domenica 20 ottobre 2013

Hanno partorito un mostro giuridico.

Purtroppo anche Veneziani, a proposito di leggi liberticide, parla di "reato di opinione".
Ho già cercato di spiegare innumerevoli volte che lo psicoreato è ben altro, e ben più, che un reato di opinione, definizione - quest'ultima - decisamente riduttiva.
Comunque, a parte questa imprecisione, anche questo articolo merita di essere letto.
Dal sito www.ilgiornale.it:


Hanno partorito un mostro giuridico, di Marcello Veneziani

Non ce ne stiamo accorgendo ma la repubblica di Napolitano e della Boldrini, del ministro Kyenge e dei manovali del Parlamento sta stravolgendo lo Stato di diritto.
Non ce ne stiamo accorgendo ma, nel giro di poche settimane, la repubblica di Napolitano e della Boldrini, del ministro Kyenge e dei volenterosi manovali del Parlamento, sta stravolgendo lo Stato di diritto e il senso della giustizia col plauso dei media.
Viene introdotto il reato di omofobia, nasce cioè un reato dedicato in esclusiva; viene introdotto il femminicidio, cioè viene stabilito che c'è un omicidio più omicidio degli altri; viene negato il reato di immigrazione clandestina e dunque la cittadinanza non ha più valore; viene introdotto il reato di negazionismo, valido solo per la shoah.
Vengono così stravolti i principi su cui si fonda ogni civiltà giuridica: l'universalità della norma che deve valere per tutti, il principio più volte sbandierato e poi di fatto calpestato, della legge uguale per tutti; viene punito col carcere il reato d'opinione, e colpendo solo certe opinioni; viene sancita la discriminazione di genere, a tutela di alcune minoranze; è vanificata l'opera del giudice nell'individuare eventuali aggravanti nei reati giudicati perché vengono indicate a priori quelle rilevanti e dunque sono suggerite pure quelle irrilevanti.
Usano l'eccezione per colpire la norma, piegano le leggi a campagne ideologico-emotive e le rendono variabili. Sfasciano la giustizia col plauso dei giustizialisti, uccidono la libertà e l'uguaglianza, il diritto e la tolleranza nel nome della libertà e dell'uguaglianza, del diritto e della tolleranza.
Un mostro. E se provi a dirlo, il mostro sei tu, a suon di legge.

VOGLIONO I NOSTRI RISPARMI!

Gabriele Gruppo è ben noto per la cura e precisione con cui analizza la realtà politica, sociale ed economica internazionale.
Grazie alle sue ricerche è emersa questa notizia-bomba.
Dal sito wordpress.thule-italia.net:

VOGLIONO I NOSTRI RISPARMI!

IMF Discusses A Super Tax Of 10% On All Savings In Eurozone

One of the latest reports from the IMF discusses a super taxation of 10% on savings in the Eurozone. That would solve the debt problem in most sovereign countries. It would be an alternative of higher taxes or spending cuts.
The economists who wrote the paper hasten to say that it is a theoretical proposal. Still, it appears to be “an efficient solution” for the debt problem. For a group of 15 European countries such a measure would bring the debt ratio to “acceptable” levels, i.e. comparable to levels before the 2008 crisis.
(…)
The sharp deterioration of the public finances in many countries has revived interest in a “capital levy”— a one-off tax on private wealth—as an exceptional measure to restore debt sustainability. The appeal is that such a tax, if it is implemented before avoidance is possible and there is a belief that it will never be repeated, does not distort behavior (and may be seen by some as fair). There have been illustrious supporters, including Pigou, Ricardo, Schumpeter, and—until he changed his mind—Keynes. The conditions for success are strong, but also need to be weighed against the risks of the alternatives, which include repudiating public debt or inflating it away (these, in turn, are a particular form of wealth tax—on bondholders—that also falls on nonresidents)
There is a surprisingly large amount of experience to draw on, as such levies were widely adopted in Europe after World War I and in Germany and Japan after World War II. Reviewed in Eichengreen (1990), this experience suggests that more notable than any loss of credibility was a simple failure to achieve debt reduction, largely because the delay in introduction gave space for extensive avoidance and capital flight – in turn spurring inflation.
The tax rates needed to bring down public debt to precrisis levels, moreover, are sizable: reducing debt ratios to end-2007 levels would require (for a sample of 15 euro area countries) a tax rate of about 10 percent on households with positive net wealth(*).
(*) IMF staff calculcation using the Eurosystem’s Household Finance and Consumption Survey; unweighted average.
Fonte www.goldsilverworlds.com


Ci siamo, dovevamo aspettarcelo che prima o poi sarebbe accaduto. Mentre noi, qui in Italia, dissertiamo inutilmente sui cadaveri, poco importa di chi siano, dal FMI parte un suggerimento per Unione Europea e Banca Centrale Europea:
Il prelievo del 10% su tutti i conti correnti
Sì, avete capito bene; ecco la traduzione di parte dell’articolo proposto:

“Una delle ultime relazioni del FMI propone una super tassazione del 10% sul risparmio nell’Eurozona. Ciò consentirà di risolvere il problema del debito nella maggior parte dei paesi sovrani. Sarebbe un’alternativa di maggiori imposte e tagli alla spesa.
Gli economisti che hanno redatto il documento si affrettano a dire che si tratta di una proposta teorica. Eppure, sembra essere una soluzione efficiente per il problema del debito. Per un gruppo di 15 paesi europei tale misura porterebbe il rapporto debito a livelli accettabili, cioè paragonabile ai livelli di prima della crisi del 2008”.

Il prelievo forzoso dai conti correnti di milioni di europei, risulta essere quindi una “soluzione efficiente”, una sorta di male minore, capace di risanare l’ansimante area monetaria comune dopo anni di criticità.
Ecco così prospettarsi l’ipotesi Cipro, non soltanto per nazioni in difficoltà come Italia o Spagna, ma anche per quelle più solide, Germania in primis, e per quelle che fingono di esserlo, come la Francia.
Tutti, quindi, nessuno escluso, saranno le potenziali vittime della più grande RAPINA della storia; perché di questo si tratta di una RAPINA, fatta ai danni dei popoli di un continente intero.
Inutili sono le precisazioni e i “distinguo”, se il FMI suggerisce come ipotesi il prelievo forzoso, vuol dire che qualche cosa già bolle in pentola da mesi, forse da anni, vista la lungimiranza degli uomini grigi che stanno in quelle potenti stanze di comando e controllo del sistema.
Probabilmente, per far digerire la medicina amara, in molte nazioni si ricorrerà a stratagemmi di emergenza, così da poter bloccare sul nascere qualsiasi contestazione a questa iniqua decisione. In Italia siamo certi si agirà sfruttando l’apatia generalizzata del popolo, o criminalizzando chiunque oserà alzare il dito contro il “sacro verbo” della BCE.
Non ci facciamo illusioni, arriverà, il prelievo forzoso arriverà, magari in sordina, in una notte qualsiasi. Così come agiscono i ladri, agiranno anche i sedicenti rappresentanti del popolo e noi, poveri fessi inermi, potremo solo dolerci del maltolto, senza poter rivendicare il diritto alla difesa che, in teoria, spetterebbe proprio a questo Stato democratico, il cui unico obiettivo non è quello di servire il popolo ma i nuovi padroni delle nostre esistenze.

Libia liberata: il caos regna sovrano.

E' un articolo un po' lungo, ma merita leggerlo per fare il punto sulla situazione libica. Della quale, ovviamente, nessuno parla più.
Da aurorasito.wordpress.com:


La Libia nel caos a due anni dalla liberazione umanitaria della NATO, di F. William Engdahl

Nel 2011, quando Muammar Gheddafi si rifiutò di lasciare tranquillamente il governo della Libia, l’amministrazione Obama, nascondendosi dietro le sottane dei francesi, lanciò una feroce campagna di bombardamenti e una “no-fly zone” sul Paese per supportare i cosiddetti combattenti per la democrazia. Gli Stati Uniti mentirono a Russia e Cina, con l’aiuto del filo-USA Consiglio di cooperazione del Golfo, per la risoluzione del Consiglio di Sicurezza sulla Libia, utilizzata per giustificare una guerra illegale. La dottrina della “responsabilità di proteggere” fu anche usata, la stessa dottrina che Obama vuole utilizzare in Siria. E’ utile guardare alla Libia due anni dopo l’intervento umanitario della NATO.

