martedì 31 gennaio 2012

Così le banche speculano coi soldi BCE

Posto una notizia di cui non conosco il grado di veridicità. Se qualche esperto vuole intervenire e confermare o smentire, è il benvenuto.
Da Il Fatto Quotidiano del 28.1.2012, di Vittorio Malagutti:

Così le banche speculano coi soldi Bce
Gli istituti di credito ricomprano le loro obbligazioni invece di finanziare le imprese. Grazie a queste operazioni finanziarie, Unicredit potrà incassare fino a 500 milioni di euro di utili
L’argomento è di quelli che i banchieri preferiscono evitare con cura. Comprensibile, dal loro punto di vista. Di questi tempi, con migliaia di aziende con l’acqua alla gola, è meglio non parlare di come gli istituti di credito italiani hanno intenzione di utilizzare la colossale iniezione di liquidità, qualcosa come 116 miliardi di euro, che hanno ricevuto dalla Banca centrale europea (Bce) a un tasso irrisorio, l’1 per cento. Meglio lasciar perdere, quindi. Oppure affidarsi a difese d’ufficio come quella di Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi (la Confindustria delle banche), che in una recente intervista al Sole 24 Ore ha definito “sostitutiva e non aggiuntiva ” la liquidità fornita dalla Bce. Come dire: in autunno la crisi del debito ci ha impedito di raccogliere quanto volevamo sui mercati e i prestiti dell’istituto di Francoforte ci danno una mano a tirare avanti.
Tutto vero, il punto in discussione però è un altro. E cioè: come verranno impiegati questi soldi? I banchieri ne parlano malvolentieri, ma non è un mistero che buona parte della liquidità servirà a sottoscrivere Bot e Btp. Il governo, sempre a caccia di sottoscrittori del debito pubblico, non può che apprezzare questa scelta. E, per di più, l’operazione fa bene anche al conto economico degli istituti, visto che la liquidità ottenuta all’ 1 per cento viene impiegata in titoli con rendimento ben superiore.
Non finisce qui. Di recente le banche hanno trovato anche un altro modo molto redditizio per utilizzare la montagna di soldi piovuta in cassa grazie alla Bce. Questa volta i prestiti di Francoforte servono a comprare, o meglio a ricomprare, le obbligazioni a suo tempo collocate dagli stessi istituti di credito. Funziona così. In circolazione ci sono bond per miliardi delle maggiori banche che hanno quotazioni molto lontane dalla parità. Poniamo, per esempio, 90. Se l’istituto li acquista, si assicura per 90 ciò che fra qualche anno avrebbe dovuto rimborsare a 100. Il guadagno è quindi pari al 10 per cento. In più, molto spesso, i titoli già sul mercato hanno caratteristiche tali che in un futuro prossimo non potranno più essere utilizzati per il calcolo dei ratios patrimoniali di vigilanza. Di conseguenza, se queste obbligazioni vengono ricomprate e cancellate, poi possono essere sostituite con altri bond che invece, a differenza delle altre, servono a migliorare i requisiti di patrimonio.
Tutto facile, facilissimo, soprattutto se le banche sono in grado di mettere in campo un arsenale con miliardi di euro da spendere. Per primo è partito Unicredit, che proprio ieri ha chiuso con successo il suo maxi aumento di capitale da 7, 5 miliardi. L’istituto guidato da Federico Ghizzoni ha annunciato che comprerà 3 miliardi di proprie obbligazioni. Nelle prossime settimane, se arriverà il via libera da Bankitalia, la stessa strada potrebbe essere seguita anche da altre banche come Ubi, Banco Popolare, Monte dei Paschi. In palio ci sono profitti per centinaia di milioni. Unicredit, per esempio, potrebbe riuscire a guadagnare poco meno di 500 milioni. E in tempi di bilanci non proprio brillanti quei soldi fanno molto comodo. E il denaro per ridare fiato alle aziende? A quello i banchieri ci penseranno più avanti. Magari dopo il prossimo finanziamento targato Bce. A meno che anche quella non sia “liquidità sostitutiva e non aggiuntiva”, per dirla con l’Abi.

Il Financial Times loda Monti

Notizia prevedibile, ennesima conferma di quel che già sappiamo.
Dal sito del quotidiano Rinascita:

Il Financial Times loda Monti, il più amato dalla City
di Filippo Ghira
Il più amato dalla City londinese. Questo è Mario Monti. Amato, soprattutto perché il suo essere un ex consulente della Goldman Sachs costituisce un attestato di affidabilità futura. Come alto è il gradimento per Mario Draghi, anche lui un ex della Goldman Sachs, che soltanto la scarsa preveggenza e la cecità politica e finanziaria di Germania e Francia hanno portato alla presidenza della Banca centrale europea. A cantare le lodi di Monti è stato, tanto per cambiare, il Financial Times organo per eccellenza della speculazione britannica.
La stessa gazzetta che, unitamente al settimanale confratello, Economist, non ha mai mancato l’occasione per attaccare Berlusconi, definito “unfit”, ossia inadatto a governare, come se tali valutazioni dovessero essere prese in considerazione, trattandosi di un quotidiano come un altro, fatto da giornalisti come tanti altri. Ma bisogna tenere presente che, quando i due fogli in questione intervengono, si tratta spesso di anticipazioni di mosse che la finanza british sta per lanciare o ha già lanciato contro questo o quel Paese; contro, ad esempio, i suoi titoli di Stato.
E’ stato quindi sempre sconfortante osservare che iniziative del genere prese nei fatti contro l’Italia venissero accolte con sommo gaudio dagli esponenti del centrosinistra, ai quali non pareva vero che all’estero, nella Perfida Albione, vi potesse essere qualcuno che criticava di suo il Cavaliere. Trattandosi poi della gazzetta per eccellenza dei banditi della City, l’entusiasmo dei neo-liberisti del PD appariva in tutta la sua ridicolaggine, come il disperato tentativo di dimostrarsi più liberisti di quanto il servilismo potesse suggerire e di quanto gli anglofoni potessero pretendere.
Ieri il FT è tornato ad affrontare le vicende di casa nostra, sostenendo nel titolo dell’articolo che “L’Italia è tornata”. Tornata, si intendeva, nel consesso dei Paesi civili, ovviamente perché il suo governo è adesso guidato dall’anglofono Monti, la cui immagine ci viene continuamente rivenduta all’insegna della sobrietà. Una bella svolta in confronto di quel puttaniere di Berlusconi poco attento all’immagine sua e dell’Italia ed incapace di andare a cena senza mettere i gomiti sul tavolo e raccontare barzellette sconce.
“L'Europa si appoggia sulle spalle di Monti”, sottotitola il FT, che dimostra di avere molto gradito le dichiarazioni dell’ex bocconiano sulla necessità di non isolare la Gran Bretagna per non aver firmato l’intesa sul Patto di bilancio , unico Paese Ue sui 27 membri. Concetto ribadito nell’incontro di tre giorni fa con il primo ministro David Cameron, un altro che ha riempito il suo governo di uomini prelevati dagli ambienti della City. Stesse frequentazioni, stesse scelte, si potrebbe commentare.
Il FT vede un futuro radioso per Monti. Infatti se Angela Merkel siede in cima alla lista dei potenti d'Europa. Nicolas Sarkozy è il leader europeo più energico, entrambi sembrano destinati ad uscire presto di scena. Invece Mario Monti è il più interessante. Con lui, dopo due decadi di assenza l'Italia è ritornata sulla scena. Due decadi nelle quali, si potrebbe replicare, con tutti gli orrori e gli errori commessi, il governo di centrodestra ha ostacolato nei fatti la svendita definitiva della sovranità italiana alla finanza anglofona come era stata avviata nella crociera del Britannia del 2 giugno 1992. Non è un caso che il FT parli di 20 anni (!) e che sottolinei che il destino di Mario Monti può essere quello dell'Europa. Per il quotidiano della City Monti sarebbe persino davanti a Barack Obama su tutti i  fronti, anche quando si tratta di fare pressioni sulla Merkel. E se Berlusconi parlando della cancelliera prendeva in giro l'aspetto della Merkel (la culona tedesca) Monti con lei parla invece di economia. La sua presenza diventa allora cruciale perché dall'Italia dipende il destino dell'Unione europea. E il vero test del suo governo saranno le liberalizzazioni. E, sottintendeva il FT, saranno pure le privatizzazioni. Come quella dell’Enel e soprattutto dell’Eni, che la City vorrebbe nelle mani dei fondi di investimento anglofoni o delle compagnie petrolifere anglo-americane. Dopo di che l’Italia non avrà più una propria politica estera autonoma e sovrana in Europa, nel Mediterraneo e ad Est.
Adesso conclude la gazzetta della speculazione, Monti ha due anni di lavoro e due carte da giocare, per portare avanti la sua ricetta per risollevare l'economia italiana. Per il FT il PdL è troppo debole per andare in questa primavera alle elezioni che sicuramente perderebbe. Il quotidiano, che confonde volutamente la realtà con i propri desideri, ma lo fa in maniera ridicola, afferma che Monti può parlare con chiarezza al potere tedesco, avendo  dimostrato da commissario europeo (alla Concorrenza e al Mercato interno) di essere campione indiscusso del riformismo liberale. Proprio la caratteristica che non piace eccessivamente alla Merkel che ne ha accertato da tempo l’impronta troppo british e che ha accolto con aperto fastidio le avances fatte a Londra mentre il resto dell’Europa andava da un’altra parte.

