giovedì 29 dicembre 2011

Abbandonare il dollaro??

Da tempo vado pensando che manca una storia monetaria (o valutaria) dell'umanità: il ruolo giocato dalle diverse valute e dall'interesse che ha ciascuno Stato di imporre la propria quale "riferimento" economico regionale o planetario. Un interesse che probabilmente noi "comuni mortali" fatichiamo persino a concepire ed immaginare, certamente intrecciato al fenomeno del signoraggio.
Notizie come quella che segue (rigorosamente trascurata da tutti i media italiani) ci ricordano questi temi.
Dal sito www.libreidee.org:

Avviso agli Usa: Cina e Giappone abbandonano il dollaro
di Giorgio Cattaneo
Giornali e Tg non ne parlano, ma per gli ambienti finanziari globali è la notizia-bomba di queste festività natalizie: la seconda e la terza economia mondiale, Cina e Giappone, hanno siglato un accordo che prevede l’abbandono del dollaro americano come valuta utilizzata negli scambi commerciali tra le due nazioni asiatiche, consentendo quindi un interscambio direttamente in yen e yuan. Finora, circa il 60 per cento degli scambi commerciali tra Cina e Giappone vengono regolati in dollari. L’intesa, siglata lunedì a Pechino al termine dell’incontro tra il premier cinese Wen Jiabao e il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda, è un chiaro segnale di sfiducia delle due potenze economiche asiatiche nei confronti della travagliata area euro-dollaro.
Questa mossa, spiega Enrico Piovesana sull’edizione online di “E”, il periodico di Emergency, viene interpretata dagli economisti come il primo passo concreto del governo di Pechino per far diventare la moneta cinese, lo yuan (o renminbi), una valuta di riserva globale sostitutiva al dollaro. Cosa attualmente non ancora possibile, vista la non completa convertibilità della valuta cinese. Per il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, il patto Cina-Giappone rappresenta una sfida che evidenzia l’importanza di una «Europa unita e di una moneta comune che ci dà buone chanches di perseguire i nostri interessi e l’opportunità di realizzarli a livello mondiale».
Come riportato da Bloomberg, «Giappone e Cina promuoveranno scambi diretti di yen e yuan senza usare il dollaro e incoraggeranno lo sviluppo di un mercato dei cambi, per tagliare i costi per le aziende». Secondo il governo di Tokyo, il Giappone effettuerà acquisti di obbligazioni cinesi già dal prossimo anno: vista l’enorme dimensione del volume degli scambi tra le due più grandi economie asiatiche, «questo accordo è molto più significativo di qualsiasi altro patto che la Cina ha firmato con altre nazioni», ha detto Ren Xianfang, un economista di Ihs Global Insight Ltd. E il ministro delle finanze Jun Azumi ha affermato il 20 dicembre che gli acquisti di obbligazioni cinesi avranno un effetto positivo sul Giappone perché aiuterà il paese a rivelare più informazioni sui mercati finanziari della Cina, che è «la detentrice della maggior quantità di riserve monetarie al mondo».
Quindi, conclude “Zero Hedge” in un intervento su “Megachip”, mentre gli Stati Uniti e l’Europa bisticciano su chi si dovrà muovere per primo a salvare l’altro, i giganti dell’economia reale – quella in piena tumultuosa crescita – hanno deciso di allontanarsi gradualmente da «quel buco del debito senza fondo» che ormai è diventato il mondo occidentale “sviluppato”. «Tutto quello che dovrà avvenire – aggiunge “Zero Hedge” – è che Russia e India si uniscano a questa intesa». La globalizzazione sembra dunque procedere per la sua strada, «ma senza Stati Uniti ed Europa».

domenica 25 dicembre 2011

Iraq: l'ultimo capitolo del fallimento della politica estera USA

Ogni tanto, facendo slalom tra un'emergenza e l'altra, riesco a ritornare su temi più consoni al blog! E' il caso di questo breve ma denso articolo di Massimo Fini che ci ricorda che... l'Iraq esiste ancora anche se nessuno ne parla più.
Un argomento da non dimenticare.  
Ed una domanda che mi pongo da anni ed alla quale non ho ancora trovato una risposta: ma, in definitiva, il progetto geopolitico degli Stati Uniti, QUAL E' ???
Dal sito massimofini.it:

Quatti quatti, nottetempo, di nascosto, gli ultimi soldati americani sono venuti via dall’Iraq lasciando dietro di sè la più lunga scia di sangue da quando, nel 1990, crollato il contraltare sovietico e avendo quindi mano libera, gli Stati Uniti hanno inanellato, in soli ventanni, sette guerre, Golfo, Somalia, Bosnia, Serbia, Afghanistan, Libia e, appunto, Iraq dove i morti iracheni sono stati calcolati fra i 650 e i 750 mila, infinitamente di più di quanti ne abbia fatti Saddam Hussein in trent’anni di dittatura, a cui vanno aggiunti 4500 caduti Usa.
Ma i risultati politici e geopolitici riescono ad essere ancora più devastanti di questa mattanza.
1) Si è facilmente scoperto che la giustificazione con cui gli americani, senza aver avuto alcun avallo Onu, avevano attaccato l’Iraq (il possesso da parte di Saddam di "armi di distruzione di massa") era falsa. Il rais di Baghdad quelle armi non le aveva. O, per essere più precisi, non le aveva più. Gli erano state fornite, a suo tempo, dagli stessi americani, dai francesi, dall’Urss, in funzione anticurda e antiraniana ma le aveva esaurite usandole sugli uni (Halabya) e sugli altri.
2) Saddam era un dittatore sanguinario ma era riuscito, bene o male, a tenere insieme tre comunità tra loro profondamente ostili, curdi, sunniti e sciiti, riunite in un unico Stato per una cervellotica decisione degli inglesi nel 1930. Scomparso Saddam fra sunniti e sciti (un tempo tenuti sotto il tallone di ferro del rais) è scoppiata una feroce guerra civile che dura tutt’ora e che prenderà ulteriore vigore con l’uscita di scena degli americani. Non per nulla nell’agosto del 2010 gli abitanti di Falluja, città sunnita che più si era battuta contro gli invasori, si dicevano terrorizzati al pensiero che gli Usa avrebbero lasciato l’Iraq, ben sapendo che sarebbero stati alla mercè della maggioranza sciita.
3) Da quando nel 1974, la rivoluzione khomeinista rovesciò lo Scià di Persia, loro alleato, tutta la politica americana è stata antiraniana. Per questo quando nel 1985 i soldati di Khomeini erano davanti a Bassora e stavano per prenderla (il che avrebbe comportato l’immediata caduta di Saddam, la riunione dell’Iraq sciita con l’Iran, perché si tratta della stessa gente, dal punto di vista antropologico, culturale e religioso, oltre che la sacrosanta indipendenza dei curdi iracheni) gli americani intervennero, per "motivi umanitari" a favore del dittatore di Bagdad rimpinzandolo di ogni genere di armi comprese quelle "chimiche" che poi, nel 2003, sarebbero servite da pretesto per l’aggressione all’Iraq.
Oggi con la pseudodemocrazia instaurata in Iraq, gli sciiti iracheni, che rappresentano il 62% della popolazione, sono di fatto padroni di gran parte del paese e rispondono ai loro confratelli iraniani. Così quello che gli americani avevano negato all’Iran nel 1985, scippando loro la vittoria sul campo di battaglia, che era costata a Teheran centinaia di migliaia di morti, glielo hanno regalato 25 anni dopo senza che Teheran abbia dovuto sparare un solo colpo di fucile.
4) Restano i curdi. Finora se ne sono stati tranquilli perché la scomparsa di Saddam ha dato loro, di fatto, un’autonomia che somiglia molto a quell’indipendenza che hanno sempre sognato. Ma se l’indipendentismo curdo-iracheno dovesse contagiare quello in Turchia dove vivono 12 milioni di curdi allora salterebbe tutta la strategia americana costruita in questa regione, comprese le guerre in Bosnia e alla Serbia, europea e ortodossa, in funzione di un cunei nei Balcani di musulmanesimo moderato (Albania più Bosnia, più Kosovo) in favore del loro essenziale alleato turco.

venerdì 23 dicembre 2011

Il dito e la luna, di nuovo.

E' dal giorno della strage di Firenze che sto cercando, "disperatamente", di rintracciare un commento adeguato all'accaduto. Cioè, un commento che non risolva questa vicenda (e tutte le altre: Oslo, Liegi, e gli innumerevoli episodi di violenza tra gruppi etnici di cui i media non parlano ma che nelle statistiche assumono dimensioni impressionanti) in termini di "pazzia" o sostenendo che queste cose accadono "senza motivo".
Ho cercato, perché avrei voluto proporla ai frequentatori del blog, un'analisi che si sforzasse di spiegare le cause di questi fenomeni ma finora non ne ho trovate.
I motivi che scatenano queste violenze non interessano?
Tutt'al più, si parla genericamente di "razzismo", e così ancora una volta si confondono le cause con gli effetti, poiché il razzismo (dell'europeo contro l'extracomunitario, del nero contro il bianco, ecc.) può essere, sì, il sentimento che accomuna molti autori di stragi, ma questo sentimento è la manifestazione del conflitto tra i gruppi etnici, non certo la causa: il razzismo ha radici ed origini, non vive di vita propria! (Per la verità in questi giorni vi è stato anche chi ha tentato di affermare che il razzismo, in quanto avversione per il diverso e l'estraneo, è il tratto paranoico tipico del popolo di "destra", e quindi non avrebbe una sua motivazione ma sarebbe connaturale all'essere di "destra". Chi ha scritto questa mostruosità è nientemeno che un intellettuale raffinato come Costanzo Preve, e questo dimostra come vi siano momenti in cui è facile perdere la lucidità…).  
Ora, trovo sul sito di Arianna Editrice un articolo di un autore acuto quale è Giacomo Gabellini ("La congiura dei pazzi"), che, finalmente, contiene considerazioni interessanti e di cui consiglio la lettura per due ragioni.
In primo luogo perché - Deo gratias! - finalmente c'è uno che irride alla teoria del "pazzo solitario" definendola "semplicistica e autoconsolatoria".
In secondo luogo, perché la disamina di Gabellini offre un importante spunto di riflessione. Infatti, Gabellini, dopo avere accantonato la teoria della pazzia, propende anche ad escludere un'interpretazione dei fatti che li veda come conseguenza della "crisi economica e sociale che sta devastando l'Europa", ed evidenzia come gli stessi potrebbero rientrare "in una specifica e ben definita strategia politica". E, dopo lunga e dettagliata analisi, conclude: "Va pertanto annoverata la possibilità che esista una regia, ovvero che la drammatica catena di attentati in Norvegia, Italia e Belgio rientri in un disegno strategico funzionale al conseguimento di obiettivi precisi, che nel caso specifico riguarderebbe l’innalzamento della tensione tra immigrati e popolazione autoctona.".
Ora, lo spunto di riflessione è il seguente: ma perché Gabellini considera la "crisi economica e sociale che sta devastando l'Europa" come qualcosa di estraneo al "disegno strategico" che egli ritiene di poter intravedere? Perché la crisi economica e sociale sarebbe lo scenario, l'ambiente "neutro" in cui si svolge la scena e non sarebbe essa stessa il primo, basilare tassello del "disegno strategico"? Vorrei richiamare quanto scrivevo sul blog nel post del 14 dicembre: mi sembra ancora validissimo.
Mi piacerebbe conoscere altre opinioni in merito.   
    