Il caos nel settore petrolifero
L’economia della Libia dipende dal petrolio. Subito dopo la guerra, i media occidentali salutarono il fatto che le installazioni petrolifere non fossero state danneggiate dai bombardamenti sulla popolazione e che la produzione di petrolio fosse quasi normale, pari a 1,4 milioni di barili/giorno (bpd). Poi, a luglio le guardie armate al soldo del governo di Tripoli improvvisamente si ribellarono e presero il controllo dei terminali dei giacimenti petroliferi orientali che dovevano proteggere. Vi si estraeva il grosso del petrolio della Libia, nei pressi di Bengasi, dove dalle pipeline le petroliere ricevevano il petrolio per l’esportazione nel Mediterraneo. Quando il governo perse il controllo della produzione e dei terminali, le esportazioni registrarono un netto calo. Poi un altro gruppo tribale armato prese il controllo dei due giacimenti petroliferi nel sud, bloccando il flusso di petrolio per i terminali sulla costa nord-ovest. Gli occupanti tribali chiedevano maggiori paghe e scesero in sciopero per chiedere maggiore retribuzione e la fine della corruzione. Il risultato finale, oggi, inizio di settembre, è che la Libia ha pompato solo 150.000 barili su una capacità di 1,6 milioni di barili al giorno. Le esportazioni sono diminuite a 80.000 barili al giorno. [1]

Milizie armate contro i Fratelli musulmani
La Libia è uno Stato artificiale, come gran parte del Medio Oriente e dell’Africa, tracciato dall’Italia in epoca coloniale, nella prima guerra mondiale. Era governato per consenso delle numerose tribù. Gheddafi fu scelto con un lungo processo di voto dagli anziani delle tribù, cosa che poteva richiedere fino a 15 anni, mi è stato detto da un esperto. Quando fu assassinato e la sua famiglia braccata, la NATO impose il dominio del Consiglio nazionale di transizione (CNT) dominato dalla Fratellanza musulmana. Ora, ad agosto, una nuova Assemblea è stata eletta, sempre dominata dalla Fratellanza come l’Egitto di Mursi o la Tunisia. Suonava bene sulla carta, ma la realtà è che, a detta di tutti, le bande di fuorilegge armati, per la prima volta dalla guerra, con armi moderne e jihadisti stranieri di al-Qaida, compiono bombardamenti quotidiani in tutto il Paese per avere il controllo locale. Tripoli stessa ha numerose bande armate che ne controllano i quartieri. Si sta passando alla lotta armata tra le milizie tribali locali, che vanno formandosi, e la fratellanza che controlla il governo centrale. I leader delle province di Cirenaica e Fezzan prendono in considerazione la rottura con Tripoli, e le milizie ribelli di mobilitano in tutto il Paese. [2]

Attentati a Tripoli ogni giorno, mentre si diffonde l’illegalità
Nuri Abu Sahmain, fratello musulmano e neoeletto Presidente del Congresso, ha convocato le milizie alleate della Confraternita nella capitale, per cercare d’impedire un colpo di stato, un’azione che l’opposizione vede come un colpo di Stato della Fratellanza. Il principale partito di opposizione, le forze di centro-destra dell’Alleanza nazionale, di conseguenza ha abbandonato il Congresso insieme a diversi partiti etnici più piccoli, lasciando il partito della Giustizia e della Costruzione della Fratellanza a capo di un governo dall’autorità in rovina. “Il Congresso è sostanzialmente collassato”, ha detto un diplomatico a Tripoli. [3] L’amministrazione Obama ha promosso il cambio di regime in tutto il mondo musulmano, dall’Egitto alla Tunisia alla Siria, in favore degli oscuri Fratelli musulmani, nell’ambito della strategia a lungo termine per il controllo dell’Arco di Crisi musulmano, dall’Afghanistan alla Libia. Mentre il colpo di Stato militare sostenuto dai sauditi contro il presidente della Fratellanza Muhammad Mursi, in Egitto, a luglio, ha dimostrato che la strategia di Obama ha qualche problema.

Rivolte e illegalità
Con l’aumento delle violenze, il ministro dell’Interno Muhammad Qalifa al-Shaiq si è dimesso ad agosto. Circa 500 prigionieri nel carcere di Tripoli entrarono in sciopero della fame per protestare contro due anni di detenzione senza accuse. Quando il governo ha ordinato al Comitato supremo della sicurezza di ristabilire l’ordine, spararono ai prigionieri attraverso le sbarre. A luglio, 1200 prigionieri fuggirono da una prigione dopo una rivolta a Bengasi. Illegalità e anarchia si diffondono. [4] I berberi, la cui milizia aveva assaltato Tripoli nel 2011, hanno occupato temporaneamente il parlamento a Tripoli. Poiché Stati Uniti e NATO furono irremovibili nel non avere “stivali sul terreno”, consegnarono deliberatamente qualsiasi arma a tutti i ribelli che avrebbero sparato alle truppe del governo di Gheddafi. Ancora oggi hanno armi e la Libia mi viene descritta, da un giornalista francese che di recente vi si era recato, come “il più grande bazar all’aperto di armi del mondo“, dove chiunque può acquistare qualsiasi moderna arma della NATO. Gli stranieri sono in gran parte fuggiti da Bengasi, laddove l’ambasciatore statunitense fu ucciso nel consolato degli Stati Uniti dai miliziani jihadisti, lo scorso settembre. E il procuratore militare della Libia, colonnello Yusif Ali al-Asaifar, incaricato di indagare sugli omicidi di politici, militari e giornalisti, è stato lui stesso assassinato da una bomba nella propria auto, il 29 agosto. [5] Le prospettive sono tristi mentre si allarga l’illegalità. Suleiman Qajam, un membro della commissione parlamentare per l’energia, ha detto a Bloomberg che “il governo utilizza le sue riserve. Se la situazione non migliora, non sarà in grado di pagare gli stipendi entro la fine dell’anno“.
L’amministrazione Obama sostiene che l’uso, non ancora provato, del governo di Assad di armi chimiche in Siria giustifica una guerra con bombardamenti da parte della NATO e di alleati come Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Giordania, in base all’ingannevole dottrina “umanitaria” detta “responsabilità di proteggere”, che sostiene che certe violazioni dei diritti o della sicurezza delle persone, sono così gravi da trascendere il diritto internazionale, la Carta delle Nazioni Unite o le norme costituzionali degli Stati Uniti, facendo sì che per motivi morali, qualsiasi presidente degli Stati Uniti possa bombardare un Paese di sua scelta. C’è qualcosa di sbagliato qui…

1 - Krishnadev Calamur, Libya Faces Looming Crisis As Oil Output Slows To Trickle, NPR, 12 settembre 2013;
2 - Patrick Cockburn, We all thought Libya had moved on — it has, but into lawlessness and ruin, 3 settembre 2013
3 - Chris Stephen, Libyans fear standoff between Muslim Brotherhood and opposition forces, The Guardian, 20 agosto, 2013
4 - Patrick Cockburn, op. cit.
5 - Ibid.

giovedì 10 ottobre 2013

Dittatura democratica.

Dedicato a chi crede ancora che democrazia e libertà convivano felicemente...
Dal sito blog.ilgiornale.it:


Sei sicuro di essere ancora libero? Di Marcello Foa
Ho scritto questo articolo per il Corriere del Ticino usando il mio computer. Quando l’ho finito l’ho mandato via email alla redazione. I lettori l’hanno letto il giorno dopo. Qualcun altro, però, l’ha letto prima di loro, o comunque era in grado di intercettarlo, già pochi minuti dopo l’invio; eppure non era il direttore del Corriere del Ticino, né il redattore a cui l’ho indirizzato. E’ qualcuno che non conosco, che non abita in Svizzera, che opera lontano, dall’altra parte dell’Oceano. Io non sono un terrorista, non sono ricercato, pago regolarmente le tasse; insomma, sono un normalissimo cittadino. Eppure qualcuno sa tutto di me. Sa a chi telefono, perché ha accesso ai dati del mio smartphone. Sa a chi scrivo e soprattutto cosa scrivo perché riesce a intercettare le mie email. Sa cosa leggo perché riesce a monitorare tutti i miei movimenti su internet. Ogni volta che faccio un acquisto online costui prende nota di tutto, mi osserva quando opero sul mio conto di Internet banking, dunque sa quando guadagno, qual è la mia ricchezza privata.
Usando Facebook l’intrusione è ancora più pervicace: perché attraverso Facebook l’utente, gioiosamente, mette a nudo la propria vita privata. Indica chi sono i suoi amici, pubblica le proprie foto tanto più se divertenti, insolite, bizzarre, persino intime senza rendersi che un giorno (e penso soprattutto ai ragazzi) potrebbero essere usate contro di lui. Dice dov’è andato in vacanza, chi ha visto, persino cosa ha mangiato. E non si rende conto che tutto quello che viene pubblicato su Facebook non può più essere cancellato, perché anche quando non lo rende visibile al pubblico, resta impresso in un’immensa memoria, sospesa su qualche nuvola virtuale, a cui egli non ho accesso. Perde il controllo del proprio passato e del proprio presente. Come mai prima d’ora in uno Stato Occidentale.
Da inviato speciale sono stato in Unione Sovietica, nella Ddr, in Cina, in diversi Paesi autoritari o dittatoriali. In quanto giornalista sapevo di essere seguito. Quasi sempre il mio interprete o il mio autista era una spia, incaricato di annotare tutto quello che facevo. Una volta in albergo una manina misteriosa ha aperto il mio computer e ha copiato tutti i dati dal mio hard disk; come 007 non era un granché perché ha lasciato un indizio che mi ha permesso di scoprire subito l’intrusione. Il senso di oppressione era costante e per questo ogni volta che tornavo in Europa provavo una sensazione, spesso euforica, di libertà. Sapevo che a casa mia, nel mio Paese, nessuno avrebbe potuto frugare nella mia vita privata e professionale. Oggi, invece, non è più così.
La realtà svelata dall’ex tecnico della Cia Edward Snowden è sempre più sconvolgente. Microsoft, Apple, Yahoo, Google, Facebook, Blackberry eccetera collaborano – volontariamente o sotto costrizione – con la National Security Agency (Nsa), la superagenzia dei servizi segreti americani, accordando un accesso esclusivo ai loro sistemi. E’ come se ci fosse una sorta di porta segreta di cui solo loro possiedono le chiavi.
Oggi un agente segreto non avrebbe più bisogno di aprire il mio computer e scaricare il mio hard disk. Il processo, in gran parte, è automatico. Ogni tanto, a mia insaputa, i miei dati possono essere prelevati e trasmessi altrove. Il problema è che tutto questo non accade in uno Stato totalitario, ma in Paesi che sono democratici e nell’ambito di un processo dalle conseguenze potenzialmente devastanti. Un principio fondamentale è stato silenziosamente ribaltato usando il grimaldello della lotta al terrorismo. Prima solo chi era gravemente sospettato di aver commesso dei crimini veniva intercettato e seguito; oggi si mettono sotto controllo tutti nel tentativo di scoprire un manipolo di pericolosi eversivi. E non abbiamo nessuna garanzia, nessuna tutela su come, da chi e per quali fini siano usati informazioni private, talvolta intime, a cui nessuno in democrazia e in stato di diritto dovrebbe avere accesso. Le implicazioni sono colossali, i rischi enormi, la sproporzione tra il male e la cura evidente. Quando si può sapere tutto di te, nessuno può sentirsi davvero al sicuro.
Possiamo ancora dirci davvero liberi?


domenica 6 ottobre 2013

L'Ungheria si libera dei vincoli dei banchieri.