lunedì 30 gennaio 2012

Laurea honoris causa

E' tradizione del blog evitare, per quanto possibile, le immagini per privilegiare i testi. Ma a volte i vignettisti sono così geniali da produrre immagini che dicono più di qualsiasi testo...

Il Fondo monetario contro l'Ungheria

Vedo che (giustamente!) le vicende ungheresi stanno interessando molto i frequentatori del blog. Propongo quindi un nuovo aggiornamento postando un articolo di Andrea Perrone pubblicato sul quotidiano Rinascita.

 Il governo ungherese deve fare tutto il possibile per dissipare l’impressione di voler prendere il controllo della Banca centrale del Paese. A minacciare il governo magiaro con queste parole è stato il responsabile del Fondo monetario internazionale per l’Ungheria Christoph Rosenberg, nel corso di un’intervista pubblicata sul sito del Fmi. Una richiesta di per sé assurda visto che il premier Viktor Orban (nella foto) ha ammesso nei giorni scorsi di essere pronto a rivedere la contestata legge. Rosenberg ha consigliato al governo Orban di recuperare la fiducia dei mercati aumentando la “prevedibilità” della sua politica economica. “L’esempio più visibile riguarda il dibattito sull’indipendenza della banca centrale”, ha dichiarato Rosenberg. “La legislazione – ha osservato il responsabile dell’Fmi – adottata a fine 2011 ha dato l’impressione che il governo tenti di esercitare un’influenza sulle decisioni della banca centrale”. “Il governo – ha proseguito Rosenberg – dovrebbe fare tutto il possibile per dissipare questa impressione modificando la legge al fine di renderla conforme alle norme internazionali... La politica monetaria viene condotta da chi ne è incaricato, non dal governo”. Intanto, l’esecutivo Orban nonostante alcune aperture continua ad essere oggetto del fuoco incrociato dei poteri forti: oltre al Fondo monetario anche l’Unione europea colpisce duramente. Infatti, i ministri dell’Ecofin hanno deciso di avviare una procedura di infrazione verso l’Ungheria che non ha fatto abbastanza per riportare il deficit/Pil sotto il target del 3%, aprendo così la strada ad un congelamento dei fondi Ue dal 2013. Un altro duro colpo inferto alla politica del governo Orban nel tentativo di piegare la sua resistenza al dominio dell’usura internazionale.

venerdì 20 gennaio 2012

Bukovsky e l'Unione Europea.

Bell'articolo di Antonio Socci, pubblicato su Libero del 15.1.2012, dedicato alla figura dell'intellettuale dissidente sovietico Bukovsky. Non concordo però con Socci quando scrive che, nella sue profetiche analisi sull'UE, Bukovsky avrebbe "esagerato": io non vedo proprio nessuna esagerazione. 