mercoledì 21 dicembre 2011

L'impero

E' tradizione del nostro blog contribuire a dare visibilità agli scritti di Ida Magli. Quest'ultimo - al termine di un'analisi come sempre ineccepibile - si conclude con un appello che è impossibile non condividere.  
Dal sito ItalianiLiberi.it:

L'impero sulle nostre spalle.
La verità sulla storia degli Italiani non è ancora mai stata raccontata perché sono i vincitori a scriverla e i vincitori sono sempre i governanti, i Capi, non il popolo. Una cosa però è sicura: è stata sempre uguale a quella che stiamo vivendo in questo periodo. Gli Italiani, debbono sacrificarsi, pagare, soffrire, combattere, morire affinché i politici di turno possiedano il proprio Impero. E’ questo che hanno perseguito, sotto le vesti dell’unificazione europea, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi: possedere un Impero, alla pari di ogni governante, Dittatore, Re, Papa o Imperatore del passato. Contrariamente al passato, però, questa volta l’impero non era possibile conquistarselo con gli eserciti combattenti: la seconda guerra mondiale, con le sue catastrofiche conseguenze, con l’atomica e le due potenze mondiali in lotta fra loro, costringeva a seguire un percorso nuovo. E’ nata così una grande idea: farsi l’Impero tutti d’accordo, con la pace, con il denaro, con le banche.
  Quando mai, però, un governante può dire ai sudditi che vuole farsi un impero eliminando la Patria, togliendo di mezzo la Nazione, consegnandone l’indipendenza e la libertà agli stranieri? Di solito almeno questa consolazione ai sudditi la si lascia: che combatta, si sacrifichi e muoia per la grandezza della patria, per amore verso la propria terra e i propri figli. Quindi questa volta ai poveri cittadini d’Europa sono state raccontate menzogne su menzogne: diventeremo ricchi, non dovremo adoperare il passaporto, avremo il mercato più potente del mondo, saremo d’esempio a tutti per la nostra giustizia, per la nostra ineguagliabile democrazia. Democrazia, democrazia, democrazia! Se si facesse un concorso per stabilire quale parola è stata usata più di frequente dal 1950 ad oggi nella povera Italia condannata a costruire l’impero europeo, sicuramente “democrazia” lo vincerebbe. Lo vincerebbe perché i governanti l’hanno pronunciata (e la pronunciano) ogni volta che ne hanno eliminato un pezzo fino a giungere, come oggi, ad eliminarla tutta. Per costruirsi l’impero bisognava distruggere gli Stati, possibilmente senza che i sudditi se ne accorgessero. Ma è stato facilissimo, addirittura più facile di quanto i governanti non pensassero, perché i poveri cittadini d’Europa, e quelli italiani soprattutto, erano talmente lontani dal supporlo che perfino adesso, di fronte all’evidenza, non riescono a crederlo. Via i confini fra gli Stati! Quale immensa, meravigliosa democrazia. Ma uno Stato come fa ad essere “Stato” se non è padrone di un territorio? Non chiedetelo a nessuno perché queste sono domande che in democrazia non si fanno. Via la moneta nazionale! Quanto è democratico dipendere dalla Banca centrale europea. Ma uno Stato come fa ad essere “Stato” se non possiede la propria moneta? Non domandatelo a nessuno perché le domande sulle banche non è democratico farle. Anzi: le banche sono diventate a poco a poco il più democratico corpo di polizia che esista al mondo; un corpo separato, mille volte più efficiente dei poveri carabinieri, al servizio esclusivo della dittatura dei banchieri, con la propria torretta di guardia ogni cinquanta metri. Ha un solo compito, il compito determinante: informare di ogni nostro respiro, tramite lo straordinario braccialetto elettronico che si chiama “conto corrente”, i grandi Capi stranieri, mai eletti e sconosciuti ai cittadini, che hanno messo fine all’ultima parvenza degli Stati nazionali unificando democraticamente fiscalità e bilanci dell’Impero. E le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia? Che le abbiamo fatte a fare? Ah! Questa è stata una carta superba che la buona sorte ha messo a disposizione dei governanti più traditori che gli Italiani, pur con una tragica storia di tradimenti alle spalle, abbiano mai avuto. Quale maggior fortuna che quella di godersi gli onori dell’esaltazione dello Stato mentre lo si pugnala? 
  Quasi tutte le dittature sono nate con il consenso delle autorità legittime. Nessuna, però, ha avuto, una maschera grottesca, addirittura inverosimile, come l’attuale: il voto dei parlamentari in carica per uccidere lo Stato sul quale governa. La battaglia per l’euro, infatti, è la battaglia finale che è stata scatenata appositamente per sbaragliare gli Stati nazionali. Il problema non è il debito, come ormai tutti sanno, ma il non possedere la banca nazionale che emetta la moneta. Nessuno si illuda che la battaglia sterminatrice non sarà portata fino in fondo, malgrado sia evidente che l’Unione europea finirà come al solito, con il conflitto fra gli Stati più forti,  perché era questo lo scopo fin dal principio: distruggere con il gioco del denaro quello che non si poteva distruggere con i cannoni.
 Non credo che i parlamentari italiani siano tutti privi di una sia pur minima briciola di senso dell’onore e del dovere verso quei poveracci che hanno avuto fiducia in loro. Prima di consegnarsi alla storia come traditori e assassini dell’Italia, si rendano conto che, rifiutando il proprio consenso e pretendendo il ritorno alla sovranità monetaria, sarebbero ancora in grado di salvare gli Italiani in modo legittimo dal prossimo futuro di insurrezione e di guerra in Europa. E’ un appello che scrivo nella speranza di un ultimo ravvedimento; ma anche perché i testimoni della orribile tragedia che stiamo vivendo, hanno il dovere di lasciare agli storici di domani una documentazione certa sui responsabili della fine della civiltà europea.
 

lunedì 19 dicembre 2011

Monty. Come Montgomery.

In un momento di eventi gravi e inquietanti, questa notizia pare quasi comica. Temo invece che assuma significati ben precisi...
Dal sito noreporter:

Il  liquidator parla solo in inglese anche in patria. Nostra non sua
Povera patria. L’umiliazione dell’Italia va in onda di prima mattina, in diretta su SkyTg24. A Palazzo Koch c’è una conferenza in memoria di Tommaso Padoa-Schioppa. A intervenire sono il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il presidente del Consiglio Mario Monti e il presidente della Bce Mario Draghi, in platea tanti pezzi grossi dell’economia e della finanza, oltre a qualche ospite straniero, tra cui il governatore della Banca d’Inghilterra Marvin King. E la lingua usata, incredibile auditu, è l’inglese.
Nell’Urbe, mica nella City; nella capitale d’Italia, mica del Burundi; nella sede centrale della Banca d’Italia, mica nella sede di Washington del Fondo monetario internazionale; in via Nazionale, mica in Trafalgar Square; per ricordare la figura di un economista italiano (di Belluno), mica indiano; su un canale italiano, mica australiano; in un luogo istituzionale, mica in un’aula di Harvard o Berkeley. Ebbene, il nostro premier, professore e gran spregiatore dei parlamentari (li tratta con sufficienza, come allievi non troppo svegli alle prese con un dettato) e quindi di quei populisti degli elettori, proprio mentre la Camera stava votando la fiducia sul suo provvedimento cosiddetto “salva-Italia”, una bazzecola in fondo, un atto dovuto dinanzi alla genialità dei balzelli, si è messo a parlare a braccio. Uao che bravo, in fluent english, of course. Dimostrazione pratica e simbolica del fatto che, come è tornato a ripetere, «non c’è differenza tra lavorare per l’Italia o per la Ue».
Ma ve l’immaginate un Sarkozy che usa anche una sola espressione della lingua della non più perfida Albione all’Eliseo o in un incontro ufficiale a Parigi? In un Paese come la Francia, dove una legge vieta l’uso di anglismi ormai diffusi ovunque e accettati in tutti gli idiomi, l’avrebbero et voilà ghigliottinato. O una Merkel che omaggia gli antenati Angli alla Bundesbank? Kaputt. O ancora, a proposito di antenati (i nostri stavolta) con le palle, un pur filo-ellenico Scipione che sfoggia la koinè (equivalente antico dell’inglese) in Senato? Condemnatus in un amen.
E invece l’ineffabile Mario Mountains in pochi minuti ha disintegrato anni di battaglie a Strasburgo e Bruxelles per dare pari dignità all’italiano, maltrattato da inglesi, francesi, tedeschi e spagnoli, e reso ridicolo l’operato della Società Dante Alighieri, che dal 1889 si affanna per tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo. Come possiamo pensare di ottenere rispetto all’estero se il primo a non far suonare il sì nel Belpaese è lo stesso capo del governo?

sabato 17 dicembre 2011

Libia: crimini di guerra.

Ecco, anche su questo blog l'avevamo detto e scritto in tutti i modi (v. la pagina "Crimini di guerra"), e adesso ci siamo arrivati.
Dal sito iljournal.it:

La cruenta morte di Muhammar Gheddafi, avvenuta il 20 ottobre scorso potrebbe essere illegale. Secondo il il procuratore della Corte penale internazionale Luis Moreno Ocampo, potrebbe addirittura configurarsi come un crimine di guerra. "Abbiamo espresso la nostra preoccupazione al governo di transizione libico e abbiamo chiesto come saranno giudicati i crimini commessi dalle due parti durante le rivolte che hanno condotto al rovesciamento del ex capo di Stato. La morte di Gheddafi é una delle questioni sulla quale deve essere fatta luce". Sapere cosa é successo, perche esistono seri sospetti sul fatto che si tratti di “un crimine di guerra ” ha confermato Moreno Ocampo.
In fuga dalla caduta di Tripoli a fine agosto, Gheddafi era stato ucciso a Sirte in circostanze ancora oscure, da ribelli libici dopo la sua cattura. A causa del cambiamento della situazione causato dalla sua morte, i giudici della Corte penale internazionale avevano ordinato il 22 novembre la chiusura del dossier di Gheddafi che era oggetto di un mandato di arresto per crimini contro l’umanità.

venerdì 16 dicembre 2011

Libia: la democrazia in vendita alla pompa del carburante.

