando collego questo tema al futuro della nostra civiltà: che cos’è mai, infatti, l’Europa senza libertà? Una dittatura internazionale imposta dai padroni del mondo! Come non sottoscrivere allora le parole di Horst Mahler (storico attualmente in carcere in Germania) quando afferma che queste leggi annientano l’entità spirituale di un popolo?
Tutti sanno che l’Europa è percorsa da una ragnatela di leggi liberticide. Ogni Paese ha la sua brava legislazione c.d. “antidiscriminatoria”, che, nella maggior parte dei casi, contiene anche il divieto di ricerca storica sulla Shoa quando non, più in generale, il divieto di ricerca storica sull’epoca del Nazionalsocialismo e della II Guerra Mondiale. Si è incominciato con la legge Fabius-Gayssot in Francia (anno 1990), norma totalitaria perchè, non solo ha introdotto il reato di opinione, ma altresì ha creato un autentico clima di terrore psicologico. L’Austria non si è fatta attendere, nel 1992 ha previsto il carcere fino a 20 anni (sì, avete letto bene: 20 anni) per chi “minimizzi” l’Olocausto[14]. Verrà poi, in Germania, la legge Deckert, che punisce con il carcere fino a 5 anni chi “approvi o neghi” atti compiuti dal governo nazionalsocialista: in realtà, l’applicazione pratica (ampissima e frequentissima) della legge dimostra che si punisce non solo chi “approva o nega”, ma anche chi fa semplicemente ricerche storiche sul Nazionalsocialismo[15]. Ben presto sono seguite analoghe leggi in Belgio, in Spagna, in Romania... Il numero di storici condannati per il reato di “revisionismo” (cioè rei di avere fatto ricerca storica) è ormai elevatissimo.
In Italia abbiamo la legge Mancino (1993), che criminalizza l’idea che tra gli esseri umani esistano differenze basate sull’etnia e sulla religione, ma che, curiosamente, “dimentica” di punire il revisionismo storico. Più volte è stata proposta un’integrazione che completasse la legge, ma non si è mai arrivati al voto parlamentare.
In anni più recenti, hanno avuto grande successo in tutta Europa leggi che hanno esteso la normativa antidiscriminatoria agli “orientamenti sessuali”[16]. In Italia ci siamo risparmiati per pura fortuna la legge sull’omofobia nella versione del centrosinistra, ma stiamo pur certi che prima o poi passerà la versione del centrodestra. E da quel momento ogni manifestazione del pensiero non elogiativa sul conto degli omosessuali (come ad es. definirli pervertiti, oppure sostenere che non hanno il diritto di sposarsi o di adottare bambini) sarà reato.
Tutti conoscono queste leggi, ma ben pochi sanno – e vengo finalmente al punto – che dietro questo orientamento normativo così diffuso e radicato si cela, da almeno dieci anni a questa parte, una regia ben precisa: quella dell’U.E.. Infatti, come  ho già accennato nell’articolo apparso sul numero di sett.-ott. 2009 della Rivista, vi è stata, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del decennio successivo, tutta una serie di atti programmatici dell’Unione univocamente orientati verso l’introduzione della censura su tutte le manifestazioni di idee e convincimenti non conformi al “pensiero unico”. Questo indirizzo dell’Unione si è poi attuato con alcune decisioni-quadro, le più significative delle quali sono state quella del 2002 sul mandato d’arresto europeo e quella del 2008 sulla lotta “mediante il diritto penale” del razzismo e della xenofobia.