Ultimamente, poche notizie sono arrivate dall'Ungheria.
Molto interessante questo articolo di Ronald L. Ray, che si qualifica "autore freelance che risiede nel libero stato del Kansas, discendente di vari patrioti della Guerra americana di indipendenza".
Dal sito americanfreepress.net:


Dopo che è stato ordinato all’FMI di abbandonare il paese, la nazione adesso stampa moneta senza debito. L’Ungheria sta facendo la storia.
Mai più dagli anni ’30 con il caso della Germania un paese europeo aveva osato sfuggire alle grinfie dei cartelli bancari internazionali controllati dai Rothschilds. Questa è una notizia stupenda che dovrebbe incoraggiare i patrioti nazionalisti del mondo intero ad intensificare la lotta per la libertà dalla dittatura finanziaria.

Già nel 2011 il primo ministro ungherese, Viktor Orbán promise di ristabilire la giustizia sui predecessori socialisti che avevano venduto il popolo della nazione alla schiavitù di un debito infinito.

Secondo una relazione sui siti germanofoni del “National Journal”, Orbán si è accinto a scalzare gli usurai dal trono. Il popolare e nazionalista primo ministro ha detto all’FMI che l’Ungheria non vuole né richiede “assistenza” ulteriore dal delegato della Federal Reserve di proprietà dei Rothschild. Gli ungheresi non saranno più costretti a pagare esosi interessi a banche centrali private e irresponsabili.

Anzi, il governo ungherese ha assunto la sovranità sulla sua moneta e adesso emana moneta senza debito e tanta quanto ne ha bisogno. I risultati sono stati nientemeno che eccezionali. L’economia nazionale, che vacillava per via di un pesante debito, ha ricuperato rapidamente e con strumenti inediti dalla Germania nazionalsocialista.

Il ministro per l’Economia ungherese ha annunciato che grazie a “una politica di bilancio disciplinato” ha ripagato il 12 agosto 2013 il saldo dei 2,2 bilioni di debito all’FMI, prima della scadenza ufficiale del marzo 2014. Orbàn ha dichiarato: “L’Ungheria gode della fiducia degli investitori” che non vuol dire né l’FMI né la Fed o altri tentacoli dell’impero finanziario dei Rothschild. Piuttosto si riferiva agli investitori che producono in Ungheria per gli ungheresi, creando crescita economica vera, e non già la “crescita di carta” dei pirati plutocratici, bensì quel tipo di produzione che assume realmente le persone e ne migliora la vita.

Con l’Ungheria libera dalla gabbia della servitù agli schiavisti del debito non c’è da meravigliarsi che il presidente della banca centrale ungherese gestita dal governo per il bene pubblico e non per l’arricchimento privato abbia chiesto all’FMI di chiudere i battenti da uno dei paesi più antichi d’Europa. Inoltre, il procuratore generale, ripetendo le gesta dell’Islanda, ha accusato i tre precedenti primi ministri del debito criminale in cui hanno precipitato la nazione.

L’unico passo che rimane da fare per distruggere completamente il potere dei bancksters in Ungheria, è di attuare un sistema di baratto per lo scambio con l’estero come esisteva in Germania con i nazional socialisti e come esiste oggi in Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, i cosiddetti BRICS, una coalizione economica internazionale. E se gli USA seguissero la guida dell’Ungheria, gli americani potrebbero liberarsi dalla tirannia degli usurai e sperare in un ritorno a una pacifica prosperità.

Ci concederanno l'ora d'aria?

Questo non è uno degli articoli più brillanti di Gabriele Adinolfi, ma contiene comunque una quantità di spunti di riflessione su cui meditare!
Dal sito www.noreporter.org:


In Grecia una forza politicamente scorretta conta 18 deputati, è terza nei sondaggi, non si riesce a contenere. Nessun problema: la si scioglie per legge arrestando tutti i dirigenti.
In Italia un industriale non è disposto a fare pubblicità per i matrimoni gay? Nessun problema: si boicottano i suoi prodotti in attesa che la legge contro l'omofobia vieti a chiunque di esprimere anche solo un parere contrario all'adozione dei bambini da parte di coppie omosessuali.

In Italia
Sempre in Italia, dove con la collaborazione della Bce si è fatto un colpo di Stato mediante la manipolazione dello spread e le ingerenze delle agenzie di rating, si mette fuorilegge il capo della coalizione populista mentre si strangolano le sue imprese per impedirgli di agire.
In Italia, come in gran parte d'Europa, si sta scrivendo una legge sulla storia. Una legge che, prevedendo condanne pesantissime, vieta a chiunque di indagare sulla fondatezza anche solo parziale dell'Olocausto e che, guarda guarda, si estende talmente da minacciare di arresto e di condanna chiunque esalti un semplice fatto di guerra commesso dalla “parte sbagliata”.
Insomma anche chi si permetta di andare in visita a El Alamein o di commemorare le vittime di un bombardamento angloamericano. E, perché no, quelle delle foibe.
Sempre in Italia si chiudono d'arbitrio le curve di calcio per punire indiscriminatamente le tifoserie per eventuali cori di qualcuno giudicati razzisti.

In Europa
In tutta Europa, dove ormai è vietato fumare e mangiare in modo non insipido né asettico, è proibito anche solo pretendere di battere sovranamente moneta, di difendere lingua, identità e cultura.
L'Ungheria che va controcorrente ha una stampa occidentale che la tratta molto peggio dei pedofili. I quali, del resto, da tempo non sono inquietati.

In Italia
In Italia i diktat politicamente corretti vengono particolarmente accentuati da un'allegra coppia femminile. Da una parte abbiamo la ministra dell'integrazione, Kyenge, che anziché trattarci con educazione e con modestia come avviene da che mondo e mondo da parte di chi è cittadino acquisito di una nazione che si ritiene ami e rispetti, passa invece il suo tempo a dare pagelle agli italiani, bocciandoli quasi regolarmente sui suoi metri di giudizio.
Vuole cambiarci la ministra. E lo stesso fa la presidentessa della Camera. Che, quando riesce a trovare un minuto tra una segnalazione e l'altra alla polizia postale degli utenti di facebook che lei ritiene si debbano reprimere per le loro opinioni scorrette, ci spiega come si deve vivere in famiglia, come le donne devono evitare di servire a tavola (a lei non deve costare molto perché quando non è al ristorante userà la servitù) e soprattutto come siamo arretrati rispetto agli inglesi.
Cambiate, italiani, cambiate. Per amore o per forza.
La memoria torna al proclama che accompagnò lo sbarco del liberale Dom Pedro nel Portogallo “oscurantista” del 1832: “Portoghesi non costringetemi a liberarvi con la forza!”
Italiani, Europei: cambiate tutti e subito, altrimenti, ci dicono questi qui, usiamo la forza.

Qualcuno ha capito qualcosa?
Oramai siamo in piena dittatura, una dittatura che si fonda sul terrorismo psicologico e giudiziario e che non ha più alcun limite. Men che meno quello del buon senso.
Come avevano annunciato da tempo una serie di dissidenti sovietici, la mentalità comunista che lì è stata debellata si è impadronita totalmente dell'Europa occidentale e la sta paralizzando.
L'impressione è che nessuno abbia colto esattamente la portata di questo liberticidio e di questa sovversione antropologica ed esistenziale che non si riesce a comparare con nulla del passato; a stento, forse, con il pieno del Terrore giacobino e di quello sovietico. Che però furono forse più brutali ma alla fin fine meno totali e persino meno deliranti di questo a cui siamo confrontati oggi.
Che non se ne abbia percezione lo attestano le reazioni generali contrassegnate dalla contrapposizione tra chi tiene le parti dei criminalizzati e chi quelle dei criminalizzatori.
Per tutti, per gli uni e per gli altri, la scelta di campo dipende da quello che essi dicono o rappresentano. Sicché se per esempio ho antipatia per i gay sto dalla parte di Barilla e se mi sono simpatici sto contro.
Nulla di più sbagliato e demenziale.
Non ha alcuna importanza se si è favorevoli o contrari al matrimonio gay, se si è per o contro la reazione all'immigrazione di Alba Dorata, se si ritiene necessaria o meno la libera investigazione sull'Olocausto, se si pensa o no che le donne debbano servire a tavola o meno.
Non ha importanza se si ami fumare o meno, né se si ritiene essenziale o irrilevante stampare autonomamente valuta.
Tutto questo, nella contingenza, ha valore relativo. Quello che invece ha un valore assoluto è che si permetta a chiunque di affermare quello che pensa senza che sia perseguitato per il suo pensiero, qualunque esso sia.