Neocolonialismo senza decenza.
Dal sito globalist.it:

La Libia Liberata puzza sempre più di petrolio occidentale. Come aveva rivelato Globalist, era stata l'Italia a fare il colpo più appariscente con l’ex “executive manager” dell’Eni, Abdulrahman Ben Yezza, nominato ministro nel ruolo chiave di titolare del Petrolio. In realtà, nella singolare disattenzione della stampa internazionale, il colpo gobbo negli interessi petroliferi è targato British Petroleum e Total francese. Riconoscimento dovuto ai veri promotori dell'intervento armato occidentale contro la Libia di Gheddafi? 
Certo è che Abdurrahim El-Keib è considerato nel mondo un “Big Oil-Goon”. Traduzione letterale impossibile con quel “Goon” che varia da gorilla a sicario.
Abdurrahim El-Keib, neo primo ministro ad interim della Libia è un ex professore di ingegneria all'università dell'Alabama. Un esule filo occidentale dal regime di Gheddafi con forti vincoli di studi e di amicizia nel settore energetico. Ha lasciato gli Stati Uniti nel 2005, scelto, non a caso, per presiedere l'Istituto per il petrolio (Eau) di Abu Dhabi. sponsorizzato appunto da British Petroleum (Bp), Shell, la francese Total, la compagnia petrolifera giapponese per lo sviluppo e la Abu Dhabi National Oil Company. El-Keib, nel suo profilo del Petroleum Institute viene citato per le sue ricerche finanziate da varie agenzie governative statunitensi e dipartimenti nel corso degli anni.

giovedì 15 dicembre 2011

Sempre più poveri.

E' normale essere tutti in attesa di quel che accadrà dopo i fatti di Firenze. Ma notizie come questa meritano comunque attenzione perchè - ripeto - impoverimento ed aumento del tasso di conflitti nella società sono due aspetti di un medesimo scenario. Rimane da capire: a favore di chi.
Dal quotidiano Rinascita del 14.12.2011.

Gli italiani sono sempre più poveri. Si sapeva o meglio si sospettava ma adesso è la Banca d’Italia ad ufficializzarlo nel suo ultimo bollettino statistico. Una conseguenza della crisi economica in corso che ha obbligato le famiglie a fare ricorso ai propri risparmi per tirare avanti. Dalla fine del 2007 al dicembre 2010 il calo della ricchezza netta è stata del 3,2%. Un dato che rafforza la recente dichiarazione del governatore Ignazio Visco sulla natura recessiva della manovra di Monti. Una manovra che, togliendo risorse alle famiglie, le impoverirà e farà calare ulteriormente la domanda di beni e servizi. Per Via Nazionale, per ricchezza si intende la somma delle attività reali (abitazioni e terreni), attività finanziarie (depositi, titoli e azioni), al netto delle passività finanziarie (mutui e prestiti personali). Significativo è poi il fatto che in un anno, 2009-2010, la ricchezza complessiva sia diminuita dell'1,5%.

mercoledì 14 dicembre 2011

Strage di Firenze: il dito e la luna.

Il comunicato diffuso da Casa Pund dopo la strage di Firenze:

"Gianluca Casseri era un simpatizzante di CasaPound Italia, come altre centinaia di persone in Toscana, e altre migliaia in tutta Italia, alle quali, come del resto avviene in tutti i movimenti e le associazioni e non solo in Cpi, non siamo soliti chiedere la patente di sanità mentale. Casseri non era un militante della nostra associazione, frequentava talvolta la sede di Pistoia e non abbiamo motivo per tenerlo nascosto. Oggi si è consumata una immane tragedia della follia, e quattro persone sono morte senza motivo, ma se è avvenuta vogliamo ricordare che è anche perché questo Stato non è in grado di fornire alcuna protezione e assistenza ai suoi figli più deboli."

Il momento è difficile per CPI, che deve difendersi da attacchi previsti ed imprevisti, ma un comunicato come questo non è condivisibile. Ma come, la nostra società viene scientemente sempre più impoverita (economicamente e moralmente) e volgarizzata, viene sempre più attraversata da tensioni ed odi tra gruppi etnici indotti da una politica immigratoria folle, insomma si creano giorno dopo giorno le condizioni per la disgregazione della convivenza e per la diffusione della violenza, per la "guerra tra poveri", e le naturali conseguenze (sì, avete letto bene: le NATURALI CONSEGUENZE) di tutto ciò sarebbero il frutto della "follia"?? E tutto questo sarebbe avvenuto "senza motivo"??
Pochi giorni prima CPI aveva parimenti condannato la bomba nella sede di Equitalia a Roma. Ma quel gesto dinamitardo ha ottenuto sul web un'approvazione di dimensioni imbarazzanti... E se CPI la smettesse di condannare, condannare sempre, e cercasse di distiguere il dito dalla luna? Altro che "follia", altro che fatti che avvengono"senza motivo", sono invece indicatori di una deriva chiarissima verso cui è avviata la vita nei Paesi europei. 
(P.S. "Il dito e la luna" è il titolo del post pubblicato sul blog dopo la strage di Oslo, in cui riferivo alcune dichiarazioni di Le Pen.)

martedì 13 dicembre 2011

Siamo ormai un Paese a sovranità (assai) limitata?

Il blog ha dormito qualche giorno... Chiedo scusa, sono stato impegnato a scrivere il testo della relazione che ho portato al convegno di Teramo, poichè il Prof. Moffa me l'ha chiesta per la pubblicazione degli atti.
Riprendiamo "alla grande" con un bell'articolo di Aldo Mola. Un affresco della storia italiana contemporanea. Lo stile del Prof. Mola è inconfondibile, si può essere d'accordo su tutto o soltanto su qualcosa, ma certamente sa coinvolgere!
Da Il Giornale del Piemonte dell'11.12.2011.

Come le persone, gli Stati hanno un cervello (sovranità e politica estera), un cuore (le forze armate) e visceri (economia e società), che insieme ne formano l’identità. L’Unione Europea dall’Atlantico alla Polonia non ebbe e non ha né cervello né cuore. I suoi visceri sono malandati. Basata su Costituzione logorroica e senz’ anima (il Trattato del 29 ottobre 2004 ne ignora le radici greco-romane-cristiane, liquidate  come “eredità culturali, religiose e umanistiche”), l’Europa crolla per l’incomponibile  conflitto tra eurozona e Gran Bretagna, un impero fondato sulla sterlina. L’Unione non ha sovranità né politica estera né, meno ancora, forze armate unitarie. Francia e Inghilterra si guardano bene dal mettere loro armi (a cominciare dall’arsenale nucleare) a servizio dell’Unione.
Ogni Stato fa la propria politica estera. Lo si è veduto nella tragedia della Libia. Scatenato il caos, completo di linciaggio efferato di  Gheddafi (un evento che non può essere declassato a “episodio”: la Nato e l’ONU se ne lavarono le mani lorde di sangue), ciascuno ha mirato e mira a procacciarsi una parte di bottino. E’ evidente la contrapposizione tra gli Stati Uniti d’America (incapaci di tener le briglie dell’America centro-meridionale) e l’Europa, coinvolta in operazioni belliche (dall’Iraq all’Afghanistan) dai costi crescenti e dagli esiti deludenti, tanto più  in presenza di un Vicino Oriente niente affatto pacificato e mentre il  mondo islamico è una polveriera  in cui gareggiano l’Iran  degli ayatollah e la Turchia  di Ahmed Davutoglu,  che sogna un nuovo impero ottomano-islamico alternativo a quello dell’Arabia Saudita, costruito coi petrodollari.
Purtroppo il grosso dell’informazione si occupa quasi esclusivamente di visceri meno nobili: la contabilità spicciola spacciata come alta politica. Però i cittadini scoprono costernati di essere a “sovranità limitata”, come un tempo i Paesi del Patto di Varsavia.  Dopo anni di orchestrato discredito della dirigenza elettiva a tutti i livelli, il presidente della repubblica ha infatti affidato il governo a un manipolo di consulenti. Privi di investitura popolare e lontanissimi dal segnare la svolta che gl’ingenui se ne attendevano (una cosa è parlare, un’altra è fare, col supporto di un buon margine di consenso), in un mese dall’insediamento il governo in carica non ha saputo parlare né al cervello né al cuore.
Motivo in più per ricordare che solo con l’unificazione nazionale del 1859-1870 l’Italia conquistò, e a fatica, il rango di protagonista della Comunità internazionale e lo esercitò con pienezza sino al 1915. L’intervento nella grande guerra, quasi un secolo fa, mise a nudo i suoi punti di forza e di debolezza. Nel 1918 gli italiani vinsero sul campo e nel 1931 con l’Istituto per la Ricostruzione Industriale risposero in modo autonomo e originale alla Grande Depressione. Un decennio dopo, però, a confini ancor quasi inviolati, il governo Badoglio abdicò alla sovranità nazionale, sottoscrivendo la resa incondizionata (non “armistizio”): clausole dure e mortificanti, ribadite dal Trattato del 10 febbraio 1947, che ignorò il concorso degli italiani alla guerra di liberazione, ridusse l’Italia e sovranità limitata e perciò ebbe il voto contrario dei liberali veri, come Benedetto Croce.
Lì finì la Terza Italia, sulle cui rovine si ersero clericali e comunisti, divisi su tutto tranne che nella lotta contro le forze nazionali cresciute nell’età della monarchia statutaria: i liberaldemocratici (repubblicani inclusi) e i  socialriformisti, uniti nell’impegno a subordinare cervello e cuore al Parlamento, espressione delle libere scelte dei cittadini, tutt’altra cosa dal “centralismo democratico” dei comunisti e dalle oligarchie finanziarie che generarono e alimentarono il comunismo sovietico.
Che cosa rimane dell’età liberale? In quasi settant’anni di repubblica è stato   sperperato il patrimonio morale e civile accumulato da Risorgimento e Terza Italia, da europeismo e pacifismo costruttivo: il movimento federalista europeo, l’entusiasmo originario per l’ONU.
Acclamato come arbitro supremo e salva-Italia, il  governo del “podestà forestiero” appare nient’altro che una grigia sospensione del principio costitutivo della Nuova Italia, una gelida stagione di oblio della sovranità di un popolo in cerca di un progetto politico e capace di capire e decidere “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. L’Italia deve ritrovare il primato della politica: cervello e cuore.

mercoledì 30 novembre 2011

Segnalazione importante convegno.

Un'occasione importante per cercare di capire gli effetti che la "formidabile coppia" UE-BCE produce nella nostra vita!

sabato 26 novembre 2011

Come ha fatto Monti a diventare rettore della Bocconi?

Mi perdoneranno i frequentatori del blog se per una volta scado nel gossip, ma per anni ci siamo chiesti come ha fatto Di Pietro e diventare magistrato...
Dal sito RischioCalcolato - Finanza e Politica, a firma di Giuseppe S. Mela:

Prof. Mario Monti. L’unico economista con una sola citazione scientifica in tutta sua vita.