Com’è l’Unione Europea? Peggio dell’Unione Sovietica

Il dissidente russo Bukovsky lo aveva predetto: “Un mostro come l’Urss guidato da burocrati autoeletti e fondato sulle minacce finanziarie”. Eravamo da sempre il Paese più europeista. Fino a un anno fa. In dodici mesi la fiducia degli italiani nell’Unione europea è precipitata.  Secondo l’ultimo rilevamento dell’Ipsos ha perso addirittura 21 punti percentuali (passando dal 74 per cento al 53). Un crollo che dovrebbe far riflettere i politici e soprattutto le tecnocrazie europee a cui gli italiani sono sempre più ostili. Anche perché il crollo della fiducia degli italiani non è un fatto emotivo passeggero, né uno stato d’animo superficiale. Al contrario. Il loro europeismo era a prova di bomba.
Hanno accettato di fare sacrifici per entrare nella moneta unica, hanno accettato perfino di farsi spennare da un cambio lira/euro estremamente penalizzante e poi hanno subito – senza fiatare – il sostanziale raddoppio di tutti i prezzi con l’inizio dell’euro (un impoverimento di massa). La loro fiducia è crollata solo davanti alla scoperta che la sospirata moneta unica – che tanto ci era costata – realizzata in quel modo (senza una banca centrale e un governo come referenti ultimi) era una trovata assurda e fallimentare di tecnocrazie incompetenti e arroganti. Grazie a questo incredibile esperimento, l’Italia – un Paese solvibilissimo e che ha la sesta economia del pianeta – sta ora rischiando il fallimento (del tutto ingiustificato visti i suoi fondamentali).
LA PROFEZIA
Quello che gli italiani ignorano è che tale disastro era stato previsto. E pure che la china antidemocratica che l’Ue sta imboccando da venti anni a questa parte era evidente ed era stata denunciata. L’affievolimento della democrazia e dei diritti individuali, la dittatura del «politically correct», è qualcosa a cui purtroppo facciamo meno caso – come si vede in queste settimane in Italia – ma è perfino più grave del fallimento politico ed economico della Ue.
Una delle voci nel deserto che videro in anticipo è quella di un eroico dissidente russo, Vladimir Bukovsky, uno così temerario e indomabile che già a venti anni era inviso al regime comunista sovietico il quale lo rinchiuse nei manicomi politici e nel gulag, torturandolo (infine – pur di disfarsene – lo cacciò via nel 1976 in cambio della liberazione in Cile del leader comunista Luis Corvalan). Ebbene, Bukovsky, in una conferenza nell’ottobre del 2000, riportata di recente su Italia oggi, se n’era uscito con affermazioni che sembrarono allora esagerate, che forse lo sono, ma che – alla luce degli ultimi eventi – rischiano di essere semplicemente profetiche.
Non mi riferisco solo a eventi come il commissariamento dell’Italia e della Grecia e il tentato commissariamento (in corso) dell’Ungheria, ma anche alle cessioni di sovranità dei diversi stati mai sottoposte ai referendum popolari o alle bocciature di tali cessioni (nei referendum o nei parlamenti) che sono state sostanzialmente ignorate.  «Per quasi 50 anni», disse Bukovsky «abbiamo vissuto un grande pericolo sotto l’Unione Sovietica, un paese aggressore che voleva imporre il suo modello politico a tutto il mondo.
Diverse volte nella mia vita ho visto per puro miracolo sventare il sogno dell’Urss. Poi abbiamo visto la bestia contorcersi e morire davanti ai nostri occhi. Ma invece di esserne felici, siamo andati a crearci un altro mostro. Questo nuovo mostro è straordinariamente simile a quello che abbiamo appena seppellito». Si riferiva all’Unione europea. Argomentava: «Chi governava l’Urss? Quindici persone, non elette, che si sceglievano fra di loro. Chi governa l’Ue? Venti persone non elette che si scelgono fra di loro».
Bisogna riconoscere che oggi abbiamo addirittura governi non eletti (come quello italiano) con un programma dettato dalla Bce.
Diceva ancora Bukovsky: «Come fu creata l’Urss? Soprattutto con la forza militare, ma anche costringendo le repubbliche a unirsi con la minaccia finanziaria, facendo loro paura economicamente. Come si sta creando l’Ue? Costringendo le repubbliche a unirsi con la minaccia finanziaria, facendo loro paura economicamente.
Per la politica ufficiale dell’Urss le nazioni non esistevano, esistevano solo i “cittadini sovietici”. L’Ue non vuole le nazioni, vuole solo i cosiddetti “europei”. In teoria, ogni repubblica dell’Urss aveva il diritto di secessione. In pratica, non esisteva alcuna procedura che consentisse di uscirne. Nessuno ha mai detto che non si può uscire dall’Europa. Ma se qualcuno dovesse cercare di uscirne, troverà che non è prevista nessuna procedura».
Bukovsky arrivava fino a giudizi pesantissimi, sicuramente esagerati, ma chi ha subito ciò che lui ha subito in difesa della libertà di coscienza ha tutto il diritto di essere ipersensibile a ogni violazione della libertà di pensiero e dei diritti individuali: «L’Urss aveva i gulag. L’Ue» aggiungeva Bukovsky «non ha dei gulag che si vedono, non c’è una persecuzione tangibile. Ma nonostante l’ideologia della sinistra di oggi sia “soft”, l’effetto è lo stesso: ci sono i gulag intellettuali. Gli oppositori sono completamente isolati e marchiati come degli intoccabili sociali. Sono messi a tacere, gli si impedisce di pubblicare, di fare carriera universitaria ecc. Questo è il loro modo di trattare con i dissidenti».
Un’esagerazione certamente, ma è la sua stessa vicenda personale a far riflettere sulla libertà del pensiero e della cultura in Europa occidentale. Quanti in Italia conoscono Vladimir Bukovsky, il leggendario dissidente, l’eroico difensore della libertà di coscienza? Eravamo pochissimi isolati che nei primi anni Sessanta ne seguivamo le peripezie (nei manicomi politici e nei lager): i miei coetanei – specie quelli che oggi pontificano dai giornali come giornalisti, opinionisti e intellettuali – avevano come loro mito i vari Mao, Fidel Castro e perfino Stalin. Oggi molti di loro – dopo essersi autoassolti – impartiscono lezioni di liberaldemocrazia dai mass media, ma senza mai aver fatto un vera «mea culpa», infatti continuano a cantare in coro. E continuano ad avere in gran dispetto le voci libere come Bukovsky.
AUTOASSOLUZIONI
Il motivo semplice. Perché mette sotto accusa le élite culturali europee (e anche quelle politiche). Perché è un uomo che – dopo aver sfidato il Kgb e la cappa di piombo del regime sovietico – ha sfidato la cappa di piombo del conformismo «politically correct» occidentale. È uno che nei suoi libri scrive: «Il comunismo è una malattia della cultura e dell’intelletto… Le élite occidentali penso non capissero l’universalità di quel male, la sua natura internazionale e quindi il carattere universale della sua pericolosità».
La sua ha continuato ad essere una voce scomoda e isolata perché – dopo il crollo delle feroci nomenclature comuniste – non ha chiesto vendetta, ma ha pure rifiutato che si autoassolvessero e restassero al potere. Ha scritto in un suo libro: «Noi siamo pronti a perdonare i colpevoli, ma loro non devono assolversi da sé». È chiaro perché uno così, in un paese come l’Italia, è sconosciuto e continua ad essere una voce silenziata. Infatti quante volte è stato fatto parlare in tv o sui giornali italiani?
Parla in Gran Bretagna, in America… Ma in Italia è una voce silenziata. Quali case editrici hanno pubblicato i suoi libri? Prendiamo il volume che ha scritto, dopo il crollo dell’Urss, quando poté tornare a Mosca e pubblicare i documenti degli archivi del Cremlino: chi ha tradotto quel libro in Italia? La piccolissima editrice Spirali. Infatti «Gli archivi segreti di Mosca» è pressoché sconosciuto e ben pochi ne han parlato sui giornali. Eppure riguardava anche noi italiani.
Voci profetiche come quella di Bukovsky devono far riflettere soprattutto in un Paese come il nostro dove ha sempre scarseggiato la sensibilità per i diritti dell’individuo e ha sempre abbondato il conformismo culturale, la prevaricazione delle nomenklature e quella dello stato. L’allarme del dissidente russo sull’Europa ci riguarda e ci deve far riflettere. Oggi più che mai. Ma ancora una volta sono poche le voci che sono sensibili all’allarme sulla libertà.

La nuova Costituzione ungherese.

Tra le molte, e spesso sorprendenti, notizie giunte nelle scorse settimane dall'Ungheria (su cui anche il nostro blog si è soffermato), vi è stata anche quella della nuova Costituzione.
Mi pare molto interessante evidenziare come questo nuovo testo presenti richiami alla tradizione e alla dottrina cristiana a cui, decisamente, non siamo più abituati. E', anche questo, un aspetto del "nuovo corso" ungherese da conoscere, e da apprezzare per chi pensa che - in epoca di globalizzazione - la cultura specifica di un popolo sia sempre e comunque un patrimonio da preservare.  
Merita riportare gli stralci più significativi della nuova Costituzione:

LEGGE FONDAMENTALE DELL'UNGHERIA
(25 aprile 2011)
Dio benedica gli Ungheresi
PROCLAMAZIONE NAZIONALE
Noi, membri della nazione ungherese, all’inizio del nuovo millennio, con un senso di responsabilità per ogni Ungherese, dichiariamo:
Siamo fieri che il nostro re santo Stefano abbia istituito lo Stato Ungherese sopra una solida fondazione e che abbia fatto entrare il nostro paese nell’Europa cristiana mille anni fa.

Riconosciamo il ruolo del cristianesimo nel conservare l’integrità della nazione. Stimiamo le varie tradizioni religiose del nostro paese.

Onoriamo le realizzazioni della nostra costituzione storica e onoriamo la Santa Corona che rappresenta la continuità costituzionale dell’indipendenza ungherese e l’unità della nazione.
Articolo J
(1) I giorni nazionali di festa dell’Ungheria saranno: … (b) Il 20 agosto, in memoria della fondazione dello Stato e di santo Stefano, fondatore dello Stato
Articolo L
(1) L’Ungheria proteggerà l’istituzione del matrimonio come unione di un uomo e di una donna stabilita da una decisione volontaria, e la famiglia come base di sopravvivenza della nazione
(2) L’Ungheria incoraggerà l’impegno ad avere figli.
….LIBERTÀ E RESPONSABILITÀ
Articolo II

La dignità umana è inviolabile. Ogni essere umano ha il diritto alla vita e alla dignità umana; la vita dell’embrione e del feto sono da proteggere dal momento del concepimento.
Articolo III
(3) Tutte le pratiche eugeniche, l’uso del corpo umano o qualsiasi parte di quello a scopo di lucro così come la clonazione sono proibiti.