Nel mondo
L'Europa – e l'Italia con una celerità particolare – sprofonda nel terrorismo dittatoriale e nella follia mutazionista. La libertà intanto si trasla altrove, in regioni, nazioni, paesi che prima avevano logiche satrapiche e autocratiche e che oggi godono di più ampie garanzie e partecipazioni di quante ne rimangano a noi.
Intanto una lezione ci viene dal presidente somalo che ci ricorda come laggiù si stesse meglio al tempo del fascismo. Anche l'Africa – dove persino da papà Kyenge è venuto un messaggio molto più autentico e rispettabile di quelli che c'invia sua figlia – palesa più buon senso e amor della libertà di quello che mostriamo noi.
Non è una primizia. Rammento negli anni settanta quando una delle tante riforme della scuola ispirate dalla libido sovvertitrice tolse praticamente di mezzo l'apprendimento del greco e del latino: nello stesso giorno un paese centrafricano li rese invece obbligatori nelle proprie scuole.
Buon fin settimana italiani ed europei.
Io non so che fine farà Alba Dorata ma so perfettamente che se non cambiate i vostri riflessi condizionati e la vostra passività psicologica e mentale per voi sarà molto peggio che un cupo tramonto.
Poi non prendetevela con i cinesi o con i marziani: se non avete cervello né palle i responsabili siete voi.



domenica 29 settembre 2013

Prospettive economiche.

Poichè sono, da tempo, un convinto estimatore del prof. Amoroso, ritengo utile postare questo articolo che riassume le sue proposte per il futuro.
Dal sito informarexresistere:


«Via dall'euro o facciamo la fine della Jugoslavia!» Bruno Amoroso: l'alternativa per evitare il disastro a cui ci sta portando questa Europa.

La ricreazione è finita, presto vi dovrete arrangiare anche per le pensioni. Questo, in sintesi, il discorso-choc che il sovrano olandese Guglielmo Alessandro ha rivolto alla nazione: la globalizzazione impone anche all'Olanda l'addio al glorioso sistema del welfare e delle protezioni sociali.

È l'élite, direttamente, che parla: la stessa élite feudale che si è impadronita della moneta, imponendoci l'Eurozona, per poi dirci: scusate, non ci sono più soldi. Falso. I soldi li "fabbricano" loro, mentre a mancare sono i politici in grado di difenderci.

Enrico Letta, che rincorre i diktat della Merkel, governa con Berlusconi, che nel suo videomessaggio del 18 settembre, di fronte alla catastrofe economica dell'Italia, proclama: «Occorre imboccare la strada maestra del liberalismo: meno Stato, meno spesa pubblica». Il liberismo: cioè il tunnel senza uscita del quale siamo già prigionieri, da vent'anni. Attenti, avverte il professor Bruno Amoroso: di questo passo, già a novembre sprofonderemo nel baratro della Grecia, saremo esposti a tempeste mai viste e rischiamo di fare la fine della Jugoslavia.

L'economista italo-danese dell'università di Roskilde, allievo di Federico Caffè e compagno di scuola di Mario Draghi, dice che l'incubo della balcanizzazione è dietro angolo:

«E' possibile che ci troveremo davvero nei guai tra pochissimi mesi, in una situazione di tipo greco: quando, per intenderci, ci saranno 50.000 statali mandati a casa e niente più soldi per gli ammortizzatori sociali».

Che succederebbe?

«La crisi andrà a destra, come sempre: prevarranno prima i nazionalismi e poi le fratture all'interno degli stessi Stati: il nord dell'Italia contro il sud, la Catalogna contro il resto della Spagna».

È uno degli scenari della crisi europea, il peggiore: l'implosione dell'Europa del sud, magari accelerata dalla "fuga" della Germania, decisa a non pagare i costi necessari a tenere in vita i nostri paesi devastati dall'euro. In quel caso si annunciano «guerre interne» e «conflitti sociali e politici», gestiti «da chi è interessato, come è stato per la Jugoslavia, che fu distrutta perché la Germania era interessata alla Croazia e alla Slovenia», mentre altri volevano la secessione del Kosovo.

Non c'è scampo, se l'Europa meridionale resta ingabbiata nella camicia di forza della moneta unica:

«Con l'euro sono arrivate disposizioni come il Fiscal Compact e il patto di stabilità: non solo si decide il valore della moneta, ma anche i danni che un paese riceve».

Esempio:

«Se la Danimarca è in crisi economica, è lei che decide come farla pagare ai cittadini, distribuendone il carico. Nell'Eurozona invece questa libertà non ce l'abbiamo, perché col Fiscal Compact non possiamo fare politiche che secondo noi sono eque, ci dettano pure come dev'essere organizzato il mercato del lavoro».

I danesi, rimasti fuori dall'euro, «possono decidere se vogliono un mercato del lavoro di giovani o di vecchi», noi invece siamo in trappola, dentro una camicia di forza: situazione «da risolvere entro un anno, se vogliamo evitare il disastro». Come? Nell'unico modo possibile: tornando alla sovranità monetaria.

«È una condizione necessaria: solo attraverso la sovranità sulla moneta è possibile fronteggiare la disoccupazione».

Ma attenzione: tornare semplicemente all'antica valuta nazionale non risolverebbe il problema, avverte Amoroso, se i politici al potere dovessero restare quelli di oggi:

«Anche con la lira, uno come Enrico LettaLetta continuerebbe con le politiche neoliberiste che ci hanno portato al disastro».

Il problema è politico, insiste Amoroso, co-firmatario del "Manifesto per l'Europa" elaborato da Alternativa, il laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa.

Obiettivo: aprire una vertenza con Bruxelles, cestinando il Trattato di Maastricht che introduce l'Eurozona. La scommessa: rinegoziare tutto, a cominciare dalla moneta, per togliere all'élite finanziaria di Bruxelles il potere assoluto che esercita su di noi, instaurando finalmente una condizione di democrazia che metta fine all'autoritarismo della Commissione Europea, non eletta da nessuno.

«I paesi del sud hanno un rilevante potere contrattuale», sottolinea Amoroso:

«L'Italia, la Spagna e gli altri paesi dell'Europa meridionale possono chiedere nuove condizioni per restare in Europa, e ne avrebbero la forza, perché rappresentano un grande mercato di sbocco per i prodotti dell'export del nord».

Certo, non si esce dal tunnel con Berlusconi e Letta.

«Serve un grande rivolgimento politico, ma forse non siamo lontani: in Grecia c'è Syriza, in Spagna gli Indignados, da noi metà degli italiani non votano più, e di quelli che votano almeno il 20% sceglie i grillini».

Il piano di Amoroso si chiama euro-sud: sarebbe come tornare allo Sme, quando gli Stati europei già cooperavano tra loro, mantenendo però un'elasticità nei cambi, con possibilità di svalutazione fino al 15%.

Sarebbe una via d'uscita democratica e realistica:

«Quelli che invocano "più integrazione" vivono su un altro pianeta: la Gran Bretagna non rinuncerà mai alla sterlina, né accetterà mai che sia Bruxelles a spiegarle come spendere i soldi per l'istruzione».

L'Unione Europea è composta di 27 paesi, di cui solo 17 hanno aderito all'euro: gli altri 10 non vi aderiranno mai.

«Quindi, già oggi, non è vero che l'Europa ha una sola moneta: ne ha 11. Semplicemente, con l'euro-sud, ne avrebbe 12».

Il continente era già unito prima della moneta unica, con il Sistema Monetario Europeo: l'euro, voluto dalla Francia che sperava di controllare la potenza economica della Germania unita, ha semmai introdotto una spaccatura, tra l'Europa del nord e quella del sud. Un disastro:

«L'euro non ha unito l'Europa, non ha creato coesione sociale e territoriale ma conflitto, non ha diminuito l'inflazione, La protesta della Greciapovertà e disuguaglianze sono aumentate». Di questo passo, la moneta unica «farà implodere tutto il sistema europeo».

Secondo Amoroso, solo una nuova alleanza politica tra i paesi dell'Europa del sud potrà rinegoziare un'unione con Bruxelles: la sovranità monetaria potrà produrre politiche per l'occupazione e, al tempo stesso, introdurre meccanismi di controllo sulla finanzaspeculativa. Uscire da soli dall'euro potrebbe essere traumatico, per via della svalutazione e dell'inflazione? In fondo, però, è stato traumatico anche entrare nell'euro. E soprattutto, restarvi. Senza più spesa pubblica, le nostre economie sono al collasso.

L'uscita negoziata dall'attuale euro, secondo Amoroso, sarebbe invece più sicura e senza scossoni. Obiettivo perfettamente alla portata dei nostri paesi, a una condizione: devono prima liberarsi degli attuali governi. Ecco perché - mentre la grande crisi avanza e minaccia di travolgerci - diventa fondamentale costruire un'alleanza, da Atene a Lisbona passando per Roma e Madrid, in vista delle decisive elezioni europee della primavera 2014.


giovedì 5 settembre 2013

Il discorso di Putin.

Oggi si apre il G20 a San Pietroburgo.
Nell'occasione, mi sembra interessante ricordare il discorso di Putin alla Duma di qualche giorno fa:


Chi non vuole parlare russo e rispettare leggi russe può tranquillamente andarsene da qualche altra parte. La Russia non ha bisogno di queste minoranze e non abbiamo intenzione di cambiare le nostre leggi per loro
In Russia vivono i russi. Qualsiasi mino­ranza, da qualsiasi luogo, se vuole vivere in Russia, per lavorare e mangiare in Russia, dovrebbe parlare russo, e dovrebbe rispet­tare le leggi russe. Se preferiscono la legge della Sharia, allora noi li consigliamo di an­darsene in quei Paesi dove questa è la legge dello Stato. La Russia non ha bisogno di minoranze. Le minoranze hanno bisogno della Russia, e noi non concederemo loro privilegi speciali, o provare a cambiare le nostre leggi per soddisfare i loro desideri: non importa quanto forte urleranno ‘ discr­iminazione’.
Noi apprendiamo dai suicidi in America, In­ghilterra, Olanda e Francia, se vogliamo so­pravvivere come nazione. Gli usi e le tradizioni russe non sono compatibili con la mancanza di cultura o dei modi primitivi della maggior parte delle minoranze.
Quando questo onorevole corpo legislativo pensa di creare nuove leggi, dovrebbe avere in mente prima l’interesse nazionale, osse­rvando che le minoranze non sono russi."