Sul mandato d’arresto europeo si è scritto molto, ed io stesso ho evidenziato che uno dei “nodi” della decisione-quadro sull’euromandato è proprio l’estensione a tutti i Paesi europei dei reati di opinione: l’U.E. vuole (esplicitamente) criminalizzare, non solo la propaganda delle idee, bensì anche i “convincimenti”, cioè le idee in sè e per sè. Fedele alla sua mission, questa normativa si è già rivelata uno strumento docile, efficiente ed efficace, producendo (nel più assoluto ed agghiacciante silenzio del media italiani) l’arresto di un significativo numero di studiosi, intellettuali e comuni cittadini rei di “reati di pensiero”. Particolarmente eclatante il caso dello storico Fredrick Toeben, arrestato in Inghilterra a seguito di richiesta di consegna proveniente dalla Germania per avere espresso idee che costituiscono reato in Germania ma non in Inghilterra. E per chi pensa che i timori da me espressi siano eccessivi, trascrivo un breve passo dell’articolo, a firma di Frances Gibb, pubblicato sul Times del 2.10.2008: “Lord Filkin, all’epoca Ministro dell’Interno, disse – quando il mandato d’arresto europeo venne sottoposto all’esame del Parlamento – che nessuno sarebbe stato estradato per comportamenti giudicati legali in Inghilterra. Lo spettro del reato d’opinione ritorna ad aggirarsi in Inghilterra.”.
Proprio perchè il tema del mandato d’arresto europeo è ormai noto e mi sono già soffermato, sia pure brevemente, su di esso in un precedente numero della Rivista, riterrei più utile informare ora il lettore in merito alla decisione-quadro del 2008 sulla lotta “mediante il diritto penale” del razzismo e della xenofobia.
Attraverso tale strumento, l’Unione, con il suo usuale atteggiamento dirigistico e dittatoriale, pianifica ed impone ad ogni Paese europeo una normativa antidiscriminatoria uniforme, e stabilisce anche termini assai ristretti per il recepimento (obbligatorio, ovviamente) della decisione-quadro: entro il 28.11.2010. Le previsioni della normativa comunitaria sono assai complete, ed andranno quindi a colmare tutte le lacune delle singole legislazioni nazionali. Sarà vietato sostenere differenze tra gli esseri umani (e quindi la necessità o opportunità di trattamenti differenziati) non solo sulla base dell’etnia, ma anche sulla base della religione e del “credo”. Sarà vietata anche la semplice distribuzione di pubblicazioni che espongano tali idee. Sarà naturalmente vietato il revisionismo storico in tema di Shoa e di altri crimini di genocidio fissati dagli organi competenti. Saranno punite non solo le persone fisiche, ma anche le persone giuridiche, aprendosi così agevolmente la strada allo scioglimento di partiti e associazioni non “allineati”. Le pene detentive andranno da uno a tre anni.
Con questa normativa, l’U.E. mette in atto definitivamente e magistralmente un regime di “polizia del pensiero” che solo Orwell aveva avuto la capacità di prevedere. Ormai siamo ben oltre i reati d’opinione: nel tradizionale reato d’opinione, quest’ultima ha pur sempre bisogno di realizzarsi in una condotta, e ciò che viene punito è la condotta, non l’opinione in sè. Emblematico l’esempio della legge Scelba: viene punta la ricostituzione del Partito Fascista, non l’idea della bontà dell’operato del Fascismo. Con la nuova nozione di reato di pensiero, invece, viene punita la libertà di pensare, e quindi, come dicevamo, viene considerato il pensiero stesso, in sè, reato! O meglio: psicoreato. Citiamo Orwell: “il crimine fondamentale che contiene in sè tutti gli altri, il crimine del pensiero, lo psicoreato”.
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Con questo quarto articolo, ritengo di avere completato una “carrellata” di massima per fornire al lettore un’idea generale di ciò che è l’Unione Europea. Ho cercato di anteporre l’esposizione di fatti oggettivi alle mie idee personali. L’illustrazione è stata necessariamente poco approfondita: non avrebbe potuto essere diversamente, poichè una disamina analitica dei temi trattati avrebbe richiesto una quantità di spazio e di tempo improponibile sulle pagine della Rivista.
Se i lettori desiderano che qualche argomento (già trattato o non trattato) in tema di U.E. venga esaminato sui prossimi numeri, sono a disposizione, nei limiti della mie competenze e dei miei studi in materia, per accogliere il suggerimento.