ULTIME DISPOSIZIONI
1. La Legge fondamentale dell’Ungheria entrerà in vigore il 1° gennaio 2012
Noi, membri del Parlamento eletto il 25 aprile 2010, consapevoli della nostra responsabilità davanti a Dio e all’uomo,
e nell’esercizio del nostro potere costituzionale, adottiamo ora questo testo che è la prima Legge Fondamentale unificata dell’Ungheria.
Dr. Pál Schmitt Presidente della Repubblica
László Kövér Portavoce del Parlamento

La tragedia del Cermis non è mai avvenuta.

Uno dei tanti aspetti della sovranità limitata. Anzi della sovranità inesistente. Triste.
Dal blog Bye Bye Uncle Sam:

L’aeronautica “cancella” il Cermis dal libro sui cento anni dell’aeroporto di Aviano
Clamorosa lacuna: in 464 pagine nemmeno una riga per ricordare la tragedia del 1998 in cui morirono 20 persone
La tragedia del Cermis non è mai avvenuta. Almeno per il libro che celebra il secolo di attività dell’aeroporto “Pagliano e Gori” di Aviano in capo all’Aeronautica italiana, ma di fatto utilizzato dalla Base USAF. Già, perché in quel libro commemorativo non c’è traccia di quanto accaduto in quel febbraio del 1998 quando un velivolo militare USA decollò dalla Base di Aviano alla volta del Trentino dove urtò i cavi di una funivia provocando la caduta di una cabina con 20 civili a bordo, morti nell’impatto col suolo.
Il volume (edito dal locale Comando dell’Aeronautica Militare Italiana) è stato presentato in occasione del convegno (a invito) tenutosi lo scorso novembre. Si tratta di un’opera di grande rigore storico dove è narrato quanto accaduto durante il secolo di servizio dell’aerobase, aperta nel 1911. Un tomo di 464 pagine, pesante quasi 3 chili. Sfogliandolo, però, si scopre una lacuna clamorosa: manca la menzione (nemmeno una riga) della strage del Cermis.
Eppure sono citate tutte le operazioni che hanno visto protagonista l’aeroscalo pordenonese: dalla Prima Guerra Mondiale sino al recente intervento sulla Libia di Gheddafi, passando per i bombardamenti nell’ex Jugoslavia. Nel libro vengono citate (e a volte dettagliate) le tragedie dell’aria come la morte del pilota Mark McCarthy (schiantatosi nell’Adriatico con il suo cacciabombardiere F-16 nel 1995), dell’aviere Antoine Holt (Iraq 2004), dei sei elicotteristi precipitati sul Piave (2008) e di un altro paio periti in Kuwait nel 2003, tutti americani.
Nessuna traccia invece delle 20 persone (civili di varie nazionalità) cadute sul Cermis. Era il 3 febbraio del 1998 quando un velivolo EA-6B dei Marines decollò da Aviano alla volta del Trentino per una missione addestrativa, durante la quale l’equipaggio violò le regole di volo (come appurato e concluso dalla Commissione parlamentare d’inchiesta) finendo per tranciare i cavi di una funivia determinando lo sgancio di una cabina (20 persone a bordo) che cadde da un’altezza di 100 metri. Gli occupanti morirono all’impatto, stritolati fra le lamiere, mentre l’aereo rientrò «ferito» alla Base. Una tragedia entrata di diritto (e a caratteri cubitali) nella storia dell’aeroporto «Pagliano e Gori» di Aviano. Ma non sul volume commemorativo che l’ha cancellata.

mercoledì 18 gennaio 2012

(Comunicazione di servizio)

Un frequentatore del blog, il sig. S.D., mi ha inviato il giorno 16 gennaio una comunicazione personale a cui mi risulta impossibile rispondere perchè il suo indirizzo di posta elettronica pare non ricevere le mail.
Lo prego di fornirmi altro indirizzo a cui possa rispondergli! 

domenica 15 gennaio 2012

Segnalazione trasmissione radiofonica.

Dando un seguito al Convegno di Teramo del 6 dicembre, il "Gruppo Lo Sai" organizza per mercoledì 18.1.2012 h. 19 una trasmissione radiofonica nella quale interverremo io, sul tema del mandato d'arresto europeo, e l'avv. Elvio Fortuna, sul tema particolarissimo e sconosciutissimo della polizia europea.
Il link per ascoltare in diretta streaming la puntata è questo: http://www.radiompa.com/new/.
La "strana faccenda" della polizia europea è stata opportunamente evidenziata proprio pochi giorni or sono da Ida Magli sul sito ItalianiLiberi (post dell'11.1.2012: vale la pena di leggerlo perchè richiama anche un precedente, utile intervento di Solange Manfredi).
Mi permetto di consigliare l'ascolto, non tanto per le cose che potrò dire io (che già leggete nel blog...) ma perchè ritengo davvero importante diffondere un'informazione sullo sconcertante tema della polizia europea!  

sabato 14 gennaio 2012

Orban e gli usurai.