I politici della Duma hanno tributato a Putin una standing ovation di cinque minuti.
Fonte: mattionline.ch

mercoledì 4 settembre 2013

La crocifissione della Siria.

Qualsiasi analista politico o stratega militare sa spiegare che l'attacco alla Siria sarebbe un gravissimo errore.
Data questa evidenza, mi ero convito che gli USA avessero desistito.
Pare invece che - obnubilati da sindrome di onnipotenza (ricordiamo che, nella loro teo-politica, Obama & C. si sentono VERAMENTE gli "unti del Signore") - o troppo pressati dai produttori di missili ansiosi di smaltire i magazzini pieni di roba scaduta - l'attacco ci sarà.
In attesa del primo missile, due commenti dalla trincea:


Omelia di Mons. Jean-Clement Jeanbart, prelato greco-cattolico di Aleppo (25/8/2013)
"Mi fa male il cuore nel vedere :
1 - il fuoco della guerra consumare il nostro paese attraverso morte e distruzione.
2 - sugli schermi televisivi, altri innocenti massacrati dai barbari.
3 - il numero dei nostri martiri crescere ogni giorno.
4 - l'ipocrisia dei paesi che pensavamo essere " civilizzati " che, mentre lamentano l'ingiustizia e la morte dei siriani, allo stesso tempo sostengono i ribelli, fornendo loro armi e denaro.
5 - l'indifferenza dei capi di Stati che pretendono anche di essere i difensori dei diritti umani, sostenitori del dialogo, della riconciliazione e della pace.
6 - l'evidenziarsi dei veri obiettivi del conflitto nella ricerca di interessi economici e politici che sono stati camuffati da "parole d'ordine della democrazia" e che in realtà sono costati più di 100.000 vite .
Nonostante tutti questi problemi, la nostra fede nell'avvento del nuovo giorno, pieno di speranza, non si dissolve. Non disperiamo, perché il fine della nostra vita è il regno di Dio e non la morte sulla terra .
Ma il mio cuore anche si allieta nel vedere che:
1 - i nostri cittadini resistono e sopportano la morte dei loro cari, la fame e la perdita dei loro beni. Essi credono fermamente che non durerà. I cristiani sono attaccati alla vita e continuano a superare tutti gli ostacoli.
2 - Il futuro promette una nuova pagina e la fine del conflitto con il fallimento della congiura internazionale, della disinformazione e delle bugie , attraverso la resistenza e la "consapevolezza" del popolo e alla fedeltà dell'esercito .
3 - la maggioranza dei siriani ha dimostrato al mondo la sua lealtà verso la patria, rifiutandosi di lasciare il suo paese.
Tuttavia, coloro che bussano alle porte dei consolati e delle ambasciate dei paesi occidentali rischiano di essere delusi perché pensano che il cielo è lì , ma è solo un miraggio.
(Tradotto e riassunto da Claude Zerez) http://www.fcsartheorient.com/Dernieres-nouvelles
http://oraprosiria.blogspot.it/2013/09/aleppo-questa-lettera-sara-un-annuncio.html

Gregorio III: l’attacco Usa è un atto criminale
L'attacco pianificato dagli Stati Uniti è un atto criminale, che mieterà altre vittime, oltre alle migliaia di questi due anni di guerra. Ciò farà crollare la fiducia del mondo arabo verso il mondo occidentale". È quanto afferma ad AsiaNews Gregorio III Laham, patriarca greco-cattolico di Antiochia, di tutto l'Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti. L'appello giunge a poche ore dalle voci di un attacco imminente degli Stati Uniti contro Damasco. L'operazione è appoggiata da altri Paesi: Francia, Gran Bretagna, Turchia e Lega Araba. (…)
Gregorio III si domanda: "Quali sono le parti che hanno condotto la Siria a questa linea rossa? Chi ha portato la Siria a questo punto di non ritorno? Chi ha creato questo inferno in cui vive da mesi la popolazione?". "Ogni giorno - spiega - in Siria entrano estremisti islamici provenienti da tutto il mondo con l'unico intento di uccidere e nessun Paese ha fatto nulla per fermarli, anzi gli Stati Uniti hanno deciso di inviare ancora più armi". Il prelato sottolinea che l'attacco pianificato dagli Usa colpirà soprattutto la popolazione siriana e non è meno grave dell'uso di armi chimiche.
Secondo il Patriarca, i Paesi occidentali continuano a sostenere un'opposizione che non esiste, che non ha alcuna autorità sul campo. "I lavori per la conferenza di Ginevra 2 - sottolinea - sono fermi. La parola dialogo è ormai dimenticata. Per mesi i Paesi occidentali hanno perso tempo a discutere, mentre la gente moriva sotto le bombe di Assad e per gli attacchi degli estremisti islamici di al-Qaeda".
Gregorio III avverte che una eventuale vittoria degli islamisti darà vita a un Paese diviso in piccole enclavi, confinando i cristiani in un ghetto. "La nostra comunità si riduce ogni giorno. I giovani fuggono, le famiglie abbandonano le loro case e i loro villaggi".
Per il prelato "la scomparsa dei cristiani è un pericolo non solo per la Siria, ma per tutta l'Europa". "La nostra presenza - afferma - è la condizione essenziale per avere un islam moderato, che esiste grazie ai cristiani. Se noi andiamo via, non potrà esservi in Siria alcuna democrazia. Tale tesi è sostenuta anche dagli stessi musulmani, che temono la follia islamista. In molti affermano che non si può vivere dove non vi sono i cristiani".
http://www.asianews.it/notizie-it/Gregorio-III:-La-democrazia-si-costruisce-con-la-pace.-L%E2%80%99attacco-Usa-%C3%A8-un-atto-criminale-28855.html

venerdì 30 agosto 2013

Siria: il bluff dell'Occidente.

Dopo il sintetico commento di mercoledì, un'analisi più approfondita sulla situazione siriana nell'ottica geopolitica (che comunque, ricordiamolo, non è l'unica ottica).
Ritorneremo sull'argomento.
Dal sito della rivista Eurasia:

SIRIA: IL BLUFF DELL’OCCIDENTE RISCHIA DI TRASCINARE IL MONDO NEL BARATRO
di Stefano Vernole

In queste ore drammatiche il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama deve decidere se concedere il via libera al piano di attacco elaborato dagli strateghi militari del Pentagono.
Questi ultimi, tutt’altro che convinti della necessità di entrare in guerra, hanno infatti predisposto un tipo di intervento (condotto con il lancio di missili Cruise dalle portaerei statunitensi) estremamente limitato, da esaurirsi nel giro di tre giorni e a zero perdite per i propri soldati.
Sembra in effetti la riedizione della guerra del Kosovo (1999) richiamata da alcuni analisti in questi giorni, in quanto anche allora l’ex capo della Casa Bianca Bill Clinton si illuse che dopo due o tre giorni di bombardamenti aerei della NATO l’ex Presidente serbo Slobodan Milosevic si sarebbe arreso.
Quell’aggressione, condotta col pretesto delle “motivazioni umanitarie” e senza il via libera delle Nazioni Unite, durò in realtà 78 giorni e produsse alcuni effetti destinati a cambiare la geopolitica mondiale.
Le ricadute più rilevanti si manifestarono paradossalmente in Russia (che vide nella disgregazione della ex Jugoslavia lo specchio di quanto le sarebbe accaduto a breve se non avesse reagito), dove i servizi di sicurezza decisero nello spazio di pochi mesi di liquidare il corrotto Boris Eltsin (da tempo asservito alle potenze occidentali) e di condurre alla guida del Cremlino Vladimir Putin, un Presidente che le avrebbe restituito orgoglio e dignità.
Da questo punto di vista si può dire che il sacrificio dei Serbi servì alla salvezza dei Russi.
Se quindi l’occupazione del Kosovo e Metohija servì agli USA quale nuovo trampolino di lancio verso il Mar Caspio e il Vicino e Medio Oriente, fu però proprio allora che iniziò quella strategia di riscossa delle potenze eurasiatiche che ha mutato profondamente gli equilibri geopolitici del pianeta.
I tentativi di spezzare l’alleanza tra Mosca e Pechino sono risultati vani e la resistenza della Siria di Assad negli ultimi due anni è uno dei tanti fattori che gioca a suo favore.
Oggi, sotto la spinta del rinnovato attivismo saudita e in particolare del suo capo dei servizi segreti Bandar Bin Sultan, gli Stati Uniti si trovano a giocare una partita estremamente complessa e pericolosa.
Complessa perché è chiaro che la rielezione di Obama è stata resa possibile solo dopo la sua accettazione dell’antico progetto bushiano, che prevede l’edificazione del Nuovo (Grande) Medio Oriente sotto controllo nordamericano.
Fallita la carta “morbida” giocata con le “rivoluzioni arabe”, non rimaneva all’Amministrazione statunitense che riaggrapparsi alla sua unica certezza, quella costituita da un apparato militare che – nonostante il declino strategico statunitense – continua a rimanere imponente.
Ecco quindi la guerra alla Libia di Gheddafi, l’aggressione alla Siria di Assad (delegata temporaneamente da Washington ai suoi alleati regionali), i colpi di stato e la destabilizzazione dei paesi africani come la Somalia, la Costa D’Avorio, il Mali e il Sudan per fronteggiare l’avanzata cinese.
Con la prospettiva finale di colpire e mutare l’Iran, con le buone e con le cattive maniere, per controllarne le risorse energetiche e stritolare le potenze eurasiatiche rendendole dipendenti dall’acquisto di dollari ormai “carta straccia”.
Partita complessa anche per motivi strettamente “tecnici”.
Tutte le dispendiose guerre condotte dal 1991 ad oggi non hanno portato a Washington i frutti sperati.
Che si tratti dell’Iraq, dove gli sciiti al governo non solo parteggiano per la Siria di Assad ma privilegiano Cina ed India nelle forniture di petrolio, che si tratti dell’Afghanistan dove il Presidente Karzai non vede l’ora di liberarsi del controllo statunitense per rivolgersi a Pechino e a Nuova Delhi, che si tratti della piccola Serbia o addirittura dell’Egitto che tornano a guardare verso Mosca, questi conflitti hanno esaurito la spinta propulsiva degli Stati Uniti e dimostrato la loro inadeguatezza quali leader mondiali.
L’economia USA si trova alle prese con una nuova scadenza che il prossimo mese la costringerà ad innalzare a 17.000 miliardi di dollari il tetto del proprio debito per evitare il fallimento del paese, mentre le principali banche nordamericane vengono declassate dalle stesse agenzie di rating statunitensi e la prospettiva di un ulteriore “settembre 2008” si avvicina pericolosamente.
Ma la partita che Obama si appresta a giocare è anche molto pericolosa.
Se questi probabili due-tre giorni di attacchi missilistici sulla Siria dovessero avere luogo, non è invece facilmente prevedibile quanto potrà accadere.
Il calcolo statunitense è riassumibile nella volontà e nella prospettiva, tutta mediatica, di voler riaffermare al mondo che gli Stati Uniti con i loro alleati sono ancora la guida del pianeta e che la sfida lanciata da Mosca e da Pechino – manifestatasi platealmente con il “caso Snowden” – può essere vinta.
Gli analisti del Council on Foreign Relations e del Pentagono ritengono che la Siria non disponga di misure di reazione efficaci e che dopo questa lezione “morale” pian piano il governo di Assad verrà sgretolato, subendo l’analoga sorte di quello guidato da Milosevic (deposto un anno dopo la fine dell’intervento militare).
Questo calcolo dimentica però il mutamento della situazione geopolitica rispetto al 1999; se allora la Serbia si trovava isolata e venne difesa solo diplomaticamente da Russia e Cina, oggi la Siria di Assad si trova in una situazione decisamente più favorevole.
Teheran, innanzitutto, è legata a Damasco da un’alleanza di carattere militare che in caso di aggressione statunitense si estenderebbe automaticamente anche a Hizbollah in Libano.
Israele, in particolare, si troverebbe esposto ad una possibile rappresaglia iraniana e quello che è stato progettato per essere un intervento limitato rischierebbe di trasformarsi in una guerra regionale dalle conseguenze imprevedibili.
Tel Aviv, che non dimentica la lezione ricevuta in Libano nel 2006 e la figuraccia rimediata a Gaza nel 2009, desidererebbe forse intraprendere una nuova avventura ma diverrebbe l’agnello sacrificale dell’imperialismo statunitense.
Difficilmente Turchia e Arabia Saudita, che a parole smaniano di venire alle mani con la Siria, potrebbero partecipare ad una coalizione a fianco dei soldati di Tel Aviv.
Le rappresaglie di Russia e Cina nei loro confronti, poi, potrebbero essere non solo economiche ma anche militari, e sia ad Ankara che a Riyad sanno bene come la loro alleanza con gli Stati Uniti non rivesta più per Washington un carattere strategico.
L’umiliazione subita dalla Georgia nel 2008 è ancora un vivo ricordo e solo dei disperati come Hollande e Cameron possono sperare di far dimenticare i propri guai interni con un nuovo conflitto.
Ecco quindi che Obama si trova alle prese con un dilemma tutt’altro che facile: essere un nuovo Gorbaciov e traghettare in maniera pacifica l’inevitabile ridimensionamento statunitense o sognare di essere un nuovo Roosevelt, nell’illusione che una rinnovata “economia di guerra” possa rilanciare un paese ormai industrialmente destrutturato e finanziariamente fallito.
Ai siriani il difficile e gravoso compito di resistere, per consentire l’emergere definitivo del nuovo sistema multipolare non più a guida angloamericana e nel quale le controversie internazionali potrebbero non essere più risolte a colpi di cannoniere.

mercoledì 28 agosto 2013

Siria, ci siamo?!

Il web è alluvionato da commenti sulla situazione siriana.
Ne propongo uno tratto da una nota testata. Concilia molto bene chiarezza e sintesi.
Per ulteriori considerazioni, anche di ordine tattico (guerra alla Siria con i missili... mah... non mi torna molto...), ci aggiorniamo ai prossimi giorni.


Un uomo sospettato di voler compiere un omicidio, per metterlo in pratica sceglie il momento in cui gli entra in casa la polizia. Lo stesso avrebbe fatto il presidente Assad, sferrando l’attacco chimico nel momento in cui arrivano gli ispettori Onu per effettuare l’indagine sull’uso di armi chimiche in Siria. Le «prove» sono state esibite dai «ribelli», il cui centro propaganda a Istanbul, organizzato dal Dipartimento di stato Usa, confeziona i video forniti ai media mondiali.
Avendo ormai «ben pochi dubbi» che è Assad il colpevole e ritenendo «tardiva per essere credibile» l’indagine Onu, il presidente Obama sta valutando una «risposta» analoga a quella del Kosovo, ossia alla guerra aerea lanciata senza mandato Onu dalla Nato nel 1999 contro la Iugoslavia, accusata di «pulizia etnica» in Kosovo.
A tal fine il Pentagono ha convocato in Giordania, il 25-27 agosto, i capi di stato maggiore di Canada, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Turchia, Arabia Saudita e Qatar.
In Giordania gli Usa hanno dislocato caccia F-16, missili terra-aria Patriot e circa 1.000 militari, che addestrano gruppi armati per la «guerra coperta» in Siria. Secondo informazioni raccolte da «Le Figaro», un contingente di 300 uomini, «senza dubbio spalleggiato da commandos israeliani», è stato infiltrato dalla Giordania in Siria il 17 agosto, seguito da un altro due giorni dopo. Si aggiungono ai molti già addestrati in Turchia. In maggioranza non-siriani, provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi, appartenenti in genere a gruppi islamici tra cui alcuni classificati a Washington come terroristi. Riforniti di armi, provenienti anche dalla Croazia, attraverso una rete internazionale organizzata dalla Cia.
Sotto la cappa della «guerra coperta» niente di più facile che dotare qualche gruppo di testate chimiche, da lanciare con razzi sui civili per poi filmare la strage attribuendola alle forze governative. Creando così il casus belli che giustifichi una ulteriore escalation, fino alla guerra aerea, visto che la guerra condotta all’interno non riesce a far crollare lo stato siriano.
Tale opzione, motivata dall’imposizione di una «no-fly zone», prevede un massiccio lancio di missili cruise, oltre 70 solo nella prima notte, unito a ondate di aerei che sganciano bombe a guida satellitare restando fuori dallo spazio aereo siriano. I preparativi sono iniziati non dopo, ma prima del presunto attacco chimico. A luglio è stato dispiegato il gruppo d’attacco della portaerei Harry Truman, comprendente due incrociatori e due cacciatorpediniere lanciamissili con a bordo unità dei marines, che opera nelle aree della Sesta e Quinta Flotta. Un altro cacciatorpediniere lanciamissili, il Mahan, invece di rientrare in Virginia, è rimasto nel Mediterraneo agli ordini della Sesta flotta.
Solo la U.S. Navy ha quindi già schierate cinque unità navali, più alcuni sottomarini, in grado di lanciare sulla Siria centinaia di missili cruise. I cacciabombardieri sono pronti al decollo anche dalle basi in Italia e in Medio Oriente. Alle forze aeronavali Usa si unirebbero, sempre sotto comando del Pentagono, quelle dei partecipanti alla riunione in Giordania (Italia compresa) e di altri paesi.
La Siria dispone però di un potenziale militare che non avevano la Iugoslavia e la Libia, tra cui oltre 600 istallazioni antiaeree e missili con gittata fino a 300 km. La guerra si estenderebbe al Libano e ad altri paesi mediorientali, già coinvolti, e complicherebbe ulteriormente i rapporti di Washington con Mosca.
Su questo stanno riflettendo a Washington, mentre a Roma attendono gli ordini.
Manlio Dinucci
(Il Manifesto, 27 agosto 2013)


martedì 6 agosto 2013

Tu chiamala (se vuoi) "integrazione" europea

Condivido, con Gabriele Gruppo, molte idee. In tema di integrazione europea, però, a volte abbiamo visioni diverse. Tuttavia, faccio fatica a trovare una sola frase di questo suo articolo da cui possa dissociarmi.
Dal sito wordpress.thule-italia.net:

Tu chiamala (se vuoi) “integrazione” europea

La segnalazione di un nostro contatto, relativa alla tematica del processo d’integrazione economica e monetaria europea (UEM), ci ha spinto a fare un piccolo bilancio su quella che è la connessione tra tale processo, la crisi dei debiti sovrani di numerosi Stati del Vecchio Continente, e la crisi economica mondiale. In questi anni difficili siamo stati testimoni e cronisti della discesa agli inferi in cui la speculazione apolide ha spinto i famigerati PIIGS; quella poco invidiabile accozzaglia di nazioni europee che, per motivi differenti, hanno dovuto confrontarsi con il “lato oscuro” della finanza, e con l’amara scoperta di dover rinunciare de facto alla propria sovranità, pur di essere “salvate” dal resto dell’Unione. Così come abbiamo assistito al decadimento di ogni barriera di decenza, da parte della classe politica al potere, nel dimostrare palesemente la propria incompetenza e pavidità nell’affrontare chi, realmente, ha provocato il disastro. Proprio nella giornata odierna, il burattino governativo di turno, Enrico Letta, ha esternato tutta la sua fiducia nella possibilità che l’Italia possa a breve “uscire dalla crisi economica” in cui versa ormai dal 2008, e che sta impietosamente distruggendo le componenti organiche integrate del tessuto produttivo nazionale, facendo diventare i distretti economici dello stivale una sorta di obitorio imprenditoriale ed occupazionale. Il “come” uscire dalla crisi Letta non lo spiega, preferendo di gran lunga le solite giaculatorie sulle risorse che serberebbe l’Italia nei momenti difficili, e sull’energia che gli italiani possono sviluppare per affrontare questa congiuntura storico/economica avversa. Solita solfa insomma. Mentre l’Italia vive questa stagione all’insegna della più pesante incertezza sul proprio futuro, in sede UE, e negli organismi più vitali ad essa collegati, si pianifica ormai da tempo la messa in sicurezza di quelle bombe ad orologeria finanziaria, che si trovano nella pancia di numerosi Stati, in particolare quelli mediterranei, in nome della sacra stabilità dell’euro. Il Presidente della BCE Mario Draghi, più volte incensato dalla superficiale orchestra mediatica nostrana, ha utilizzato tutto il suo talento di banchiere, e i suoi solidissimi appoggi con il mondo finanziario apolide, per creare i presupposti di quell’unione economica che dovrà fungere da volano per l’integrazione politica del continente. In molti suppongono, e noi eravamo tra questi, che sia impossibile creare uno Stato partendo dall’economia e dalla divisa valutaria. Sbagliato. Attraverso la crisi dei debiti sovrani e l’incalzare degli eventi, circa il rischio d’implosione della moneta unica, gli Stati più deboli, e maggiormente esposti al rischio/default, hanno ceduto a tamburo battente gran parte della loro indipendenza sostanziale agli organismi sovranazionali dell’UE; come la Banca Centrale, appunto, il Consiglio Europeo, la Commissione Europea, e il famigerato Fondo Monetario Internazionale, che ha accompagnato con la sua sapiente longa manus tutto il processo di destabilizzazione del Vecchio Continente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, o quasi. Infatti, l’Europa si sta sviluppando non come uno Stato/nazione, ma come un’azienda privata politicizzata, dove esistono gerarchie ben precise, priorità ben precise e sovranità ben precise. Peccato che nulla di tutto ciò andrà a beneficio degli europei, quanto alle oligarchie che manovrano le strutture dell’UE, orientandone la politica e i processi di riorganizzazione economica. Scordatevi che la pagliacciata rappresentata dal Parlamento Europeo possa avere un valore provante la democraticità dell’UE. Tale assise parlamentare è solamente un foro boario, privo di potere decisionale, specchio fedele di tutti i parlamenti democraticamente eletti, il cui ruolo è quello ormai puramente simbolico. L’unione politica, da molti ritenuta non ancora compiuta, è in realtà già avvenuta, solamente che nessuno si è preso il disturbo di spiegare ai popoli europei il “come” sia avvenuta.

giovedì 1 agosto 2013

GRAZIE, PRESIDENTE DOTT. ANTONIO ESPOSITO!

Il nostro blog è rimasto silente per un mese. Mi è sembrata un'inattività doverosa, che ha rispecchiato fedelmente il NULLA (morale, sociale, etico, economico, culturale, politico) di questa Italia lettiana. Questa sera, però, non posso tacere. Dal profondo del cuore, dopo le notizie riferite poco fa dai media, mi sgorga un sentimento di gratitudine verso il Presidente Dott. Antonio Esposito e verso gli altri componenti del Collegio giudicante della Suprema Corte che poco fa hanno pronunciato la sentenza di condanna di Silvio Berlusconi. Ebbene sì, lo ammetto: nei giorni scorsi avevo dubitato. Avevo sinceramente temuto che la fama, la popolarità, la ricchezza, il potere di Berlusconi potessero incidere sull'operato della Cassazione, inducendola ad riservargli un trattamento diverso rispetto a quello a cui sono destinati tutti i sudditi italiani. Mi ero detto: vuoi vedere che, solo perchè è Berlusconi, va a finire che valutano le prove... che ascoltano le argomentazioni dei difensori... che rispettano i principi di diritto scritti sui libri del primo anno dell'università... che gli riconoscono diritti e garanzie... Avevo temuto - lo confesso - che la legge potesse non essere uguale per tutti, che un ricorso per Cassazione di Berlusconi potesse avere - solo perchè di Berlusconi - un esito diverso dal sicuro rigetto a cui sarebbe immancabilmente destinato un qualunque ricorso presentato da uno di noi. Ma adesso devo fare ammenda di questi cattivi pensieri: le parole con cui il Presidente Dott. Antonio Esposito ha pronunciato la sentenza spazzano via ogni dubbio e confermano che la presunzione di colpevolezza vale indistintamente per tutti i sudditi, che la giustizia ha (senza eccezioni legate al nome dell'imputato) il solo scopo di perseguire la cieca vendetta dello Stato burocratico verso il suo nemico naturale (che come tutti sappiamo è il singolo cittadino), che il ruolo della difesa è perfettamente azzerato per Mario Rossi come per Silvio Berlusconi, che tutti i processi (quello del verduriere dell'angolo tanto quanto quello del primo leader politico del Paese) vengono decisi, non dalle prove, ma dalle enunciazioni di principio del pubblico ministero. Da questa sera mi sento più sollevato. Ora so con certezza che siamo tutti uguali. E ho trovato anche rassicurante la spietata crudeltà ostentata da Gad Lerner su RaiNews24. Uguale alle rozze, ignoranti, disumane cattiverie che sento al bar o dal barbiere quando si legge sul giornale locale che un ragazzino si è beccato tre o quettro anni perchè aveva in tasca un pezzo di fumo... Che bello, ciò che è in alto come ciò che è in basso, senza differenze, siamo tutti uguali! E allora grazie, Presidente Dott. Antonio Esposito! Grazie anche per avere definito Berlusconi, in sentenza, come "il Berlusconi": il Suo disprezzo, manifestato da quell'articolo, ci fa sentire tutti piccoli piccoli, tutti vermicelli. Tutti sudditi di fronte allo strapotere della burocrazia statale che Lei ha servito e onorato senza favoritismi. Grazie!

venerdì 21 giugno 2013

Il Grande Fratello avanza.

Le tecniche di controllo sui cittadini sono sempre più diffuse e capillari.
Questa nuova notizia arriva dalla Spagna.
Di Marta Serafini, dal sito www.noreporter.org:

Un Trojan di Stato. Perfettamente legale e da installare sui computer, gli smartphone e i tablet di chi è sospettato. La proposta arriva dalla Spagna e, se passerà, permetterà - previa riforma del codice penale - alle autorità di spiare tutti i supporti elettronici di una persona sotto indagine o in custodia cautelare. Il tutto senza che il diretto interessato ne sia, ovviamente, a conoscenza.
A lanciare l'idea è stata una commissione del ministero della Giustizia spagnolo seguendo l'esempio tedesco. In Germania tuttavia i trojan vengono usati solo in caso di indagini per terrorismo e ciò che fa più discutere - anche alla luce delle rivelazioni su Prism e sull'amministrazione Obama - è sull'uso indiscriminato che si può fare di questo nuovo tipo di intercettazioni. Sia quel che sia il Guardasigilli Alberto Ruiz Gallardón non ha ancora deciso. Una volta installato il trojan infatti - come spiega El Pais, le possibilità per la polizia sono praticamente infinite. «In questo modo si può accedere anche alle password di tutti i profili e alle coordinate bancarie dell'utente», spiega un docente di legge spagnolo. Stessa cosa anche per Skype e per i servizi di posta elettronica. Ma non solo. Una volta ottenuto il permesso del giudice per installare il programma viene automaticamente esteso a tutti gli apparati elettronici, compresi smartphone, tablet e pennette Usb. E i provider sono obbligati a cooperare con le autorità.
Secondo chi ha proposto la legge, questo sistema sarebbe utilissimo per combattere pornografia, crimine organizzato e terrorismo. Ma in Spagna si è già aperto un dibattito sui confini di operazioni di questo tipo. Tra le domande più ricorrenti, quella sull'appalto della produzione dei trojan. «Chi dovrà elaborarlo avrà grandi guadagni e potere», sostiene qualcuno. «E le caratteristiche saranno chiare?», chiede qualcun altro. In attesa di capirlo, ciò che è certo è che anche in Europa si sta ponendo il problema dei controlli (e delle intercettazioni) su web. Oltre alla Germania, un disegno di legge simile è stato formulato nei Paesi Bassi, dove si ipotizzava addirittura la distruzione dei dati (presumibilmente illegali) trovati sui computer analizzati. In Germania, invece, il governo e la polizia federale hanno ammesso di monitorare Skype, Google Mail, MSN Hotmail, Yahoo Mail e la chat Facebook qualora si ritenesse necessario. Come dire, insomma, che il trojan di Stato sta diventando sempre più potente.

sabato 15 giugno 2013

Reato di revisionismo storico. Nomi e cognomi di chi lo vuole.

Si moltiplicano i commenti sull'agghiacciante ddl Amati che, sulla falsariga di precedenti ddl non andati in porto, si prefigge l'introduzione del reato di revisionismo storico.
Tra l'altro, ha fatto scalpore la notizia che tra i firmatari c'è il grillino Crimi: ma come, proprio loro che propugnano la libertà del web...
Credo che, come già in altre occasioni, sia utile non limitarsi al "sentito dire" ma andare a leggere gli esatti nomi dei firmatari. E una lettura interessante, al termine un paio di commenti.