  
       
(da Thule Italia, gen.-febb. 2011)
      DAL TRATTATO DI LISBONA AL LISSABON URTEIL

Con quattro articoli pubblicati sulla Rivista tra la seconda metà del 2009 e la prima metà del 2010, ho sottoposto ai lettori un quadro realistico, per quanto estremamente sintetico, di ciò che l'Unione Europea è e vuole essere. Non sono entrato nel merito delle motivazioni economiche che reggono l'Unione (poiché queste esulano dalle mie competenze), bensì ho evidenziato come, da un punto di vista del diritto costituzionale e del diritto internazionale, essa rappresenti una realtà profondamente diversa rispetto all'immagine falsa e deformata che ci viene propinata dai media. Ho evidenziato, in particolare, come l'U.E. sia a tutti gli effetti uno Stato sovrano e come i Paesi membri altro non siano che articolazioni territoriali di quello Stato; ho evidenziato come l'U.E. si auto-attribuisca i propri poteri senza aspettare che le vengano conferiti da altri (atteggiamento peraltro perfettamente coerente con la sua natura di Stato sovrano); ho evidenziato come gli organi decisionali di questo nuovo Stato - cioè gli organi legislativo, esecutivo e giudiziario - siano privi di legittimazione popolare (poiché non eletti dal popolo), privi di responsabilità (non dovendo rispondere ad alcuno delle loro azioni), svincolati da ogni controllo, mentre il loro operato difetta totalmente della trasparenza che deve accompagnare ogni potere. Insomma, una minuscola oligarchia autoreferenziale che ha saputo acquisire un potere assoluto su ogni cittadino europeo.
Per esperienza, so che quando entro nei dettagli di questo scenario, spesso i miei interlocutori (magari istintivamente euroscettici, ma non a conoscenza dei particolari tecnici) rimangono perplessi ed increduli e mi chiedono come possa l'U.E. auto-attribuirsi poteri che nessuno le ha conferito, come possa essere tollerato che essa si comporti come uno Stato sovrano posto che nessuno le ha attribuito questo carattere, e se mai qualche Paese membro abbia reagito a questo stato di cose. Immagino che anche i lettori della Rivista sia siano posti i medesimi interrogativi, e quindi ritengo giusto tornare sull'argomento per dare delle risposte. Non tento di spiegare come "sia potuto accadere" poiché questa domanda richiede una risposta politica che lascio ad ogni lettore; credo invece utile, per dare maggiore concretezza al discorso e non renderlo troppo astratto, fornire qualche esempio di episodi verificatisi di auto-attribuzioni di poteri, dopodichè parlerò di una reazione, assai forte e risoluta, che c'è stata recentemente.
L'auto-attribuzione di poteri.
Nel diritto internazionale vige il "principio di attribuzione", adottato anche nel Trattato Ce (v. artt. 5 e 7), per il quale la competenza normativa degli enti non statali esiste in quanto sia espressamente attribuita loro dagli Stati aderenti.  L'U.E. si fa beffe di questo principio e decide autonomamente i propri poteri. Questo accade non da oggi o da ieri, ma da un cinquantennio. Merita ricordare le prime due sentenze della Corte di Giustizia che hanno avviato questo ciclo.       
Con la sentenza Van Gend & Loos del 1963, la Corte ha introdotto il principio dell’effetto diretto del diritto comunitario negli Stati membri, in virtù del quale le norme comunitarie sono direttamente ed immediatamente efficaci e vincolanti non solo per i Paesi membri, ma anche per i singoli cittadini. In realtà, giammai gli atti normativi di un semplice ente sovranazionale potrebbero produrre effetti anche per i cittadini anziché solo per i Paesi membri: dunque, come giustifica e motiva la Corte questa straordinaria invasione nella vita dei cittadini europei? Semplice: non la motiva affatto, la afferma e basta. Una sentenza priva di motivazione! 