                La Thomson Reuters, Web of Knowledge, Web of Science, é il database di tutte le pubblicazioni scientifiche edite dal 1889 ad oggi. E’ il database di riferimento per ricercare le pubblicazioni scientifiche di uno scienziato e le citazioni che esse hanno ricevuto.
                Più lavori scientifici un ricercatore ha pubblicato su riviste internazionale e maggiore è il suo prestigio.
                Più altri ricercatori citano ed usano i lavori che uno scienziato ha fatto e maggiore è la sua autorevolezza.
                Ad esempio, Kurt Gödel ha ricevuto più di 44,900 citazioni. Il lavoro «Can quantum-mechanical description of physical reality be considered complete?» di Albert Einstein é stato citato 8,500 volte.
                Un buon ricercatore a fine carriera ha pubblicato in media quaranta lavoro su riviste internazionali ed ha ricevuto circa duecentodieci citazioni da parte di lavori altrettanto pubblicati su riviste nternazionali.
                 Ciò premesso, domandiamoci quale é lo spessore scientifico del prof. Mario Monti, rettore dell’Università Bocconi di Milano.
                Ecco cosa risponde la Thomson Reuters, Web of Knowledge, Web of Science:
 Web of Knowledge Mario Monti Short  650x528 prof. Mario Monti. Lunico economista con una sola citazione scientifica in tutta sua vita.

 Ingrandimento per leggere meglio:

1 650x832 prof. Mario Monti. Lunico economista con una sola citazione scientifica in tutta sua vita.
                Il prof. Mario Monti ha al suo attivo ben 13 pubblicazioni, avendo ricevuto un totale di una, dicansi una, citazione. La maggior parte dei Suoi lavori é stata pubblicata su il «Giornale degli Economisti e Annali di Economia», che non sono mai state citate nemmeno una volta proprio da nessuno.
                Questo risultato illustra lo spessore scientifico del Personaggio.
                 Per evitare malevoli commenti, qui di seguito riporto il risultato della Thomson Reuters, Web of Knowledge, Web of Science per il sottoscritto, solo per comparare il Rettore della Bocconi con uno squincero qualsiasi: 

Web of Knowledge Giuseppe Sandro Mela Short  650x459 prof. Mario Monti. Lunico economista con una sola citazione scientifica in tutta sua vita.

Ingrandimento per leggere meglio:

21 650x808 prof. Mario Monti. Lunico economista con una sola citazione scientifica in tutta sua vita.
GS Mela ha al suo attivo 203 pubblicazioni su riviste internazionali. Il lavoro pubblicato sul New England Journal of Medicine é stato citato 352 volte, mentre quello sul Lancet 141. Gli altri a seguito.
Adesso abbiamo preso coscienza dello spessore scientifico del prof. Mario Monti, e ci si domanda:
Come ha fatto a passare il concorso a cattedra?
Come ha fatto a diventare il rettore della Bocconi?

sabato 19 novembre 2011

Monti? Più poteri forti di lui non si può...

Utile articolo di Marcello Foa, direttore del gruppo editoriale svizzero Timedia, dal blog.ilgiornale.it.

Mario Monti continua a negare di essere un rappresenante dei Poteri forti; ieri ha sfioraro il ridicolo ricordano come l’Economist lo avesse definito il “Saddam Hussein del business Usa” per essersi opposto a Microsoft e Coca Cola quando era Commissario europeo. Frase ad effetto ma priva di fondamento.
Se fosse stato davvero Saddam Hussein avrebbe fatto un’altra fine, forse non così drammatica come quella del Raîs, ma oggi sarebbe un oscuro ed emarginato professore in pensione. Invece la Coca Cola che lui aveva “perseguitato” lo ha assunto come Consigliere, ma non è questo il punto.
Mario Monti non rappresenta i poteri forti, Mario Monti è parte costituente dei poteri forti. Monti è consigliere di Goldman Sachs (a proposito: ma si è dimesso?), è presidente della Trilaterale (ramo europeo), ha fondato il think tank Breugel di cui è presidente, è membro e assiduo frequentatore del Bilderberg. Naturalmente nelle biografie ufficiali scorda sistematicamente di ricordare la sua affiliazione alla Trilaterale e al Bilderberg. Perchè?
Altro che tecnico sobrio e neutrale, Monti è un uomo molto ambizioso che recepisce gli interessi di queste organizzazioni, le quali hanno forti interessi finanziari (Golmdan) o perseguono disegni non dichiarati e inquietanti. Su questi punti andrebbe incalzato dalla stampa e dal Parlamento; ma naturalmente questo non accade, se non marginalmente e con scarsa cognizione di causa da parte dei giornalisti.
Così Monti può perseguire i propri interessi, facendo leva sul sostegno dei compagni di cordata italiani .Ad esempio: oggi fa scandalo il bigliettino di Enrico Letta, nessuno scrive che Enrico Letta è un membro della Trilaterale, affiliazione che naturalmente il deputato Pd, come Monti, non rivendica nelle biografie ufficiali. Sapendo questo retroscena il suo gesto apparentemente ingenuo assume un altro significato
Perchè questa discrezione nei dirsi membri di Trilaterale e Bilderberg? Perchè questi misteri? Cosa aspetta l’opinione pubblica ad aprire gli occhi sul signor Monti e su Enrico Letta e su Mario Draghi e  tanti altri venerati  tecnici o addirittura padri della patria?

Fermate Equitalia.

Meritoria iniziativa di CasaPound: chiunque abbia una minima conoscenza della realtà e della pratica dell'economia italiana, sa molto bene che veramente l'arrogantissima e strapotente Equitalia "va fermata".
Mi spiego meno, invece, un'altra iniziativa del tutto analoga avviata, nei medesimi giorni, da esponenti del centrodestra (on Pili, on. Saltamartini, on. Murgia, on. Porcu, ecc.): anch'essi stanno raccogliendo le firme per il medesimo scopo. Ma posto che erano al Governo fino a pochi giorni fa, non potevano farla per le vie ordinarie, questa legge, anzichè raccogliere le firme...?
Misteri dei politici italiani e della loro ben nota confusione mentale.

Fisco:  CasaPound promuove legge di iniziativa popolare contro
Equitalia, al via raccolta firme

Banchetti, un sito e manifesti contro i ‘vampiri-burocrati’ in tutta Italia

Roma, 17 novembre – Vampiri vestiti da burocrati, che nascondono denti
da Dracula e ali da pipistrello sotto maschera e giacca e cravatta. In
calce una scritta: ‘’Firma la legge, ferma Equitalia’’. Questa
l’immagine simbolo della campagna avviata da CasaPound Italia per
promuovere una legge di iniziativa popolare che limiti lo strapotere
della società di riscossione dell’Agenzia delle Entrate. Un sito web
(http://www.fermaequitalia.org/), banchetti per la raccolta delle firme in
tutto il paese, e migliaia di cartoline e manifesti che stanno
invadendo grandi e piccole città italiane per convincere i cittadini a
sottoscrivere una proposta di legge che punta a ripristinare alcuni
principi irrinunciabili di giustizia sociale, impedendo ad Equitalia
di iscrivere ipoteche su immobili destinati ad abitazione principale
per crediti inferiori al 30% del valore dell'immobile e di pignorare
beni strumentali dell’impresa o percentuali di credito superiori al
20% del totale iscritto in bilancio; obbligandola ad applicare il
tasso di interesse legale nella rateazioni dei crediti; revocandole la
possibilità di condurre indagini finanziarie; diminuendo la
percentuale che l’ente guadagna sui piccoli crediti riscossi
raddoppiando invece la percentuale sui grandi crediti per incentivarla
a perseguire i grandi evasori.

‘’In quattro anni – sottolinea CasaPound Italia in una nota  -
Equitalia ha raddoppiato gli incassi e lo ha fatto soprattutto a spese
di lavoratori dipendenti, pensionati, piccoli e piccolissimi
imprenditori, dai quali ricava l’80% dei suoi profitti. Lo ha fatto in
maniera spietata e talvolta in dispregio della legge, che ad esempio
vieta ipoteche sulle abitazioni per importi inferiori agli 8.000 euro.
Lo ha fatto senza curarsi di distruggere la ricchezza del paese e
delle pmi italiane,  ad esempio pignorando crediti e beni strumentali
essenziali alla vita delle aziende. Lo ha fatto applicando il tasso
medio delle banche sui prestiti invece che l’interesse legale. E lo ha
fatto optando per la strada più semplice invece di perseguire
l’interesse nazionale, vessando chi magari ha poco da pagare ma ha
qualche bene da farsi pignorare invece di impegnarsi a rintracciare i
titolari di fatto di imprese, proprietà immobiliari e beni di lusso,
magari intestati a prestanome o a società di capitali italiane o
estere. Per tutti questi motivi, invitiamo i cittadini a scoprire dove
firmare e a leggere il testo integrale della legge sul sito
http://www.fermaequitalia.org/ e sugli altri siti del movimento’’.

http://www.fermaequitalia.org/
http://www.casapounditalia.org/
http://www.radiobandieranera.org/
info: 3478057510

mercoledì 16 novembre 2011

C'era una volta la guerra.

Ricevo dall'inarrestabile Francesco Bocchio:

Quanto in allegato non è un mio scritto, è frutto di una riflessione fatta con un mio caro amico. Sono considerazioni che non  necessariamente si devono condividere ma forse una riflessione su quanto scritto andrebbe fatta.
Cordialità 
Franz 
C'era una volta la guerra. Quella che leggiamo sui libri di storia o che vediamo in tanti film. Combattuta da uomini contro altri uomini. Il più delle volte per volontà di conquista, per assicurarsi nuovi territori e nuove risorse. Nei tempi antichi veniva combattuta con spade, lance, asce, archi e frecce. Si sapeva chi era il proprio nemico, quale era la tribù o la nazione che muoveva guerra. Poi sono arrivate le prime armi da fuoco, il nemico lo vedevi ancora, semplicemente che era più lontano. Solo da poco sono arrivati aerei e missili, li il nemico non lo vedi più, ma sai chi è, se sei tecnicamente preparato puoi rispondergli, altrimenti ti prendi le bombe sulla testa e speri in bene. Questa è stata la nascita della guerra asimmetrica, non erano uguali i due contendenti, ciò che è possibile per uno non lo è per l'altro, e viceversa. Con la fine della guerra di Corea sono finiti anche i conflitti tra nazioni. Già nel Vietnam gli americani hanno sperimentato cosa volesse dire non avere il nemico di fronte ma al proprio interno. Le conseguenze sono da tutti conosciute. Anche la guerra fredda è stato un modo di conduzione di conflitto non convenzionale. Ci sono stati si i morti, diretti od indiretti, si sono si fronteggiati due blocchi, ma il campo di battaglia è stato diverso: la diplomazia,le alleanze, le risorse, l'informazione, la scienza e la tecnica. Poi ancora è arrivato il terrorismo internazionale. Guerra psicologica da parte di un nemico sconosciuto non tanto con l'intento di fare danni ma con la volontà di incutere timore ed insicurezza nelle popolazioni. A dire vero questo terrorismo era stato  già impiegato nella seconda guerra mondiale. Bombardare Dresda con le bombe incendiarie, la scuola di Gorla a Milano, sganciare due bombe atomiche sul Giappone non rappresentava la neutralizzazione di un obiettivo militare ma la volontà di incutere timore e fiaccare il morale di una popolazione. Ma la guerra continua ad evolversi nelle proprie caratteristiche. Per impadronirsi delle risorse energetiche o delle materie prime di un paese non lo si invade più con carri armati e blindati, molto meglio costruire degli oppositori interni e semmai fornirgli un supporto logistico. Tanto per assicurarne il successo è sufficiente un piccolo numero di consulenti e qualche tonnellata di bombe sganciate sulla logistica di quel cattivone che non vuole darti il petrolio. Ma questo vale solo contro gli stati canaglia, quelli retti da dittature sanguinarie ( con eccezione di quelli troppo potenti tipo Cina o che non hanno petrolio tipo Birmania, con buona pace dei tibetani e dei karen).
E poi come si può conquistare un paese “ democratico” e per giunta alleato? Si ricorre alle armi dell'economia. Fanno in grande quello che quotidianamente fanno in piccolo i vari cravattari ed estorsori. Ti faccio un danno, non hai i soldi per ripararlo allora ti presto i soldi, poi quando diventi insolvente ti compro l'azienda e tu te ne vai a spasso. Anche perché per diventare tuo socio e prestarti i soldi ho chiesto prima posti nel consiglio di amministrazione e poi la direzione.
Ma chi è che muove questa guerra, perché poi muovono questa guerra? Non è un'altra nazione, anzi le nazioni sono il nemico del nemico. Il ventesimo secolo ha visto la nascita di organismi sovranazionali ( chiamateli come volete: CFR, trilateral, Builderberg, il risultato è sempre lo stesso) che vogliono porsi al di sopra della sovranità degli stati, anzi lo stato nazione per loro è un nemico da abbattere perché ultimo baluardo contro il controllo totale. Non sia mai che un parlamento o un governo abbia l'intenzione di porre dei freni  e dei vincoli alla finanza ed alla “economia di mercato”. Il vero ed unico motore deve essere il cosiddetto “mercato”. Come se il mercato fosse una entità sovrannaturale, un archetipo che ha sostituito da tempo gli obsoleti Dio, Patria, Famiglia. Guai anche solo pensare che dietro a questo “mercato” ci siano uomini e gruppi di potere  che vogliono controllare gli altri uomini e pure popoli interi. Sostenere che lo Stato sia un soggetto da porre superiormente alla economia ed alla finanza è una bestemmia, un concetto tipicamente fascista e quindo da combattere senza pietà. Magari non usando aerei, bombe, fucili ma informazione, credito, circolazione di denaro, occupazione, insicurezza sociale, anomia e tante altre armi più raffinate di quelle che fanno vedere il sangue.
Riassumiamo, quali sono i gradini per giungere a questa vittoria:
1)     Distruggere le culture nazionali che potrebbero essere motivo di coesione, ci sono riusciti.
2)     Creare disoccupazione nelle fasce  più deboli in modo da allargare la forbice sociale, magari usando una immigrazione indiscriminata, ci sono riusciti.
3)     Togliere la fiducia nel futuro alle nuove generazione salvando solo quelli più affidabili valutati dopo opportuni stage all'estero, ci sono riusciti.
4)     Rendere le aziende sempre più dipendenti dalle banche, prima fornendo credito e favorendone gli investimenti, poi strozzandoli con aumenti del tasso di interesse e con riduzione dei fidi. Anche qui ci sono riusciti.
5)     Impadronirsi del debito pubblico di un paese sovrano, spostando  i risparmi delle famiglie verso investimenti fantasiosi oltre che creativi, lasciando appannaggio dei “grandi investitori” quello che è il debito pubblico del proprio Paese. Ci sono riusciti.
6)     Subordinare l'azione dei governi alle regole della finanza in modo da limitarne la sovranità. Ci sono riusciti.
7)     Sostituire il governo concepito come espressione popolare con figure di finta rappresentanza politica o con la “necessità” di tecnici. Ci stanno riuscendo.
Un vecchio adagio dei gesuiti recita.” a pensar male si fa peccato ma raramente si sbaglia”. Non voglio tediare con la rivisitazione della vita italiana degli ultimi decenni, ognuno potrà esercitare questo koan da solo in perfetta solitudine e ritrovare il proprio risveglio, in questo caso non alla vita spirituale ma a quella sociale. Penso solo che questa progressione coincida perfettamente con quello che sta avvenendo all'Italia e non solo. Almeno lasciatemi il dubbio che per salvare un paese in crisi non debbano per forza diventare Primi Ministri i banchieri. Eppure chi salverà la Grecia (forse) sarà il numero due della BCE, ex comandante supremo della Banca di Grecia. E chi salverà l'Italia, ormai lo sanno anche i sassi. Del resto come non potrebbe essere, Berlusconi ha resistito per anni a processi, scandali, mignotterie, linciaggi mediatici e processi santoriani, travagliani, scalfariani ecc. Ha resistito alla gogna mediatica internazionale ma quando la Trilateral ha calato l'asso di briscola il cavaliere non ha potuto fare altro che calare le brache ( e questa volta non per un bunga bunga).
Adesso tutti contenti  perchè si è passati dal bipolarismo pro-contro Berlusconi al bipolarismo facciamo subito le elezioni - no le facciamo dopo. Ci siamo dimenticati solo di una cosa per niente marginale: volenti o nolenti ci hanno attaccati e siamo in guerra.

lunedì 14 novembre 2011

Una cariatide al Quirinale.

In questi giorni i (molti) siti web ed i (pochi) giornali di controinformazione stanno impazzendo: si sta scrivendo, pubblicando e leggendo veramente di tutto.
Conserviamo la lucidità per capire che cosa è verità e che cosa è giornalismo-spazzatura.
Procediamo con ordine. Ieri ci eravamo lasciati proponendoci di scoprire "chi è" Giorgio Napolitano.
Un articolo pubblicato martedì 9 novembre su Rinascita, di cui posto alcuni stralci, si presta bene allo scopo.  

Giorgino Napolitano: “una cariatide yankee e guerrafondaia al Quirinale”

(...)
E’ il novembre 1956, Giorgio è un giovane dirigente del Partito Comunista Italiano, e all’indomani della repressione della “rivoluzione ungherese”, da parte delle truppe sovietiche, che portò alla morte di quasi 3000 ungheresi, l’odierno Presidente tuonò: “l’intervento sovietico ha evitato che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e ha impedito che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, contribuendo in maniera decisiva a salvare la pace nel mondo”. 
(...)
Detto ciò, mi sembra necessario parlare della storia politica e personale di Napolitano, per capire davvero chi è “l’anonima” e mite figura che siede nelle stanze del Quirinale.
Giorgio aderisce giovanissimo al Partito Comunista nel 1945, e viene eletto per la prima volta alla Camera nel 1953. Svolge durante gli anni ’60 diversi incarichi all’interno della direzione nazionale del partito, ed assumerà maggiore prestigio negli anni ’70 quando sarà responsabile della politica economica del partito. E’ proprio durante gli anni ’70 che Napolitano diventerà una figura importante all’interno dei giochi politici e di potere (internazionali).
E’ il gennaio 1978, il Dipartimento di Stato americano comunica attraverso un “report” al Foreign Office che la nuova amministrazione USA è preoccupata per una probabile partecipazione del PCI al governo Andreotti, che proprio in quei giorni era entrato in crisi. Una delle soluzioni alla “questione” che venne presa in considerazione, fu quella di spaccare - tramite un’operazione segreta - il PCI, ma questa idea venne scartata e accantonata. Fatto sta, che nel marzo del 1978, con il rapimento di Aldo Moro, che stava preparando un esecutivo con i comunisti, l’idea di un governo col PCI venne definitivamente accantonata. Nell’aprile dello stesso anno scende in campo il nostro caro e amato Presidente. Infatti, in quel periodo, fu il primo comunista italiano ad ottenere il visto per poter entrare negli Stati Uniti, allo scopo di presenziare a importanti “conferenze”. Il tour di conferenze (di facciata) di Giorgio, comprendeva alcune delle più importanti università americane: Princeton, Harvard, Yale, Georgetown e John Hopkins University, ma il vero e proprio “meeting” riservato dagli americani per Napolitano era al “Council on Foreign Relations”.
Il Council on Foreign Relations è uno degli organi più rappresentativi della politica estera americana; esso è sostenuto da fondazioni economiche internazionali e da privati facoltosi, e agisce come un organo di studio di “strategie globali”, che divengono molto spesso direttive di politica internazionale per il governo americano. Tra i suoi finanziatori troviamo alcuni dei maggiori gruppi economici a livello globale, e cioè: American Express, American Security Bank, Cargill Inc., Chase Manhattan Bank, Coca Cola, Exxon Corp., General Electric Foundation, ecc.
E’ proprio al Council on Foreign Relations che la visita negli States di Napolitano raggiunge il suo apice. Davanti ad una platea composta da grandi avvocati, banchieri e dirigenti industriali di portata internazionale, Giorgio inizia il suo discorso affermando che: “Il Pci non si oppone più alla Nato come negli anni Sessanta, mentre lo scopo comune è quello di superare la crisi, e creare maggiore stabilità in Italia». Il suo discorso continuò ricordando alla platea le mozioni unitarie votate in Parlamento da Pci e Dc nell’autunno del ’77 sul rafforzamento della Comunità europea, sul contributo comune da dare per la distensione, la riduzione degli armamenti, e la piena attuazione dell’Atto di Helsinki. In conclusione parlò di economia italiana e internazionale. Tutto il suo discorso fu accompagnato dal beneplacito della platea, che vedeva in lui “l’uomo giusto” da tenere all’interno del PCI. Infatti, grazie a “George”, gli americani finalmente trovarono il contatto ideale all’interno del Partito Comunista. Gli States erano alla ricerca di contatti all’interno del PCI già dal 1969, e nel 1975 anche l’intelligence statunitense si mise alla ricerca di qualche “interlocutore privilegiato”, secondo quanto afferma il “rapporto Boies”, per il crescente timore di una vittoria dei Comunisti in Italia.
Ritornato in Italia, Napolitano insieme ai “moderati” del PCI, come Amendola, Lama, Bufalini e Macaluso fonderà una corrente interna al Partito Comunista, detta “migliorista”. Questa corrente ebbe da subito, all’interno del partito, una certa influenza, e su molti aspetti pesarono le loro prese di posizione contro la linea portata avanti dal segretario Berlinguer. I miglioristi guardavano con buon occhio alle socialdemocrazie europee, mentre Berlinguer teorizzava la “terza via”, una via capace di andare al di là del capitalismo e della socialdemocrazia; ma solo su un punto i miglioristi furono d’accordo con Berlinguer, e cioè sullo “strappo” da Mosca. Quindi, in maniera subdola e più celata, il progetto di “spaccare” in due il PCI formalmente riuscì. Grazie a questa corrente, il Partito Comunista abbandonò sempre più celermente le “anacronistiche” posizioni rivoluzionarie e filosovietiche, per sposare la causa della NATO e dell’eurocomunismo. Fu grazie a questo spostamento dell’asset politico del PCI che si arrivò al dibattito degli ultimi anni ’80, che porterà allo scioglimento del Partito Comunista e alla formazione del Partito Democratico della Sinistra nel 1991. In questa fase storica e politica, gli interlocutori numero uno degli interessi statunitensi in Italia furono, paradossalmente, proprio gli ex PCI.
Ritornando a Napolitano, nel 1992 viene eletto Presidente della Camera dei Deputati, e nel ‘96 sarà Ministro dell’Interno nel governo Prodi. Nel 2006 la sua carriera arriva all’apice, infatti, il 10 maggio sarà eletto Presidente della Repubblica. Ed è con il grande gaudio degli americani, per la sua elezione alla presidenza della Repubblica, che nel 2007 George ritorna in America, di nuovo al “Council on Foreign Relations”, dopo 29 anni dalla sua ultima apparizione.
(...)
Ora è tutto più chiaro, se negli anni ’70 – ’80 un “interlocutore privilegiato” come Napolitano, poteva servire a tenere a bada alcune istanze del Partito Comunista, ora che il pericolo “rosso” è svanito il nostro caro George può divenire con tranquillità il portavoce della politica economica americana in Italia.
(...)
Quindi non bisogna stupirsi del totale e disarmante asservimento del Presidente George alle direttive d’oltreoceano; la missione in Libia è solo il naturale evolversi dei rapporti che contraddistinguono il nostro Paese con gli amici a stelle e strisce. 
(...) 
Nessuno ha aperto gli occhi sulla vera natura dell’uomo Giorgio Napolitano, un uomo che ha giocato da sempre nei balletti politici internazionali che hanno interessato il nostro Paese, defraudandoci della nostra sovranità, sempre alla mercé dei poteri economici e finanziari. Per questo, diffidiamo dalle belle parole enfatizzate dai giornali “compiacenti”, di questi uomini che parlano di libertà, pace, giustizia e altre amenità simili; l’unica certezza è che le azioni di questi “grandi” uomini, da Giorgino in poi, non sono certamente eseguite per il “nostro interesse”, ma per gli interessi che hanno da sempre condizionato, in maniera fraudolenta, la vita del nostro Paese.

