lunedì 30 aprile 2012

La distanza tra il popolo e la politica.

L'intervento del Presidente della Repubblica, in occasione delle celebrazioni per il 25 Aprile, ha suscitato più di un commento.
Propongo le riflessioni di un osservatore che non è nè un politico di mestiere, nè un giornalista professionista, ma che mi sembrano molto più centrate di quelle di tanti paludati (e anacronistici) maitre à penser.
Di Gabriele Gruppo, dal sito wordpress.thule-italia.net:


” … consegnare le chiavi del Paese al demagogo di turno”.
Questo sarebbe, secondo il Presidente della Repubblica Napolitano, il rischio che sta correndo l’Italia, nella persistente difficile congiuntura che la vede protagonista, in negativo, delle vicende d’Europa.
La mummia del Quirinale comprende che la situazione è grave, e sceglie l’ormai appannata festa del 25 Aprile per esternare il proprio pensiero a riguardo.
Napolitano parla ai partiti politici italiani sempre più spesso, travalicando, sempre più spesso, il ruolo che la carta costituzionale ha assegnato alla più alta carica dello Stato. Il Presidente anche questa volta parla ai partiti per i partiti, elevandosi a portavoce del popolo, cercando di assumere il ruolo di suo interprete e garante.
I timori presidenziali sono tutti rivolti a quel fenomeno montante di anti-politica, che sta attraversando l’Italia, complice anche la serie di scandali recenti, che hanno trasversalmente coinvolto le principali forze politiche nazionali, e la generale sfiducia che il popolo orami nutre nei riguardi di una classe dirigente palesemente non all’altezza della crisi strutturale che sta colpendo l’Occidente.
Ancora una volta la classe politica italiana sembra autoescludersi dalla ribalta internazionale, lasciando il compito di rappresentarla a dei “tecnici”, che da sempre si dimostrano decisamente più pragmatici dei dirigenti di partito, ma che rappresentano istanze che non hanno quasi mai coinciso con il bene comune, ma piuttosto con interessi oligarchici. E’ un fenomeno ciclico che contraddistingue da decenni la nostra nazione. Nel momento di prendere decisioni drastiche, o di incarnare gli interessi nazionali, la politica italiana decide di non decidere; delegando a chi non deve rispondere al popolo delle proprie iniziative.
Eppure Napolitano sembra non curarsi di ciò. Nei suoi intendimenti i partiti dovrebbero fare in poco tempo quello che non sono stati in grado di fare, o non hanno voluto fare, a cavallo di ben due secoli.
La salma presidenziale pensa che la nausea degli italiani nei confronti del marciume politico imperante sia un vezzo estetico, un capriccio momentaneo (leggasi il riferimento a quel che lasciò l’attività de L’Uomo Qualunque di Giannini). Non comprendendo quanto siano cambiati i tempi, e dimostrando (ancora una volta) il suo essere un vecchio signore lontano dalla realtà, e anche un po’ rincoglionito.
Forse Napolitano dovrebbe ponderare meglio le sue preoccupazioni, andando magari a scoprire la radice che sostiene e nutre l’incapacità della classe politica nazionale di far breccia presso il popolo, e di esserne l’anima rappresentativa.
Invece di preoccuparsi dei “demagoghi”, il Presidente dovrebbe affrontare il fallimento del sistema da cui lui stesso proviene, e che l’ha portato sulla seggiola più in vista dello Stato italiano.
Napolitano parla a vuoto di leggi elettorali, di riforme, puntella il Governo Monti con paternalismo stucchevole, mentre gli stessi partiti, che lui ritiene “indispensabili”, stanno già mestando nel torbido dei palazzi, per far saltare l’algido “Professore”, e dirigersi verso una nuova tornata elettorale.
Il panorama è quanto mai decadente e animato da figure squallide e scellerate.
Il disastro incombente non sembra tuttavia preoccupare né i partiti, e nemmeno la mummia assisa sul Quirinale.

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