Con la sentenza Costa/Enel del 1964, la Corte ha sancito il primato del diritto comunitario sulla normativa interna (cioè, in caso di contrasto tra norma interna e norma comunitaria, prevale in automatico quest'ultima), affermando che gli Stati membri avevano limitato la loro sovranità aderendo alla Comunità. Forse i trattati istitutivi contenevano questo principio? Forse è rinvenibile qualche atto dei Paesi membri che conferisce all'U.E. il potere di promulgare norme dotate del carattere della supremazia su quelli dei singoli Paesi? Assolutamente nulla di tutto ciò: la Corte così decide arbitrariamente e senza alcun supporto di precedenti atti che giustifichino la decisione, creando da sé, in tal modo, un nuovo potere dell'Unione.  
Venendo ad anni a noi più vicini, ritengo assolutamente clamorosa l'auto-attribuzione di competenza in materia penale e processuale-penale, attuatasi con varie decisioni-quadro (ad es. quella sul mandato d'arresto europeo, che ha introdotto in tutti i Paesi membri una serie di reati, tra cui i reati d'opinione) e con la sent. 13.9.2005 della Corte di Giustizia. Questa vicenda è stata eclatante perché si è sempre pensato ed affermato che la norme penali, essendo per loro natura potenzialmente le più invasive ed incisive sui diritti fondamentali dei cittadini, potevano essere promulgate solo dalla assemblee parlamentari democraticamente elette, ed infatti così è sancito dall'art. 25 della nostra Costituzione (riserva di legge in materia penale). Ovviamente l'Unione è ben consapevole che la riserva di legge è espressione della sovranità del popolo (e quindi dello Stato), dell'affermazione della sua autodeterminazione in tema di diritti fondamentali e di limitazione degli stessi: un altro principio ribaltato senza difficoltà, un altro potere che l'U.E. si auto-attribuisce senza troppi scrupoli…
Questo circolo vizioso ha trovato la sua definitiva espressione nelle c.d. “clausole di flessibilità” previste dal Trattato di Lisbona, che permettono all'Unione di agire indipendentemente dai poteri d'azione ad essa attribuiti: queste clausole sanciscono definitivamente la facoltà dell'U.E. di riconoscere a se stessa ogni e qualsivoglia potere indipendentemente dalla volontà dei Paesi membri. In altre parole, all'Unione viene attribuita la competenza a decidere… su cosa essa è competente! Concetto aberrante che la dottrina tedesca definisce con l'espressione un po' bizzarra di Kompetenz-Kompetenz.
Una reazione: il Lissabon Urteil.
L’evoluzione delineata è chiara: gli organi europei vivono di vita autonoma prescindendo dagli Stati "creatori" e si auto-attribuiscono poteri e facoltà non conferiti loro all'atto della "creazione". In questo scenario, l'erosione della sovranità degli Stati, fino alla sua cancellazione, non è solo un'ipotesi astratta ma una realtà tangibile e vistosa.
Con alcuni referendum (di cui abbiamo già parlato, e già noti al lettore) i popoli europei hanno tentato di ribellarsi a questa liquidazione delle sovranità nazionali, ma da parte degli Stati e dei loro organi non sono note particolari reazioni o resistenze, se non del tutto episodiche.
Con un'eccezione. Esiste in Europa una Corte particolarissima, munita di un'autorevolezza così straordinaria da potersi permettere il lusso di essere indipendente dal potere politico benchè i suoi membri siano di nomina politica, una Corte che opera secondo logiche e criteri modernissimi e le cui sentenze fanno scuola anche negli altri Paesi: si tratta del Bundesverfassungsgericht (in acronimo BVG), la Corte costituzionale tedesca. Questa Corte, con la sentenza denominata Lissabon Urteil del 30 giugno 2009, ha deciso che fosse tempo di arrestare la deriva europeista, ha intimato l'altolà ed ha piantato dei paletti duri come l'acciaio, tanto che alcuni commentatori hanno scritto: "l'integrazione europea è arrivata al capolinea".