domenica 13 novembre 2011

No! Questo No!

Spesso il nostro blog ospita gli articoli di Ida Magli. Non posso ora omettere di postare quest'ultimo, poichè lo sgomento per il golpe attuato non deve far passare in secondo piano, quasi fosse un dettaglio, "chi è" Mario Monti.   
Uno di questi giorni sarà bene ricordare "chi è" anche Giorgio Napolitano.

No! Questo No!
di Ida Magli
Italiani Liberi

  No, Signor Napolitano, non sopporteremo una simile nauseante “furbata”. Creare all’improvviso un senatore a vita per far credere che si tratti di un politico e fingere così che l’Italia non si sia consegnata nelle mani dei banchieri, è un sotterfugio intollerabile. Quale disprezzo per i poveri Italiani! Quale disprezzo per la Repubblica e per la politica! Abbiamo, dunque, così la misura della spaventosa miseria civile e morale dei nostri “rappresentanti”. La Bibbia afferma che “Dio vomita gli ipocriti”. Sono certa che non ha mai vomitato tanto.
  Senatore a vita il signor Mario Monti? Un cittadino benemerito della Repubblica e di specchiati costumi? Forse non tutti i cittadini lo sanno o se lo ricordano (e su questa ignoranza ha contato, oltre che sul complice silenzio dei politici e dei giornalisti, Giorgio Napolitano nel nominarlo) che Mario Monti è stato costretto, nella sua qualità di Commissario europeo sotto la presidenza Santer, a dare le dimissioni “per l’accertata responsabilità collegiale dei Commissari nei casi di frode, cattiva gestione e nepotismo” messi in luce dal Collegio di periti nominato appositamente dal Parlamento Europeo. La Relazione fatta da questi Saggi al Parlamento, nonostante la prudenza del linguaggio ufficiale, fa paura. Si parla infatti dell’assoluta mancanza di controllo nella “rete di favoritismi nell’amministrazione”, di “ausiliari esterni” e di “agenti temporanei”, di “minibilanci espressamente vietati dalle procedure amministrative”, di “numerosissimi esterni fuori bilancio, ben noti all’interno della Commissione con il soprannome di sottomarini”, che operano con “contratti fittizi”, dietro “raccomandazioni e favoritismi”; di abusi che hanno comportato, con il sistema dei “sottomarini” l’erogazione non controllata di oltre 7.000 miliardi nell’ambito dell’Ufficio Europeo per gli Aiuti umanitari d’Emergenza (miliardi usciti dalle nostre tasche, naturalmente, e che dovevano andare, ma non ci sono arrivati se non in minima parte, ai bambini della Bosnia, del Ruanda morenti di fame). Evidentemente Mario Monti è inamovibile, o meglio può perdere un posto soltanto per guadagnarne uno migliore. Nel 1999, al momento di una caduta così ignominiosa, ha provveduto la successiva Commissione, con presidente Romano Prodi, a riconsegnargli il posto di Commissario. Cose che succedono soltanto nell’onestissimo ambito delle nostre istituzioni politiche. I semplici cittadini vanno sotto processo per gli ammanchi, o come minimo perdono l’incarico.
  Perché mai, dunque, dunque, dovremmo affidare a questo signore i nostri ultimi beni? In omaggio, forse, al truffaldino sotterfugio inaugurato dalla Presidenza della Repubblica? I politici che lo voteranno come capo del governo sappiano che, visto che non possediamo nessun altro potere, annoteremo ogni loro “Sì” per cancellare per sempre il loro nome da qualsiasi futura elezione.

sabato 12 novembre 2011

Ancora Tarchi.

Gentilmente Marco Tarchi invia il testo della sua  intervista pubblicata sul numero dell'11 novembre di IL, l'allegato al Sole-24 Ore; intervista rilasciata appena prima della vicenda Monti, che quindi non viene citato anche se la penultima domanda riguarda il governo dei "tecnici" (sempre che Monti sia considerabile un "tecnico": è sufficiente essere un perfetto esecutore di ordini per essere un "tecnico"...?).
Da leggere, per provare a riprendere, con serietà e raziocinio, il filo di tanti discorsi.
Mi permetto di richiamare l'attenzione sulle parti che evidenzio in grassetto.