Atto Senato n. 54

XVII Legislatura

Modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale

Iter

15 marzo 2013:  da assegnare
Successione delle letture parlamentari
S.54da assegnare 15 marzo 2013

Iniziativa Parlamentare

Cofirmatari
Lucio Malan (PdL)
Valeria Fedeli (PD) (aggiunge firma in data 23 aprile 2013)
Alberto Airola (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Maria Elisabetta Alberti Casellati (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Fabiola Anitori (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Lorenzo Battista (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Alessandra Bencini (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Ornella Bertorotta (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Laura Bignami (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Rosetta Enza Blundo (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Fabrizio Bocchino (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Anna Cinzia Bonfrisco (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Daniele Gaetano Borioli (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Laura Bottici (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Maurizio Buccarella (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Elisa Bulgarelli (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Francesco Campanella (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Rosaria Capacchione (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Enrico Cappelletti (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Monica Casaletto (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Felice Casson (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Gianluca Castaldi (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Nunzia Catalfo (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Remigio Ceroni (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Vannino Chiti (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Lello Ciampolillo (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Andrea Cioffi (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Monica Cirinna’ (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Luigi Compagna (GAL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Roberto Cotti (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Vito Claudio Crimi (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Giuseppe Luigi Salvatore Cucca (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Erica D’Adda (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Loredana De Petris (Misto, Sinistra Ecologia e Libertà) (firma in data 23 maggio 2013)
Cristina De Pietro (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Paola De Pin (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Aldo Di Biagio (SCpI) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Rosa Maria Di Giorgi (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Daniela Donno (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Giovanni Endrizzi (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Giuseppe Esposito (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Stefano Esposito (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Camilla Fabbri (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Elena Fattori (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Nicoletta Favero (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Anna Finocchiaro (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Federico Fornaro (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Serenella Fucksia (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Luigi Gaetti (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Paolo Galimberti (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Maria Grazia Gatti (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Antonio Gentile (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Rita Ghedini (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Stefania Giannini (SCpI) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Mario Michele Giarrusso (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Gianni Pietro Girotto (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Manuela Granaiola (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Linda Lanzillotta (SCpI) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Barbara Lezzi (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Sergio Lo Giudice (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Stefano Lucidi (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Patrizia Manassero (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Bruno Mancuso (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Giovanna Mangili (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Alessandro Maran (SCpI) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Salvatore Margiotta (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Luigi Marino (SCpI) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Carlo Martelli (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Bruno Marton (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Donella Mattesini (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Maria Paola Merloni (SCpI) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Alfredo Messina (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Claudio Micheloni (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Marco Minniti (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Francesco Molinari (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Michela Montevecchi (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Vilma Moronese (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Nicola Morra (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Maria Mussini (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Paola Nugnes (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Luis Alberto Orellana (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Giorgio Pagliari (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Sara Paglini (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Carlo Pegorer (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Bartolomeo Pepe (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Vito Rosario Petrocelli (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Stefania Pezzopane (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Roberta Pinotti (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Sergio Puglia (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Laura Puppato (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Manuela Repetti (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Maria Rizzotti (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Maurizio Romani (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Lucio Romano (SCpI) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Gianluca Rossi (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Maurizio Santangelo (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Renato Schifani (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Salvatore Sciascia (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Marco Scibona (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Manuela Serra (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Ivana Simeoni (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Maria Spilabotte (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Gianluca Susta (SCpI) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Lucio Rosario Filippo Tarquinio (PdL) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Paola Taverna (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Stefano Vaccari (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Giuseppe Vacciano (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Daniela Valentini (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Luigi Zanda (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Adele Gambaro (M5S) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)
Leana Pignedoli (PD) (aggiunge firma in data 23 maggio 2013)

Il primo commento è che Crimi non è il solo grillino firmatario: ce n'è un'altra cinquantina. Dunque il partito di proprietà di Grillo e Casaleggio si riconoscene totalmente nel ddl. Bene, adesso lo sappiamo e non possiamo più fare finta di credere che questi qui lottino per la libertà!! Evidentemente lottano per qualcos'altro.
Il secondo commento è che la presenza di firmatari del PdL non è trascurabile: Lucio Malan, Maria Elisabetta Alberti Casellati, Anna Cinzia Bonfrisco, Remigio Ceroni, Giuseppe Esposito, Paolo Galimberti, Antonio Gentile, Bruno Mancuso, Alfredo Messina, Manuela Repetti, Maria Rizzotti, Renato Schifani, Salvatore Sciascia, Lucio Rosario Filippo Tarquinio. 
Poichè so per certo che tra frequentatori del blog c'è qualche elettore del PdL, avrò cura, nei mesi a venire, di ricordare ripetutamente questi nomi, affinchè non accada che, alla prossima tornata elettorale, possano venire votati per sbaglio.   

sabato 8 giugno 2013

Come i servizi segreti usano i media.

Ancora a proposito di formazione e manipolazione dell'opinione pubblica, propongo la recensione di un libro da conoscere.
Dal sito www.ilfarosulmondo.it:

“Come i servizi segreti usano i media”, un libro che svela e istruisce

di Federico Cenci
Più che un saggio, un manuale di educazione alla lettura delle notizie. O meglio, una guida per far sopravvivere residue doti di discernimento nella odierna “società dell’informazione”. Così si presenta una delle ultime fatiche dello storico e saggista Aldo Giannuli, “Come i servizi segreti usano i media” (Ponte alle Grazie, 2012). Lo stesso autore, nell’introduzione al libro, spiega: «Il punto è che le trasformazioni nel mondo dell’informazione (e, di conseguenza, tutte le trasformazioni sociali) sono diventate frenetiche e si succedono con una velocità assai superiore alla nostra capacità di metabolizzazione». «Ne deriva – prosegue – un grande bisogno di sistemizzare i dati che man mano ci arrivano. Molto più che nel passato abbiamo bisogno di teoria e di metodo per restare a galla in questa alluvione informativa».
E dove attingere se non nell’alveo dei servizi segreti, ossia laddove l’informazione è usata come un efficace strumento di “soft power” (1), questa capacità di “filtrare” le notizie da cui siamo costantemente sommersi? Del resto, «quello del rapporto fra mezzi di informazione e servizi di informazione è un angolo visuale privilegiato, che attraversa i più diversi campi, dalla cultura alla politica, dall’economia alla scienza, dalla società alla finanza».
Il testo, dotato di una chiarezza tale da renderlo comprensibile anche ai meno avvezzi alla materia, si struttura in tre parti. Nella prima l’autore descrive dettagliatamente il profilo del mondo dell’informazione, fornendo al lettore i rudimenti necessari per inoltrarsi nell’argomento, capirne le sfumature e comprendere come si formano le notizie. Viepiù interessante, al termine di questa premessa, è la descrizione dei metodi che i servizi segreti utilizzano per penetrare nel tessuto mediatico e far passare i propri messaggi, sovente grazie a tecniche di manipolazione molto sofisticate e ben oliate. Un canale adeguato in tal senso passa per la collaborazione con giornalisti fidati, basata su interessi reciproci.
Nella seconda parte i ruoli si invertono, l’autore propone al lettore un’immagine poco considerata dell’agente dei servizi segreti, non più quella di produttore occulto, bensì quella di consumatore dell’informazione. Qui viene analizzata l’importanza che ricopre per un servizio segreto, al fine di compiere abilmente la sua delicata funzione, la capacità di navigare nel maremagnum delle notizie. L’Osint (letteralmente Open Source Intelligence, studio delle fonti aperte) è una disciplina dell’Intelligence preposta esclusivamente a questo ruolo, divenuto fondamentale dagli anni Novanta, periodo che segna l’esplosione di internet. Il membro dell’Osint studia le notizie, le interpreta e fornisce elementi precipui al suo collega che dovrà occuparsi – a sua volta – di produrre, manipolare, mettere in circolo altre notizie. Se si conosce l’esistenza dell’Osint e come esso lavora, si possono intravedere, in filigrana del bailamme mediatico, le intricate partite a scacchi che giocano tra loro i servizi segreti. Giannuli ne passa in rassegna qualcuna particolarmente appassionante.
Acquisite dunque le nozioni essenziali, la terza parte è completamente dedicata all’esposizione pratica. L’autore qui rievoca alcuni noti fatti di cronaca, di interesse politico strategico, mettendone a nudo i dietro le quinte, gli aspetti nascosti in superficie. E, mediante gli strumenti propri dei servizi segreti precedentemente illustrati, dimostra come sia possibile scovarli. I temi che affronta Giannuli hanno catalizzato il dibattito pubblico internazionale. Le accuse di violenza sessuale nei confronti di Dominique Strauss-Kahn, ex presidente del Fondo monetario internazionale: indagini serie o complotto che cela intrighi finanziari? E ancora: l’uccisione di Osama Bin Laden. Tanti, troppi aspetti oscuri contornano la morte del ricercato numero uno degli Stati Uniti per non porsi interrogativi circa la versione ufficiale.
Gli interrogativi, appunto. Essi costituiscono oggi gli anticorpi necessari per chiunque abbia intenzione di conoscere il mondo oltre la coltre, spesso fuorviante, alzata dai mezzi di informazione di massa. Il libro di Giannuli può rappresentare un utile strumento per farli affiorare, questi quanto mai rari e preziosi interrogativi.
(1) «Soft power è un termine utilizzato nella teoria delle relazioni internazionali per descrivere l’abilità di un corpo politico di persuadere, convincere ed attrarre altri tramite risorse intangibili quali cultura, valori e istituzioni della politica». Cfr. Soft Power, cap. I, p. 9