Tra gli addetti ai lavori, in Italia e all’estero, si sono versati fiumi di inchiostro su questa sentenza, ma i media italiani non ne hanno assolutamente parlato: una congiura del silenzio trasversale, l'ennesima dimostrazione di una volontà di ingannare fino in fondo il popolo che coinvolge, indistintamente, tutti i partiti e tutti i gruppi editoriali.    
Per capire il senso ed il contenuto di questa sentenza, bisogna sapere che ancora oggi, nonostante le evidenze, la dottrina internazionalistica tedesca non considera ancora l’U.E. un ente sovrano, e quindi considera ancora sovrani i singoli Stati nazionali. Peraltro i tedeschi sanno molto bene che l’U.E. non è certamente un semplice ente derivato, e quindi sono ricorsi ad una finzione giuridica inventando un terzo genere: quello dello Staatenverbund, traducibile come “associazione di Stati”. Ora, il principio fissato dalla sentenza (per quanto si possa riassumere in poche parole un testo di oltre 100 pagine...) è questo: certamente la Repubblica Federale Tedesca ha un atteggiamento amichevole verso l’integrazione europea e verso il diritto dell’Unione (principio espresso con il termine Europarechtsfreundlichkeit, intraducibile in italiano), però essa deve difendere la propria sovranità e la propria identità costituzionale tutelando i valori fondamentali che la reggono (democrazia e dignità della persona, demokratieprinzip e sozialstaatprinzip: cioè il nucleo intangibile del Grundgesetz); di conseguenza il BVG ha il diritto di sindacare gli atti dell’U.E. e i poteri di quest’ultima devono rimanere quelli di stretta attribuzione (senza possibilità quindi di auto-attribuirsene!); ovviamente viene categoricamente negata legittimità alla Kompetenz-Kompetenz; qualora l’U.E. compisse atti che esulano dai poteri attribuitile, andando ad invadere i “settori sensibili” per la sovranità nazionale (diritto penale, uso della forza, politiche di bilancio, stato sociale, famiglia, cultura, istruzione), tali atti saranno disapplicati dal BVG nonostante il primato del diritto unionistico su quello nazionale; infine, se dovesse risultare indispensabile per tutelare il nucleo intangibile del Grundgesetz, la Germania dovrà anche recedere dall’U.E..
Lo spirito della sentenza emerga con forza al paragrafo 220 della stessa, in cui è affermato che l'integrazione all'interno dell'Unione non può considerarsi come sottomissione della Repubblica Federale Tedesca a "poteri alieni"!
Il BVG aggiunge di non escludere affatto che in futuro l’U.E. possa divenire un ente sovrano sostituendosi alla sovranità degli Stati nazionali (noi sappiamo che già è così, ma ricordiamo la finzione dello Staatenverbund...), ma precisa che ciò accadrà solo quando i popoli europei lo decideranno con voto democratico! 
E’ chiaro che questa sentenza restringe drasticamente la portata dei poteri già conferiti all’U.E. e impedisce l’attribuzione di nuovi, bloccando l’evoluzione in atto voluto da un'oligarchia che giammai vorrà confrontarsi con un voto popolare democratico; ma, prima ancora, essa rappresenta un insperato e prepotente moto di orgoglio di una Corte che vede nitidamente la vergogna dei diritti dei cittadini europei vilipesi e derisi e decide di “mettersi in gioco” e di non abdicare al suo altissimo ruolo.
Quasi (mi sia consentito il termine) "entusiasmante" poi il giudizio espresso dal BVG, nel corpo della sentenza, sul carattere gravemente antidemocratico dell'U.E. e sull'aggravamento - anziché miglioramento! - del deficit di democrazia prodotto dal Trattato di Lisbona, da fronteggiare con adeguate contromisure essendo ormai ritenuti non più tollerabili i limiti di democraticità del diritto dell'Unione!
Il 6 luglio 2010 il BVG ha poi pronunciato una nuova sentenza, denominata Mangold Beschluss, affermando nuovamente i medesimi concetti e rigettando un tentativo della Corte di Giustizia U.E. di invadere il territorio della tutela dei lavoratori tedeschi con il solito, logoro, ipocrita pretesto di "divieto di discriminazione".