Indignados, scioperi contro le banche, critica della politica come casta indiscriminata.
Professor Tarchi, tira aria di rivoluzione o è normale disincanto democratico? «Nel modello di democrazia come si è sviluppata nell'ultimo cinquantennio c'è una contraddizione sottile messa in luce in particolare da uno dei grandi nomi sul populismo Margaret Canovan. Il paradosso della democrazia rappresentativa sta nel fatto che nel termine democrazia è implicita l'idea del volere popolare, quindi dell'autogoverno della popolazione. Lo strumento rappresentativo però, che era stato presentato inizialmente come il modo migliore per articolare ordinatamente questa capacità di autogoverno del popolo, è diventato il metodo per tenere lontano di fatto l'uomo comune, il soggetto dalla gestione politica».
La democrazia diventa antidemocratica... «Più che altro c'è un abuso del termine democrazia che andrebbe ridimensionato, perché oggi ci troviamo di fronte a quelli che, senza nessun tipo d'intento polemico, potremmo definire "regimi liberali", dove regime è termine neutro, come noi in scienza politica usiamo l'espressione regimi autoritari, totalitari, democratici. Modelli nei quali il meccanismo di governo è fortemente elitario ma in cui c'è una richiesta continua di consenso di quelle decisioni che la élite politica prende». Flusso di consenso, direbbe Bauman. «La creazione dell'opinione attraverso i flussi comunicativi ci riporta piuttosto un altro studioso, Armani, che ha definito la nostra "democrazia dell'audience". Quello che si cerca è l'applauso da parte di un pubblico che accetti di vedersi confrontare sulla scena i vari soggetti politici che propongono programmi che poi hanno pesi diversi ma che in definitiva vuole essere premiato all'applausometro».
Quando crolla l'audience? «Finché le condizioni economiche e sociali consentono, per usare un'espressione della mia generazione, di vivere al di sopra dei propri mezzi con il debito pubblico, i meccanismi clientelari le logiche di scambio tra gruppi d'interesse, partiti allora non c'è un'incrinatura forte nel rapporto tra la cosiddetta società civile e la società politica. Ma quando viene meno qualche elemento di questa specie di piattaforma di sicurezza molti cominciano a domandarsi: "Ma perché devo starmene qui in silenzio mentre là sopra si fanno i fatti loro e non pagano il prezzo della crisi come lo pago io?". Questo spiega, ad esempio, in maniera sensata e scientifica quello che tante volte si rappresenta in forma polemica e piuttosto abborracciata, la nascita della mentalità populista. Perché la base è proprio questa, la rivendicazione del diritto-dovere di incidere sulle decisioni in quanto la legittimità del governo è sulla base del consenso popolare. E quindi l'idea che i partiti e i governi devono rendere conto in maniera più trasparente e meno episodica delle loro azioni è alla base stessa della legittimità democratica. Quindi prendere tutto questo come espressione semplicemente di un fastidio verso la democrazia secondo me è assolutamente errato. D'altra parte...». D'altra parte? «Mi chiedo: ma la cosiddetta società civile ha poi davvero il diritto di autoassolversi in questi malfunzionamenti del nostro sistema politico? Io penso di no. Perché se è vero che l'inefficienza, le logiche di scambio clientelare, la mancata trasparenza nei rapporti con la pubblica amministrazione, se tutto questo si è verificato si deve anche a una sorta di acquiescenza di questa pubblica opinione che per lungo tempo si è accontentata di queste logiche di scambio, che ha ritenuto che si potesse ricavare comunque qualche vantaggio dal fatto che il sistema non guardava all'efficienza ma alla conquista di spazi di consenso in una logica di do ut des. Quindi da questo punto di vista da quale pulpito viene la predica?».
E i giovani che si indignano oyunque? «È evidente che siamo di fronte a un tipo di reazione di massa che non ha un movente ideologico, a differenza di altri momenti. Il problema è sempre quello però che investe la vita dei movimenti collettivi. Ovvero, questi movimenti sorgono quasi sempre spontaneamente sulla base di stati d'animo collettivi e dunque implicano passionalità, impegno, in genere sono mossi da studenti o comunque da giovani che hanno tempo ed energie da dedicare, conquista soprattutto un movimento di questo tipo una visibilità mediale molto acuta. Per cui finisce per fare prevalere un momento di pura espressività senza che vi sia la riflessività. Senza pretendere da questi movimenti delle analisi economicamente ortodosse vorrei capire se vi è dietro questo tipo di spinte quantomeno la delineazione di un modello di società alternativo partendo dal piano dei comportamenti individuali e collettivi o se vi sia soltanto lo sfogo umorale. Perché esso è legittimo ma è un grido di protesta che si risolve in se stesso. Pensi al 1968». Politicamente, un fallimento. «Sì, però ha trascinato con sé una modifica sostanziale del costume. Io non vedo traccia negli indignados di questo aspetto. Quale è il messaggio dal punto di vista del costume, della mentalità comportamentale che emerge da queste spinte? Certamente non si può pensare che sia positivo lo sfasciamento sistematico di certi obiettivi simbolici, quando si dice noi rifiutiamo la logica delle banche che succhiano il sangue al popolo, si è poi disposti per interrompere questo circuito per esempio a ridiscutere la mentalità del consumismo, ovvero c'è l'idea che si possa - come taluni dicono - vivere meglio con meno? E se sì, come si esprime tutto questo perché se questo tipo di spinta non c'è è semplicemente la rivendicazione di un miglior posto a tavola ma non si mettono in discussione la tavole né le pietanze che vengono servite, né il contesto nel quale questo avviene e così via, allora...».
È pensabile un modello di democrazia che superi quella liberale? «L'epoca è dominata da uno Zeitgeist nel quale domina la profezia di Fukuyama, per cui siamo arrivati allo stadio estremo della pensabilità di un modello di pensabilità politica. Dopo la democrazia liberale non c'è più niente che possa andare in questa direzione ulteriore. Se stiamo dentro quest'orizzonte naturalmente non si può pensare che la via della mobilitazione di piazza sia una risposta efficace, anche se io da tempo rifletto su un punto che mi pare piuttosto critico». Quale? «Si è detto qualche decennio addietro che c'era il rischio che la democrazia come "regime di opinioni", per citare Sartori, legittimato attraverso la politica dalla prova delle elezioni e la dialettica parlamentare era sfidata dalla "videopolitica", dalla sorta di un contropotere che nel caso specifico era quello che veniva esercitato attraverso l'uso dei sondaggi attraverso il classico richiamo a cui tutti hanno fatto ricorso, al foglietto di carta in cui c'è scritto anche se avete vinto le elezioni oggi i sondaggi ci dicono che il 59 per cento dei cittadini non è d'accordo con quello che fate mentre la nostra proposta, eccetera. Ebbene, oggi ho l'impressione che si stia pensando da più parti che vi sia un altro modo per correggere la via parlamentare come forma di democrazia e sia la democrazia non dell'audience ma della "mobilitazione in piazza" per cui contano i numeri di quanti si riescono a mobilitare e questa grande esaltazione delle primavere arabe ha contribuito a mettere in circuito questa sensazione, che è pericolosa perché in fondo fa pensare che la vox populi sia solo quella di coloro che hanno tempo, voglia e risorse per poter scendere in piazza per manifestare più o meno rumorosamente. Ma non dimentichiamo un dato: noi viviamo in società complesse e popolate, e quand'anche si portino trecentomila, cinquecentomila persone in una piazza di un Paese come l'Italia, ce ne sono cinquantanove milioni e mezzo che in piazza non ci sono andati».
Non c'è alternativa a questo sistema, dunque? «L'idea che si debba ricorrere a questo strumento perché la classe politica resta rappresentativamente tutta corrotta, tutta inefficiente e tutta incapace, crea lo scadimento verso gli aspetti più pericolosi del populismo, uno sbocco preoccupante di quello che chiamava disincanto democratico. Anche perché nel nostro tempo dopo la democrazia nell'orizzonte dei valori che vengono condivisi dalla mentalità collettiva c'è solo la tecnocrazia».
Una tentazione ricorrente, il governo dei tecnici puri. «Scartata la carta di altre soluzioni, che hanno fallito storicamente, come tutte quelle di ordine gerarchizzante che erano caratteristiche dei regimi autoritari o totalitari, diamo tutto in mano ai tecnici perché sono loro gli unici che ci possono traghettare fuori dal disastro. Tutto questo è pericolosissimo. Perché in questo modo con una sorta di espropriazione della politica ci si mette in mano senza mediazioni al gioco puro degli interessi. Economici in prima battuta, i quali sono suscettibili a logiche che non sono democratiche affatto, si arriva al paradosso che la postdemocrazia diviene una negazione piena delle premesse del discorso democratico e diventa un'accentuazione foltissima del gioco più o meno libero oppure più o meno oligopolistico dei centri di potere economico».
Ultima domanda. Quali sono i temi politici su cui si dividerà la società del futuro? L'ambientalismo? «No. L'ambientalismo è stato assorbito da tutte le forze politiche, perché era un elemento positivo e spendibile. Chi del resto è contro l'ambiente? I clivage del futuro saranno le forme di organizzazione della società multiculturale, che subiscono l'immigrazione di massa. Come si governeranno, queste società? Con il multiculturalismo o il monoculturalismo. Oggi la discussione è ancora rozza, tra xenofobi e xenofili, ma si raffinerà. Un altro importante clivage sarà la bioetica, che mette in campo il nodo centrale della modernità compiuta in cui l'individuo è l'unico padrone di se stesso e del proprio habitat che vuole e deve decidere a piacere. Saremo divisi tra sostenitori dell'ordine naturale e di quello supernaturale»

Dall'era dei pagliacci a quella dei banchieri.

Qualcuno mi sta chiedendo perchè, in presenza del golpe attualmente in atto, io non pubblichi alcun commento sulla gravissima situazione italiana.
La risposta è semplice: perchè, a questo punto, siamo in presenza di fatti così incredibili, assurdi, inverosimili, che nessun commento è più adeguato.
Vedo che persino un politologo navigato come Marco Tarchi è disgustato e praticamente senza parole, come ben si intuisce dal messaggio che ha inviato due giorni fa:

Un amico mi segnala un "post" su Facebook a firma di Luciano Lanno. Lo trascrivo, a beneficio di quegli amici (con e senza virgolette) che sono stati, anche solo per un attimo, tentati di credere alle mistificazioni di chi vorrebbe apparentare la Nuova Destra a questi epigoni del Peggio, che non da oggi invocano il sostegno dei "poteri forti" (così li chiamano loro stessi) e finalmente li hanno anche ufficialmente al governo. Dall'era dei pagliacci passiamo a quella dei banchieri, e la legittimazione del commissariamento della politica da parte dell'economia è compiuta. Bella gente ci è circolata dintorno trent'anni fa...
 Buona lettura, se vi resiste lo stomaco.
Forse ci siamo: nasce un governo di alto profilo istituzionale, con personalità autorevole come ministri, e con il sostegno politico di tutte le forze democratiche dal Pd a Fli, sino ai parlamentari cattolici e liberali eletti nel centrodestra (a cominciare a Beppe Pisanu). E ai margini, all'opposizione, le due forze populiste della Lega e dell'Idv. Sarebbe una vera e grande svolta, un anno di decantazione e di aggressione alla crisi finanziaria per poi passare a una storica legislatura costituente. Meno male che Giorgio Napolitano c'è"

giovedì 10 novembre 2011

Basi militari.

Non c'è circolo politico in cui, prima o poi, non sia iniziata la discussione: ma insomma, QUANTE BASI MILITARI STATUNITENSI CI SONO IN ITALIA??
Le risposte, e le opinioni, sono le più disparate. C'è chi dice tre, chi sedici, chi addirittura (esagerato!) ventuno.
Un amico di mail, Paolo Baroni, mi invia ora l'elenco che segue. Ovviamente attendo smentite, se possibili.

Le sigle

Usaf: aviazione

Navy: marina

Army: esercito

Nsa: National security agency [Agenzia di sicurezza nazionale]

Setaf: Southern european task force [Task force sudeuropea]




Elenco per Regioni


Trentino Alto Adige


1. Cima Gallina [Bz]. Stazione telecomunicazioni e radar dell'Usaf.

2. Monte Paganella [Tn]. Stazione telecomunicazioni Usaf.


Friuli Venezia Giulia


3. Aviano [Pn]. La più grande base avanzata, deposito nucleare e centro di telecomunicazioni dell'Usaf in Italia [almeno tremila militari e civili americani ]. Nella base sono dislocate le forze operative pronte al combattimento dell'Usaf [un gruppo di cacciabombardieri ] utilizzate in passato nei bombardamenti in Bosnia. Inoltre la Sedicesima Forza Aerea ed il Trentunesimo Gruppo da caccia dell'aviazione Usa, nonché uno squadrone di F-18 dei Marines. Si presume che la base ospiti, in bunker sotterranei la cui costruzione è stata autorizzata dal Congresso, bombe nucleari. Nella base aerea di Aviano (Pordenone) sono permanentemente schierate, dal 1994, la 31st Fighter Wing, dotata di due squadriglie di F-16 [nella guerra contro la Jugoslavia nel 1999, effettuo' in 78 giorni 9.000 missioni di combattimento: un vero e proprio record] e la 16th Air Force. Quest'ultima è dotata di caccia F-16 e F-15, e ha il compito, sotto lo U. S. European Command, di pianificare e condurre operazioni di combattimento aereo non solo nell'Europa meridionale, ma anche in Medio Oriente e Nordafrica. Essa opera, con un personale di 11.500 militari e civili, da due basi principali: Aviano, dove si trova il suo quartier generale, e la base turca di Incirlik. Sara' appunto quest'ultima la principale base per l'offensiva aerea contro l'Iraq del nord, ma l'impiego degli aerei della 16th Air Force sara' pianificato e diretto dal quartier generale di Aviano.

4. Roveredo [Pn]. Deposito armi Usa.

5. Rivolto [Ud]. Base USAF.

6. Maniago [Ud]. Poligono di tiro dell'Usaf.

7. San Bernardo [Ud]. Deposito munizioni dell'Us Army.

8. Trieste. Base navale Usa.


Veneto


9. Camp Ederle [Vi]. Quartier generale della Nato e comando della Setaf della Us Army, che controlla le forze americane in Italia, Turchia e Grecia. In questa base vi sono le forze da combattimento terrestri normalmente in Italia: un battaglione aviotrasportato, un battaglione di artiglieri con capacità nucleare, tre compagnie del genio. Importante stazione di telecomunicazioni. I militari e i civili americani che operano a Camp Ederle dovrebbero essere circa duemila.