In attesa di capire fino a che punto l'usurocrazia internazionale permetterà a Orban di portare avanti i suoi progetti, un interessante articolo del quotidiano Rinascita che riassume le iniziative finora assunte dal governo ungherese.
Orban si oppone agli usurai della troika
di Gianluca Freda
Viktor Orbán, il premier ungherese, ha deciso così di superare se stesso. Dopo aver buttato fuori a calci il Fmi dalla propria nazione, dopo aver tagliato gli emolumenti dei dipendenti pubblici, a partire dai banchieri, dopo aver ridotto di 9 punti la tassazione per le aziende, dopo aver vietato i mutui in valuta straniera che facevano concorrenza a quelli in valuta nazionale, sentite un po’ cos’altro ha fatto questo folle.
Sfruttando la maggioranza schiacciante in Parlamento conquistata dal suo partito (Fidesz) nelle ultime elezioni, e fregandosene del ricatto di Fmi ed Ue, che adesso minacciano di bloccare i prestiti al suo paese e di trascinarlo alla Corte Europea di Giustizia, Orbán ha imposto – trema la penna nello scriverlo – la quasi nazionalizzazione, di fatto, della Banca Centrale Ungherese. Le nuove leggi varate dal Parlamento hanno tolto al presidente della banca centrale, Andras Simor, il diritto di nominare i suoi vice; hanno aumentato da sette a nove membri i componenti del Consiglio Monetario (che decide, tra l’altro, l’entità dei tassi d’interesse) attribuendo maggior peso ai membri di nomina governativa, passati da due a tre; hanno creato un’apposita posizione per un terzo vicepresidente (anch’esso di nomina governativa). Inoltre, grazie alla maggioranza dei due terzi (assai abbondanti) che può vantare in Parlamento, Orban ha varato una serie di riforme costituzionali (ben sette, finora) l’ultima delle quali prevede la fusione della banca centrale con l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari, il che implica la possibilità di scavalcare il governatore della banca centrale nelle decisioni più rilevanti.
Inutile dire che Standard & Poor’s e Moody’s si sono affrettati ad abbassare il rating ungherese a livelli da quarto mondo, come sempre si fa con i recalcitranti che si vuole ricondurre all’obbedienza, sbraitando la solfa consueta, secondo la quale tali misure “restringono le prospettive di crescita economica del paese”. E’ noto che solo lo strozzinaggio di Fmi e Bce è in grado di garantire una crescita economica degna di questo nome, come Italia e Grecia sono lì a dimostrare. Orbán non si è lasciato intimidire. “E’ una moda europea quella di tenere le banche centrali in una posizione di sacra indipendenza”, ha dichiarato alla stampa. “Nessuno può interferire con l’attività legislativa ungherese, nessuno al mondo può dire ai rappresentanti eletti dal popolo ungherese quali leggi approvare e quali no”. Poffarbacco. Non crederà mica, questo “demente”, di dar vita ad una nazione sovrana e monetariamente autonoma in un continente di sguatteri degli Stati Uniti? Non crederà mica sul serio che “democrazia” significhi rispettare la volontà degli elettori andando contro i diktat della Bce? Perché non obbedisce e se ne sta buono, come fanno tutti, a partire dal nostro farfugliante e reverente inquilino quirinalizio?
Pare che invece Orbán a queste fole creda davvero. Le misure di semi-nazionalizzazione della banca centrale sono solo la punta dell’iceberg. Qui le buone notizie si fanno gustose davvero.
Il parlamento ungherese, per reagire alle misure punitive europee e al fallimento dell’asta dei titoli di stato tenutasi nei giorni scorsi, ha nazionalizzato 10 miliardi di euro di fondi pensione privati.
Ha imposto alle banche di ripagare, con proprio capitale, parte dei debiti contratti in valuta estera, a partire dai mutui.
Ha spodestato il capo della Corte Suprema, Andras Baka, sostituendolo con giudici di sua nomina.
Tunde Hando, moglie di uno dei parlamentari di Fidesz, ha ricevuto piena facoltà di nominare i nuovi magistrati, compresi quelli che andranno a rimpiazzare le dozzine di pensionamenti che si avranno da quest’anno grazie all’abbassamento dell’età pensionabile dei giudici, varata dalla stessa maggioranza parlamentare.
Ha sostituito il Consiglio Fiscale “indipendente” (cioè obbediente alle imposizioni dissanguatici dell’Ue) con un organismo dominato dai membri e dagli alleati del partito di maggioranza.
Anche a capo dell’organismo di revisione della contabilità di stato (il “Consiglio di Bilancio”, assimilabile alla nostra Corte dei Conti) è stato posto un esponente di Fidesz, di nomina parlamentare.
Ma la parte migliore sono le leggi in favore della cultura nazionale, con cui si sta cercando di sottrarre l’informazione pubblica alla schiavitù del melmoso sistema di lavaggio del cervello filo-statunitense che impesta da decenni il nostro rivoltante panorama mediatico.
E’ stato imposto un tetto massimo del 20% alle notizie di cronaca nera nei telegiornali, ponendo finalmente un limite al dilagare di sarescazzi, roseolindi e annemariefranzoni che rincitrulliscono e terrorizzano i telespettatori, costringendoli a temere il nulla e a disinteressarsi delle notizie di politica e finanza, cioè di ciò che più ardentemente dovrebbero temere.
E’ stato imposto ai giornalisti investigativi l’obbligo di rivelare le proprie fonti, arginando la mareggiata di diffamazioni e calunnie senza fondamento della quale i mezzi di disinformazione occidentali si sono serviti per distruggere reputazioni e far cadere governi in ossequio alle direttive americane.
E’ stato anche stabilito che la TV ungherese dovrà trasmettere una percentuale minima del 40% di musica ungherese sul totale di musica trasmessa, il che male non fa.
Ah, dimenticavo: i gay non possono sposarsi e l’unico matrimonio riconosciuto come tale è quello eterosessuale. Mi dispiace, amici gay d’Ungheria. Ho la morte nel cuore. Niente zagare e confetti per voi quest’anno, che tristezza.
Infine, orrore degli orrori: i deputati dell’opposizione, che la settimana scorsa manifestavano inermi e frementi di venerabile sdegno contro le “leggi liberticide” del governo, sono stati arrestati dalla polizia, compreso l’ex primo ministro Ferenc Gyurcsány. Immagino si sia trattato di un provvedimento che il governo Orbán ha varato a favore del turismo. Molti cittadini delle ex nazioni europee sborserebbero alle agenzie di viaggio cifre considerevoli per assistere all’arresto e alla manganellazione costumata dei traditori della patria di un qualunque parlamento continentale. Se lo spettacolo dovesse continuare, mi prendo un weekend libero e prenoto il primo torpedone in partenza per Budapest. Magari prima sentiamoci, se prenotiamo per comitive spendiamo meno. Speriamo ci siano anche delle cartoline con le fasi salienti del pestaggio da inviare agli amici.
In poche parole, il governo di Orbán ha fatto tutto ciò che Berlusconi, con la sua maggioranza, avrebbe potuto fare in Italia se solo non fosse stato l’incompetente, corrotto, semianalfabeta, pusillanime e venduto piazzista di casseruole che noi tutti amiamo.
La cosa più divertente è stata la lettura delle prevedibili reazioni degli zampognari dell’editoria nostrana a questa sacrilega ribellione magiara al credo ideologico costituito. Da “Repubblica” al “Corriere” è tutto un coro dolente di anatemi, di atti di dolore, di dalli al fascista, di querimonie d’onta e vituperio. La consueta tragica farsa.

domenica 8 gennaio 2012

Resisti Ungheria!

Notizie importanti dall'Ungheria, seguite da un commento pienamente condivisibile di Gabriele Gruppo. Da StampAntagonista, organo ufficiale del MTN (sito wordpress.thule-italia.net).