Ed ora? Certamente non siamo così ingenui da credere che un processo che involge interessi colossali come quello dell'U.E possa essere arrestato da una sentenza, per quanto "eroica". Il nostro compito è di testimoniare, e diffondere queste notizie. Queste sono le risposte che posso dare ai miei interlocutori perplessi ed increduli. Però, è un fatto che il giurista che più di ogni altro ha ispirato il Lissabon Urteil, il 46enne Andreas Vosskuhle, dopo la pubblicazione della sentenza è divenuto Presidente del BVG: anche questo, qualcosa significherà pure…  
Per il resto, non rimane che attendere.



[1] Decisione-quadro 2002/584/GAI del Consiglio europeo del 13.6.2002.
[2] Mandato d’arresto europeo, Chieti, 2007.
[3] V. ad es.: la c.d. “Carta di Nizza” del dicembre 2000, il Trattato di Amsterdam del 2.10.1997, la decisione-quadro del Consiglio d’Europa del 28.11.2001, ecc.
[4] Principio definitivamente confermato dalla sent. 16.5.2005 della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. 
[5]La storia imbavagliata”, convegno del Master “Enrico Mattei” in Medio Oriente, Teramo, 17-19 aprile 2007.
[6] A. Grisoli, Aspetti giuridici della integrazione economica europea.
[7] In realtà, intorno alle nozioni di sovranità e “neo-sovranità” si scontrano diverse teorie, che in questa sede è ovviamente impossibile analizzare. La frase contenuta nel testo va quindi intesa come una semplificazione e schematizzazione del concetto. 
[8] Per meglio garantire questo puntuale adeguamento, alcuni Stati hanno modificato le proprie carte costituzionali. L’Italia, a tal fine, ha riformato nel 2001 l’art. 117 Cost.
[9] In Diritto Comunitario ed Internazionale, n. 6/2007, pag. 9.
[10] In occasione del primo referendum irlandese, i due maggiori sostenitori della campagna per il "sì", il Primo ministro Cowen ed il Commissario U.E. McCreevy, incalzati dai giornalisti, hanno entrambi dichiarato di non aver letto il Trattato e di non essere in grado di leggerlo.  
[11] Un autorevole costituzionalista tedesco, il prof. Schachtschneider dell'Università di Norimberga, ha pubblicato uno studio (titolo italiano: "La legittimazione della pena di morte e dell'omicidio"), nel quale evidenzia come la norma possa essere di applicazione spaventosamente ampia.
[12] Ma Gran Bretagna e Danimarca, membri del Trattato e soci della BCE, sono esonerati dalla partecipazione all'Euro! Ferocissima, su questo punto, la critico del prof. Guarino dell'Università di Roma (ex ministro), il quale denuncia l'assenza di condizioni di parità tra i Paesi.
[13] Come sostiene la prof.ssa Anne-Marie Le Pourhiet dell'Università Rennes-I, il Trattato di Lisbona sancisce la fine della democrazia.
[14] Si tratta della legge, in applicazione della quale, nel 2005, David Irving fu condannato a tre anni di carcere.
[15] In applicazione di questa legge, ad aprile 2010 inizierà in Germania il processo a S.E. Mons. Williamson, il Vescovo della Fraternità San Pio X, per le note dichiarazioni televisive. La condanna è pressochè certa.
[16] In vari Paesi si cerca di sradicare dal linguaggio i termini “mamma” e “papà” perchè discriminatori verso le coppie omosessuali (v. ad es. recentemente, in Scozia, la pubblicazione del Ministero della Salute Fair for All – The Wider Challenge: Good LGBT Practice in the NHS, destinata al personale sanitario, che estende il giudizio di “non accettabilità” anche ai termini “marito”, “moglie” e “matrimonio”).  Risulta evidente che queste leggi avranno come principale conseguenza quella di censurare la libertà di espressione.