10. Vicenza: Comando Setaf. Quinta Forza aerea tattica [Usaf]. Probabile deposito di testate nucleari.

11. Tormeno [San Giovanni a Monte, Vi]. Depositi di armi e munizioni.

12. Longare [Vi]. Importante deposito d'armamenti.

13. Oderzo [Tv]. Deposito di armi e munizioni

14. Codognè [Tv]. Deposito di armi e munizioni

15. Istrana [Tv]. Base Usaf.

16. Ciano [Tv]. Centro telecomunicazioni e radar Usa.

17. Verona. Air Operations Center [Usaf ]. e base Nato delle Forze di Terra del Sud Europa; Centro di telecomunicazioni [Usaf].

18. Affi [Vr]. Centro telecomunicazioni Usa.

19. Lunghezzano [Vr]. Centro radar Usa.

20. Erbezzo [Vr]. Antenna radar Nsa.

21. Conselve [Pd ]. Base radar Usa.

22. Monte Venda [Pd]. Antenna telecomunicazioni e radar Usa.

23. Venezia. Base navale Usa.

24. Sant'Anna di Alfaedo [Pd]. Base radar Usa.

25. Lame di Concordia [Ve]. Base di telecomunicazioni e radar Usa.

26. San Gottardo, Boscomantivo [Ve]. Centro telecomunicazioni Usa.

27. Ceggia [Ve]. Centro radar Usa.


Lombardia


28. Ghedi [Bs]. Base dell'Usaf, stazione di comunicazione e deposito di bombe nucleari.

29. Montichiari [Bs]. Base aerea [Usaf ].

30. Remondò [Pv]. Base Us Army.

108. Sorico [Co]. Antenna Nsa.


Piemonte


31. Cameri [No]. Base aerea Usa con copertura Nato.

32. Candelo-Masazza [Vc]. Addestramento Usaf e Us Army, copertura Nato.


Liguria


33. La Spezia. Centro antisommergibili di Saclant [vedi 35 ].

34. Finale Ligure [Sv]. Stazione di telecomunicazioni della Us Army.

35. San Bartolomeo [Sp]: Centro ricerche per la guerra sottomarina. Composta da tre strutture. Innanzitutto il Saclant, una filiale della Nato che non è indicata in nessuna mappa dell'Alleanza atlantica. Il Saclant svolgerebbe non meglio precisate ricerche marine: in un dossier preparato dalla federazione di Rifondazione Comunista si parla di "occupazione di aree dello specchio d'acqua per esigenze militari dello stato italiano e non [ricovero della VI flotta Usa]". Poi c'è Maricocesco, un ente che fornisce pezzi di ricambio alle navi. E infine Mariperman, la Commissione permanente per gli esperimenti sui materiali da guerra, composta da cinquecento persone e undici istituti [dall'artiglieria, munizioni e missili, alle armi subacquee].


Emilia Romagna


36. Monte San Damiano [Pc]. Base dell'Usaf con copertura Nato.

37. Monte Cimone [Mo]. Stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

38. Parma. Deposito dell'Usaf con copertura Nato.

39. Bologna. Stazione di telecomunicazioni del Dipartimento di Stato.

40. Rimini. Gruppo logistico Usa per l'attivazione di bombe nucleari.

41. Rimini-Miramare. Centro telecomunicazioni Usa.


Marche


42. Potenza Picena [Mc]. Centro radar Usa con copertura Nato.


Toscana


43. Camp Darby [Pi]. Il Setaf ha il più grande deposito logistico del Mediterraneo [tra Pisa e Livorno], con circa 1.400 uomini, dove si trova il 31st Munitions Squadron. Qui, in 125 bunker sotterranei, e' stoccata una riserva strategica per l'esercito e l'aeronautica statunitensi, stimata in oltre un milione e mezzo di munizioni. Strettamente collegato tramite una rete di canali al vicino porto di Livorno, attraverso il Canale dei Navicelli, è base di rifornimento delle unità navali di stanza nel Mediterraneo. Ottavo Gruppo di supporto Usa e Base dell'US Army per l'appoggio alle forze statunitensi al Sud del Po, nel Mediterraneo, nel Golfo, nell'Africa del Nord e la Turchia.

44. Coltano [Pi]. Importante base Usa-Nsa per le telecomunicazioni: da qui sono gestite tutte le informazioni raccolte dai centri di telecomunicazione siti nel Mediterraneo. Deposito munizioni Us Army; Base Nsa.

45. Pisa [aeroporto militare]. Base saltuaria dell'Usaf.

46. Talamone [Gr]. Base saltuaria dell'Us Navy.

47. Poggio Ballone [Gr]. Tra Follonica, Castiglione della Pescaia e Tirli: Centro radar Usa con copertura Nato.

48. Livorno. Base navale Usa.

49. Monte Giogo [Ms]. Centro di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.


Sardegna


50. La Maddalena - Santo Stefano [Ss]. Base atomica Usa, base di sommergibili, squadra navale di supporto alla portaerei americana "Simon Lake".

51. Monte Limbara [tra Oschiri e Tempio, Ss]. Base missilistica Usa.

52. Sinis di Cabras [Or]. Centro elaborazioni dati [Nsa].

53. Isola di Tavolara [Ss]. Stazione radiotelegrafica di supporto ai sommergibili della Us Navy.

54. Torre Grande di Oristano. Base radar Nsa.

55. Monte Arci [Or]. Stazione di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

56. Capo Frasca [Or]. Eliporto ed impianto radar Usa.

57. Santulussurgiu [Or]. Stazione telecomunicazioni Usaf con copertura Nato.

58. Perdasdefogu [Nu]. Base missilistica sperimentale.

59. Capo Teulada [Ca]. Da Capo Teulada a Capo Frasca [Or ], all'incirca 100 chilometri di costa, 7.200 ettari di terreno e più di 70 mila ettari di zone "off limits": poligono di tiro per esercitazioni aeree ed aeronavali della Sesta flotta americana e della Nato.

60. Cagliari. Base navale Usa.

61. Decimomannu [Ca]. Aeroporto Usa con copertura Nato.

62. Aeroporto di Elmas [Ca]. Base aerea Usaf.

63. Salto di Quirra [Ca]. poligoni missilistici.

64. Capo San Lorenzo [Ca]. Zona di addestramento per la Sesta flotta Usa.

65. Monte Urpino [Ca]. Depositi munizioni Usa e Nato.


Lazio


66. Roma. Comando per il Mediterraneo centrale della Nato e il coordinamento logistico interforze Usa. Stazione Nato

67. Roma Ciampino [aeroporto militare]. Base saltuaria Usaf.

68. Rocca di Papa [Rm]. Stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato, in probabile collegamento con le installazioni sotterranee di Monte Cavo

69. Monte Romano [Vt]. Poligono saltuario di tiro dell'Us Army.

70. Gaeta [Lt]. Base permanente della Sesta flotta e della Squadra navale di scorta alla portaerei "La Salle".

71. Casale delle Palme [Lt]. Scuola telecomunicazioni Nato sotto controllo Usa.


Campania


72. Napoli. Comando del Security Force dei Marines. Base di sommergibili Usa. Comando delle Forze Aeree Usa per il Mediterraneo. Porto normalmente impiegato dalle unità civili e militari Usa. Si calcola che da Napoli e Livorno transitino annualmente circa cinquemila contenitori di materiale militare.

73. Aeroporto Napoli Capodichino. Base aerea Usaf.

74. Monte Camaldoli [Na]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

75. Ischia [Na]. Antenna di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

76. Nisida [Na]. Base Us Army.

77. Bagnoli [Na]. Sede del più grande centro di coordinamento dell'Us Navy di tutte le attività di telecomunicazioni, comando e controllo del Mediterraneo.

78. Agnano [nelle vicinanze del famoso ippodromo]. Base dell'Us Army.

80. Licola [Na]. Antenna di telecomunicazioni Usa.

81. Lago Patria [Ce]. Stazione telecomunicazioni Usa.

82. Giugliano [vicinanze del lago Patria, Na]. Comando Statcom.

83. Grazzanise [Ce]. Base saltuaria Usaf.

84. Mondragone [Ce]: Centro di Comando Usa e Nato sotterraneo antiatomico, dove verrebbero spostati i comandi Usa e Nato in caso di guerra

85. Montevergine [Av]: Stazione di comunicazioni Usa.


Basilicata


79. Cirigliano [Mt]. Comando delle Forze Navali Usa in Europa.

86. Pietraficcata [Mt]. Centro telecomunicazioni Usa e Nato.


Puglia


87. Gioia del Colle [Ba]. Base aerea Usa di supporto tecnico.

88. Brindisi. Base navale Usa.

89. Punta della Contessa [Br]. Poligono di tiro Usa e Nato.

90. San Vito dei Normanni [Br]. Vi sarebbero di stanza un migliaio di militari americani del 499° Expeditionary Squadron;.Base dei Servizi Segreti. Electronics Security Group [Nsa ].

91. Monte Iacotenente [Fg]. Base del complesso radar Nadge.

92. Otranto. Stazione radar Usa.

93. Taranto. Base navale Usa. Deposito Usa e Nato.

94. Martinafranca [Ta]. Base radar Usa.


Calabria


95. Crotone. Stazione di telecomunicazioni e radar Usa e Nato.

96. Monte Mancuso [Cz]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

97. Sellia Marina [Cz]. Centro telecomunicazioni Usa con copertura Nato.


Sicilia


98. Sigonella [Ct]. Principale base terrestre dell'Us Navy nel Mediterraneo centrale, supporto logistico della Sesta flotta [circa 3.400 tra militari e civili americani ]. Oltre ad unità della Us Navy, ospita diversi squadroni tattici dell'Usaf: elicotteri del tipo HC-4, caccia Tomcat F14 e A6 Intruder, gruppi di F-16 e F-111 equipaggiati con bombe nucleari del tipo B-43, da più di 100 kilotoni l'una.

99. Motta S. Anastasia [Ct]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

100. Caltagirone [Ct]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

101. Vizzini [Ct]. Diversi depositi Usa. Nota: un sottufficiale dell'aereonautica militare ci ha scritto, precisando che non vi sono installazioni USA in questa base militare italiana.

102. Palermo Punta Raisi [aeroporto]. Base saltuaria dell'Usaf.

103. Isola delle Femmine [Pa]. Deposito munizioni Usa e Nato.

104. Comiso [Rg]. La base risulterebbe smantellata.

105. Marina di Marza [Rg]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

106. Augusta [Sr]. Base della Sesta flotta e deposito munizioni.

107. Monte Lauro [Sr]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

109. Centuripe [En]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

110. Niscemi [Cl]. Base del NavComTelSta [comunicazione Us Navy ].

111. Trapani. Base Usaf con copertura Nato.

112. Isola di Pantelleria [Tp]: Centro telecomunicazioni Us Navy, base aerea e radar Nato.

113. Isola di Lampedusa [Ag]: Base della Guardia costiera Usa. Centro d'ascolto e di comunicazioni Nsa.