L’Ungheria preoccupa l’Europa, migliaia in piazza contro la nuova Costituzione di Orban
A Budapest è il giorno di «Eroi, re, santi» mostra d’arte antica e contemporanea inaugurata oggi alla Galleria Nazionale voluta dal premier conservatore Viktor Orban, nome che inquieta sempre più Bruxelles. La Commissione Ue è pronta ad agire contro il governo conservatore ungherese per fermare alcune riforme della Costituzione in senso autoritario che Fidesz, il partito del premier al potere dal 2010, è riuscito ad assicurarsi forte della propria maggioranza dei 2/3 del Parlamento nazionale. Intanto una folla mai vista – 100mila secondo gli organizzatori, 70mila per gli osservatori – ha manifestato ieri sera a Budapest contro il governo di Orban: una mobilitazione senza precedenti a cui hanno risposto partiti di sinistra ed ecologisti, ma anche movimenti della società civile.
Duello sulla Banca centrale d’Ungheria
Il casus belli più importante fra Ue e Budapest è la riforma che mette sotto tutela la Banca centrale ungherese, un punto assolutamente inaccettabile per la Commissione, guardiana del diritto comunitario, perché si tratterebbe di una grossolana violazione dell’art. 130 del Trattato sul funzionamento dell’Ue. Il principio dell’indipendenza assoluta sancito da quest’articolo non riguarda solo la Bce di Francoforte, ma tutte le banche centrali nazionali dei Paesi membri, anche quando non sono ancora entrati nell’euro. L’ha spiegato bene oggi a Bruxelles il portavoce della Commissione, Olivier Bailly, ricordando che si tratta di una condizione essenziale per garantire «la stabilità dell’ambiente giuridico» in cui operano le istituzioni finanziarie, e che una violazione di questa norma non riguarderebbe solo la situazione nazionale ungherese, ma comprometterebbe l’indipendenza di tutto il Sistema europeo delle Banche centrali (Sebc) dell’Ue.
Nonostante due avvertimenti scritti del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, Orban è andato avanti con la propria riforma, che mette il governatore della Banca centrale ungherese, Andras Simor, sotto l’autorità del presidente di un board allargato (comprendente anche i membri dell’autorità di controllo finanziario Pszf), e modifica anche l’organismo della Banca che decide i tassi d’interesse, rendendolo docile all’Esecutivo. Alle lettere di Barroso, del 16 e 28 dicembre, il premier ha risposto il 23 e il 30 dicembre, garantendo a parole la compatibilità col diritto Ue della riforma, approvata definitivamente lo stesso 30 dicembre. La Commissione sta esaminando il testo definitivo della riforma, che ha ricevuto in inglese stamattina, e deciderà la settimana prossima, con tutta probabilità, se avviare una procedura d’infrazione contro Budapest. L’Esecutivo Ue potrebbe dare un ultimatum al governo ungherese per modificare la sua legge costituzionale o far fronte a un ricorso in Corte europea di Giustizia entro pochi mesi, forse anche con la richiesta di sanzioni finanziarie. Uno scenario che veniva evocato come abbastanza probabile oggi a Bruxelles, se Orban non farà marcia indietro.
fonte www.ilsole24ore.com
Per noi non è una sorpresa constatare come si sta articolando l’operazione d’accerchiamento dell’Ungheria, che vede nelle nuove manifestazioni antigovernative l’ultimo tassello di questo progetto.
Il coraggioso Esecutivo guidato dal Primo Ministro Orban, supportato da una maggioranza parlamentare schiacciante che vede le istanze portate dal partito identitario dello Jobbik fatte proprie anche dai nazionalisti più moderati del Fidesz, il partito al governo, è reo d’aver osato mettere mano ad un tabù: la sedicente “libertà” bancaria e finanziaria.
Voler nazionalizzare la banca centrale d’Ungheria, cosa che dovrebbe essere presa ad esempio da tutti gli Stati dell’UE in questa fase della crisi, per i gruppi di potere liberisti è una vera e propria bestemmia. Per questo motivo cominciano a muoversi i burattini interni alla nazione magiara, che cercano di creare un clima di delegittimazione internazionale contro le decisioni del Governo Orban, necessarie per dare il pretesto ad ingerenze pesanti da parte della Corte di Giustizia europea, e a tutti quegli apparati internazionali ostili a vere misure che contrastino la svendita del Vecchio Continente e dei suoi popoli.
A quanto pare gli ungheresi non vogliono cedere alle richieste delle istituzioni bancarie internazionali, ed il tentativo di riportare la Banca Centrale nelle mani dello Stato è solo l’ultimo di una lunga serie di provvedimenti che, per tutto il 2010, ha visto Budapest ergere un muro contro i diktat di chi voleva per l’Ungheria un destino simile a quello della Grecia o dell’Irlanda.
Pur nella nostra vicinanza ideologica con lo Jobbik, ed aver nutrito dubbi in passato sul tentativo d’Orban di sorpassare a destra il vivace partito identitario, riteniamo che ad oggi solo l’Ungheria, nell’ambito del sodalizio dell’UE, abbia avuto il coraggio di affrontare vigorosamente il serpe liberista nel modo migliore.
Certo, anche l’Ungheria soffre della crisi economica, ma è solo grazie a chi attualmente ne regge le sorti che i nefasti effetti della passata apertura al libero mercato e alla finanza, possono dirsi attenuati da azioni politiche forti e radicali, che non hanno eguali se non nell’esempio dato dall’Islanda, con la sua uscita dal Fondo Monetario Internazionale.
La colpa maggiore del Governo Orban è quella di non essersi piegato al FMI e all’UE che volevano depredare il paese. L’obbligo per le banche private di assorbire le rilevanti perdite su mutui in valuta estera, la nazionalizzazione di fondi pensione per 13 miliardi di dollari, e le tasse straordinarie sui profitti commerciali, hanno permesso a molte famiglie di evitare di perdere la propria casa, e all’economia magiara di reggere bene i colpi della finanza internazionale.
Se questi risultati non piacciono ai puristi della democrazia poco c’interessa.
Noi, come sempre, siamo dalla parte di chi sta lottando per la sopravvivenza non di un sistema economico decadente e fallimentare, ma per quella del proprio popolo.
Per questo diciamo:
RESISTI UNGHERIA! RESISTI!

Euro: solo una moneta senza sovrano?

Intervista a Lucio Caracciolo, direttore di Limes, pubblicata su Avvenire del 31.12.2011, che merita di essere conosciuta anche se non mi sembra che Caracciolo centri veramente i punti cruciali che riguardano l'UE. E, ahimè, l'Euro non è "solo" una moneta senza sovrano: è, unitamente all'Unione, lo strumento per un progetto ben più inquietante...

«È una moneta senza sovrano. Così è destinata
a esplodere».

di Giuseppe Matarazzo
Euro sì, euro no? A questo "dilemma", in tempi non sospetti, Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica «Limes» e docente di Studi strategici alla Luiss, ha risposto chiaramente. Già nel 1997 usciva per Laterza con un libro dal titolo inequivocabile: «Euro no. Non morire per Maastricht». Oggi, a dieci anni dall'ingresso della moneta unica europea, l'Europa è al suo capezzale.

Cosa non ha funzionato?

Il problema dell'euro non è strettamente economico o monetario, ma politico. È una moneta senza sovrano. Oggi di fronte al convergere di una crisi esterna, con la cattiva gestione del «caso Grecia», è emersa la crisi strutturale dell'Unione europea, l'incapacità di capire cosa sta succedendo e come uscirne. Lo scopriremo o attraverso l'esplosione dell'euro o con una presa di coscienza, che porti a determinare un sovrano politico che garantisca questa moneta. Ma credo che la seconda ipotesi sia più difficile della prima.

È più facile che esploda l'euro?
Obiettivamente, sì. Non siamo riusciti in 10 anni ad avere un sovrano europeo, figuriamoci in tre mesi.

Ma sarebbe un disastro...

Sarebbe una crisi non solo monetaria ma anche sociale e politica. Com'è già in tutto e per tutto quella che stiamo vivendo. Ma non sarebbe una catastrofe. Non diamo alla moneta in sé un valore superiore a quello che rappresenta. È sempre un mezzo di pagamento.

Qual è il peccato originale?

L’euro non è nato, né rischia di morire, per ragioni economiche. Fu concepito da francesi e italiani per punire la Germania che aveva osato riunificarsi e poteva avere mire espansionistiche. Per questo abbiamo preteso la cessione del marco e dell'egemonia della Bundesbank alla Bce. Il cancelliere Kohl contro la netta maggioranza dei tedeschi accettò il compromesso. Adesso l'insofferenza di Berlino sta venendo fuori.

Basterà il nuovo trattato a sistemare le cose?

Temo di no. Se gli esiti generali della crisi sono incerti, è certo che il prossimo trattato sarà solo un ulteriore passo in questa agonia. Nella migliore delle ipotesi sarà il tentativo di costruire una zona euro ristretta.


Con due euro...

L'idea di un euronucleo è vecchia quanto l'euro. Ma una cosa è farla mentre c'è il bel tempo. Un'altra è immaginare un'arca di Noè che traghetti i superstiti nella tempesta di oggi.

L'Europa si scopre un gigante dai piedi d'argilla?

L'Ue è diventata una struttura autoreferenziale, non animata da regole ma da rapporti di forza. Si sono svuotate le democrazie nazionali senza costruire una democrazia europea. Così di democrazia in Europa n'è rimasta poca.

Che ruolo gioca l'Italia?

Si è ritrovata a essere il perno del sistema monetario ed economico. Se andiamo in bancarotta noi, fallisce l' euro. E tutti, ma proprio tutti, hanno interesse che ciò non succeda. Prima eravamo assenti, ora subiamo un'attenzione straordinaria.

Giustificata?

Direi di sì. È meno giustificato che non utilizziamo questa occasione per rialzare la testa: abbiamo la possibilità, non dico di dettare le condizioni, ma almeno di far valere le nostre ragioni per uscire dalla crisi più forti e non più deboli. Invece cerchiamo solo il compito da mettere in bella.

mercoledì 4 gennaio 2012

Finanza e banditi

So bene che Giulietto Chiesa non piace a tutti. So bene che molti lo considerano un personaggio discutibile. Ma è anche una grande fonte di informazioni (a proposito, qualcuno si è accorto, che ieri sera Giuliano Ferrara ha fatto riferimento ad un gigantesco intervento della Federal Reserve in salvataggio delle banche americane, la cui notizia era stata a suo tempo divulgata in Italia proprio da Giulietto Chiesa?), e questo articolo lo dimostra ancora una volta.
Dal sito www.megachip.info:

Finanza e banditi a Basilea
Accadde a luglio del 2011, alla vigilia del vertice del G-20. Il mondo del mainstream, istruito per farci vedere il varieté, ci raccontò gl’incontri dei grandi e dei meno grandi, ma non ci disse niente in prima pagina sul posto dove quelle loro - si fa per dire - decisioni erano state prese, prima che costoro si riunissero.
Soprattutto si è guardato bene dal dirci “chi” erano quelli che le avevano prese, e poi, opportunamente confezionate, le avevano fatte servire agl’ignari abitanti di Matrix.
Il luogo fu Basilea, la città cui è toccato di scandire, con la precisione degli orologi svizzeri, il cambio d’epoca cui siamo forzati ad assistere. Si chiamano “Basilea 1”, “Basilea 2”, “Basilea 3” (in fieri) , le tappe in cui i regolamenti finanziari sono stati definiti negli scorsi anni. Basilea non per un capriccio del destino, ma perché è la sede della Bank for International Settlements, cioè la superbanca delle superbanche, il luogo dove si decidono le regole delle banche, cioè ormai degli Stati (dal momento che questi ultimi sono dei nani al servizio dei ciclopi); il tempio dove si stabilisce il grado di libertà che le superbanche intendono riservarsi nel loro agire.
A luglio 2010 non si tenne una “Basilea 3” definitiva, ma di sicuro quella riunione resterà nella storia del capitalismo finanziario mondiale, perché fu là che si misurarono i rapporti di forza tra i potenti del pianeta, per meglio dire tra i potenti dell’Occidente, perché fu tra di loro che si regolarono - provvisoriamente - i conti. Erano sei mesi fa e, a occhio e croce, si può dire che quella partita è già finita e se ne stanno aprendo altre, probabilmente assi più dure di quella. Saranno scontri violentissimi, perché violenti sono gl’interessi che collidono. Questo anche per dire - a un considerevole numero di illusi, che continuano a ripetere questo luogo comune - che non esiste a tutt’oggi alcun “ordine mondiale” e che, anzi siamo in pieno caos mondiale, in cui i veri detentori del potere, i “proprietari universali” sono impegnati in lotte senza quartiere, per stabilire chi sopravviverà e chi dovrà morire, chi resisterà e chi sarà travolto.
I partecipanti erano in 50 , in rappresentanza di 27 paesi dell’occidente. Scrivo “in rappresentanza” non perché qualcuno di voi, lettori, li abbia indicati come suoi rappresentanti. Si sono rappresentati da sé, non hanno bisogno di voi e di noi. Sono quelli che davvero contano, sono quelli che decidono, dopo essersi accoltellati fraternamente.
I loro nomi, salvo quelli di alcuni, non sono importanti. La loro forza è l’anonimato. Compaiono raramente sulle prime pagine dei giornali, sono, a loro modo, figure di secondo piano. Ma alle riunioni del Bilderberg, dove non si fanno fotografie, siedono nelle primissime file e, a conferma della loro importanza, anche i loro conti bancari sono superlativi e le loro proprietà sono introvabili sebbene siano sterminate.
Conta dunque sapere piuttosto “chi rappresentavano”. Conta sapere “cosa” rappresentavano.
Erano, sono i “i rappresentanti del capitale finanziario dell’Occidente”, i gestori del denaro. La crema del denaro. E, a quell’incontro, partecipavano simultaneamente i banchieri globali e i controllori globali dei banchieri globali. Tutti insieme. Poiché, sia chiaro, i controllori globali non possono controllare un bel niente se non c’è il consenso dei controllati. Che quindi non si vede bene come possano essere controllati, visto che possono - se occorre - mandare a spasso anche i controllori, nominandone altri disponibili a controllare meno e a condividere di più.
Questa è la regola del loro club. Che non ha nulla a che vedere né con le regole giuridiche che valgono per i comuni mortali, né con quelle del mercato internazionale. Ecco perché a Basilea non c’erano i maggiordomi della politica internazionale, quelli che poi si sarebbero incontrati al G-20. Quelli non contano quasi niente, quelli servono il caffè.
La materia del “contendere” si può riassumere così : quanto denaro le banche devono conservare nei propri forzieri elettronici, dopo averlo creato (o dopo averlo ricevuto in regalo dalle banche centrali), emettendo azioni e obbligazioni e dopo avere incassato i profitti?
Detto in termini più volgari: qual’è il livello di “scoperto” che può essere consentito alle banche? Già, perché se le cose non vanno bene, potrebbe darsi che tu debba restituire il capitale a chi ha comprato le tue azioni. Glielo hai promesso, anzi gli hai promesso anche dei dividendi. E, fino ad ora ha funzionato benissimo (per le banche). Solo che ormai siamo in tempi grami, in cui non funziona più. Perché per continuare a far crescere la montagna del debito dovresti avere in cassa gli spiccioli necessari.
E se il tuo scoperto è troppo grande, questi “spiccioli” non li troverai Ora la prima regola, quella che si è affermata negli anni delle vacche grasse, senza che nessuno dei regolatori muovesse un dito, si esprime così: “se sei molto grande non fallirai”. A prescindere dal debito che hai accumulato prestando soldi che non avevi o soldi virtuali che non esistevano.
Ora si dà il caso che, tra i controllori, ci siano ex banchieri - prestati all’occorrenza per quelle funzioni ma sempre pronti a ritornare all’ovile - che si rendono conto dei rischi che il sistema corre in questi frangenti. Pensare che siano disposti a sacrificarsi sull’altare, non dico dell’equità ma anche soltanto della ragione, è manifestazione di grande ingenuità. Nessuno lo fa e nessuno lo fece neanche in quella riunione.
Ma ci fu chi, per esempio Philipp Hildebrand, presidente della Banca Centrale Svizzera, invitò gli astanti a non tirare troppo la corda. Pare che, in un suo intervento, abbia accusato i banchieri di avere sottovalutato gravemente i rischi cui sottoponevano i capitali altrui. E si capisce bene perché fosse un tantino irritato. La banca nazionale Svizzera dovette intervenire, nel 2008, per salvare l’UBS sganciando 60 miliardi di dollari USA, proprio a causa della spensieratezza con cui i dirigenti della UBS avevano giocato alla roulette. Ma anche questo piccolo richiamo alla saggezza fece scrivere a un giornale svizzero che difficilmente il signor Hildebrand avrebbe trovato di nuovo un posto nel Gotha della finanza mondiale una volta lasciato il prestigioso posto di regolatore centrale della mecca dei capitali.
Contro di lui s’innalzarono le voci iraconde dei banchieri, in primo luogo di quelli americani, coalizzati dentro l’Institute of International Finance, con base a Washington. Tutte le più importanti banche d’investimento americane ne fanno parte, dunque la sua voce deve essere risuonata forte in quelle austere stanze settecentesche.
Perché dovremmo immobilizzare capitali per fronteggiare eventuali perdite del tutto improbabili? Già “Basilea 1” e “Basilea 2” con le loro assurde limitazioni all’attività bancaria ci hanno rotto le uova nel paniere. Figuriamoci, roba di ridere pretendere di imporci quel rapporto dell’8% tra patrimonio di Vigilanza (PV) e rischio di credito (RC). E poi, siamo franchi, chi va a vedere cos’è questo patrimonio di vigilanza? In America lo abbiamo usato per lucidarci le scarpe!
A queste dichiarazioni minacciose avrebbero fatto eco i banchieri europei, inveendo contro i regolatori: con le vostre ridicole regole voi non fate altro che avvantaggiare le banche americane, che se ne fregano, contro le banche europee, che sono in qualche modo costrette a farci i conti. Insomma se noi possiamo prestare meno avremo meno profitti, mentre gli americani vengono qui in Europa e si comprano i debiti sovrani come fossero noccioline, senza praticamente immobilizzare capitali, visto che sono garantiti. Cioè a rischio zero.
Garantiti da chi?, avrebbe replicato qualcuno dei regolatori. Non vi rendete conto, cari signori, che qui sta per saltare anche il banco europeo?
Ma come perdite “improbabili”, avrebbe risposto un altro regolatore: siete appena falliti tutti insieme e siete appena stati salvati dalla Federal Reserve! La lezione della Lehman Brothers non vi è bastata? Francamente non giurerei su questa battuta. Chi l’avesse fatta avrebbe perduto il posto nei successivi 10 minuti. Facciamo finta che sia esistito, tra quei cinquanta, qualcuno con la testa sul collo. ma avrebbe potuto soltanto pensarla, quella frase, non dirla. Cose del genere non si possono dire in quel contesto. Eppure il clima era questo, aggravato dalle alte temperature, assicurate dal riscaldamento climatico, dell’estate svizzera.
Tuttavia presiedeva Jean Claude Trichet, ancora per poco banchiere centrale europeo. E riferiscono che intervenne, a un certo punto, per ricordare educatamente che si era dentro una delle peggiori crisi della storia della finanza mondiale tutta intera. Nero in volto, palesemente inquieto , si dice che abbia esclamato: “Stiamo attenti che la democrazia occidentale potrebbe non sopravvivere a una nuova, catastrofica picchiata verso il basso”. E, invece di autorizzare il coffee break, la pausa per rifocillarsi, avrebbe mandato via i camerieri, quelli veri, intimando a tutti di stare ai loro posti: “fino a che troviamo un accordo”. Ecco, così si manifesta un vero senso di responsabilità! Pochi giorni dopo si sarebbe svolto il G-20, Come si poteva lasciare l’augusto consesso senza un parere , ovviamente vincolante?
Alle cinque della sera, senza citare Garcia Lorca, dato che si trattava di una coincidenza fortuita, l’accordo venne raggiunto. Il rapporto tra patrimoni e indebitamento netto, la cosiddetta leverage ratio, venne fissato al 3%. E, per non correre rischi, lo rinviarono al 2018. Mica subito, conservandosi altri sei anni di Bengodi senza regole.
Naturalmente anche questa cifra è un bluff, perché questa leverage ratio se lo calcolano come gli pare e quando gli pare. Basta truccare i numeri dei livelli di rischio, basta trattare la gran parte delle transazioni over the counter, cioè sopra il banco, in modo che non ne resti traccia, ed ecco che il 3% diventa una favola. Si ricorda il record di leverage della Long Term Capital Management, che quasi quasi portò al tracollo della finanza americana nel 2001, e che era di 1/250. Fu salvata da Alan Greenspan che, dopo, confessò candidamente che “non ci aveva capito niente”, né della LTCM, né della finanza in generale, pur essendo stato alla testa della Federal Reserve sotto tre presidenti americani.
Ma anche il 3% ufficiale che sarà la cifra chiave di “Basilea 3” significa pur sempre qualche cosa. Dice che una banca potrà prendere in prestito, e a sua volta prestare, 32$ per ogni dollaro che immobilizza nella sua riserva. Chi pensa che, con questi accordi, il mondo sarà stato messo in salvo, si sbaglia. Del resto perché stupirsene visto che è un accordo tra banditi?
 

Considerazioni su un libro di Michele Salvati

Tra i pacchetti sotto l’albero ho trovato – dono di due cari amici – un librettino che ho voluto leggere subito: “Tre pezzi facili sull’Italia”, di Michele Salvati. Si tratta della raccolta (pubblicata da il Mulino) di tre brevi, anzi brevissimi, saggi che trattano aspetti della storia italiana contemporanea.
Il secondo dei tre saggi, dedicato alla crisi economica, viene presentato dall’autore, nella prefazione, in termini accattivanti, e nasce la legittima aspettativa di un contenuto particolarmente importante.
La lettura, purtroppo, tradisce le aspettative. A parte una peculiare tesi sostenuta da Salvati (di cui parleremo tra pochissimo), si tratta infatti di un testo estremamente convenzionale, che si finge “originale” ma che in realtà adotta tutti i luoghi comuni dell’odierna analisi economica ortodossa. Salvati mostra di considerare veramente importanti e significativi concetti quali il PIL o il debito pubblico, che i fatti di questi ultimissimi anni hanno dimostrato (come sostenuto dai migliori economisti del XX secolo) essere assolutamente inidonei a spiegare alcunchè delle dinamiche economiche.
Ancora una volta, dunque, ci troviamo di fronte ad un autore colto e preparato, assai competente sugli argomenti che affronta, ma vistosamente non attrezzato ad affrontare la realtà del mondo di oggi.
Ma la ragione per la quale desidero presentare ai frequentatori del blog lo scritto di Salvati riguarda proprio la “peculiare tesi” cui accennavo un attimo fa. La tesi è questa: l’attuale crisi economica è l’eredità degli errori commessi dai governi di centro-sinistra succedutisi tra il 1963 ed il 1992, mentre i governi centristi della fase precedente (cioè, appunto, fino al 1963) governarono bene e compirono scelte corrette. Scrive Salvati: “le classi dirigenti del periodo tra la ricostruzione e il “miracolo economico” del 1959-1963 colsero in buona misura le occasioni di sviluppo insite nella Golden Age”. Prosegue affermando:
- che negli anni fino al 1963 i governi italiani seppero mantenere nelle loro mani scelte economiche importanti e commenta: “le scelte furono quelle opportune e le occasioni furono colte”;
- che la politica monetaria fu corretta;
- che la scelta di partecipare alla Comunità Economica Europea fu “vincente”, e così via.
Ora – per carità – apprezzo senz’altro l’onestà intellettuale di uno studioso che è anche un politico (anzi, un vero ideologo) dell’area del centrosinistra, il quale, pensando che i governi centristi abbiano governato meglio di quelli di centrosinistra, ha il coraggio di scriverlo! Ma il punto è che l’analisi di Salvati è a dir poco surreale. La storia del secondo dopoguerra italiano è ben nota ed è connotata dal più totale servaggio dei nostri governi verso le potenze vincitrici (intendendo per tali, come ben insegna l’avv. Eric Delcroix, non tanto i vincitori militari quanto piuttosto i vincitori economici); sostenere l’esistenza di importanti aree decisionali su cui i governi nazionali potevano esercitare poteri sovrani è davvero antistorico! La verità è che tutte le decisioni politiche-economiche di quegli anni ci hanno vincolati ad un percorso storico (che continua tuttora!) che, legandoci al carro dei vincitori, ci ha sottratto ogni spazio di manovra ed ha escluso qualsiasi possibilità per l’Italia di svolgere un ruolo attivo nello scenario internazionale. Pretendere, poi, che le scelte imposteci siano state così positive per i nostri interessi nazionali, significa sostenere il contrario del vero come è oggi sotto gli occhi di tutti.
Ma mi sembra che Salvati tocchi il fondo quando pretende che l’adesione alla CE (ora UE) sia stata vincente! Quell’adesione è stata l’antefatto dei disastri che oggi si chiamano BCE, Euro, soppressione dei diritti individuali e collettivi, e chi più ne ha più ne metta. Né si venga a dire che l’integrazione europea era, nelle sue fasi iniziali, qualcosa di bello e pulito, e che poi è degenerata, poiché è stato ampiamente spiegato (persino da me…) che i vari De Gasperi, Adenauer, Schumann, sapevano molto bene quel che facevano, ed il loro obiettivo era proprio la realizzazione dell’odierna UE!
Un’analisi, dunque, da rigettare totalmente.
L’anno prossimo chiederò ai miei amici di cambiare genere di regalo… magari una bottiglia di grappa…