venerdì 30 settembre 2011

E' l'Europa dei briganti.

Bell'editoriale di Ugo Gaudenzi, dal quotidiano Rinascita del 26 settembre.

E' l'Europa dei briganti. Andiamocene via.
 Lo sanno ormai tutti. Le agenzie di rating emettono pagelle, l’Ue lancia l’allarme, la Bce chiede nuovi tagli, il Fmi pure, l’Ocse anche, poi la materia diventa argomento di “vertici”: dai G8 ai G20 e così via. Si fanno manovre. Ma sono ritenute insufficenti e il girone infernale ricomincia da capo.
Adesso, dopo l’ultimo summit washingtoniano lo “stato dell’opera” è il seguente. La sensazione comune (che meningi, che immaginazione!) è che la Grecia non riuscirà a far fronte al “debito pubblico”, giunto, si badi bene a 350 miliardi di euro, esattamente dieci volte tanto in un decennio, grazie agli interventi “salvacrisi” (prestiti a usura) inventati dalla Goldman & Sachs, quella diretta da Draghi, e partecipati a fin di lucro dalle banche d’affari mondiali.
E che Atene ormai sia intenzionata a dichiarare l’insolvenza e a negoziare il 50 per cento del debito con i soliti usurai.
Per quanto riguarda Spagna e Italia, l’altra sensazione comune (che meningi, che immaginazione!) è che siano ormai in piena “cottura” e che l’Ue non abbia i mezzi a disposizione per salvarle. A meno di un acquisto massiccio di obbligazioni pubbliche da parte della Banca centrale europea. Senza però alcuna speranza che questo fermi la “recessione”. Non soltanto dei due Paesi, ma di tutta l’area euro.
Una recessione appunto, già innescata da manovre fiscali e da tagli dei redditi e dell’assistenza sociale, che, in caso di ulteriori stangate imposte dai Signori del denaro, non potrebbe che aggravarsi.
Tra le neo-Cassandre, il ministro Usa Geithner, il cancelliere britannico Osborne e Monsieur Trichet (nella foto), della Banca centrale europea.
Sancite queste ponderose analisi, i Signori del G20 hanno rinviato l’esame della situazione... al prossimo vertice di novembre.
Ma noi, i popoli interessati, possiamo decidere qualcosa in merito al nostro futuro?
Certo.
Niente prestiti a strozzo, no all’euro, no al debito pubblico fonte di lucro altrui.
Andiamocene via dall’Europa dei briganti, sganciamoci dal dominio atlantico, dalla globalizzazione.

mercoledì 28 settembre 2011

Quel fascista scomodo

Tanti anni fa, quando la politica non aveva ancora divorziato dalla cultura e dall'intelligenza, esistevano personaggi dei quali si è ormai quasi perso il ricordo.
Un articolo di Marcello Veneziani, apparso su Il Giornale del 24 settembre, ci offre l'opportunità di riscoprirne uno: Enzo Erra.

Quel fascista scomodo che nel dopoguerra sognò un’altra destra
Enzo Erra non sognava affatto una destra antimoderna, come ha scritto ieri il Corriere della Sera. Enzo Erra sognava piuttosto un’altra modernità, più spirituale ed eroica. Non era antimoderno, più semplicemente era fascista, a babbo morto. Appartenne a quella generazione che per ragioni anagrafiche del fascismo non visse la storia ma solo il crollo, si arruolò pochi giorni prima della fine, non ebbe vantaggi né carriera ma solo danni, non si macchiò di colpe o delitti ma scontò con dignità il suo fascismo postumo per una vita. Parlo di lui e di Giano Accame, di Piero Buscaroli, di Fausto Gianfranceschi e Fausto Belfiori e altri.
Allievo di Massimo Scaligero, più vicino al pensiero di Rudolph Steiner che di Julius Evola, Erra fu tra i primi giovani missini che dopo la guerra cercò e coinvolse Evola, ormai paralizzato, nelle sue riviste giovanili, dove scrivevano tra gli altri anche Rauti e Sterpa. La sfida, Imperium… Eppure Erra del Msi preferiva l’ala meno nostalgica e più «entrista» del Msi, polemizzando con gli almirantiani. Erra si riavvicinò al Msi e alla politica dopo una lontananza trentennale, alla morte di Almirante, e poi si riallontanò con la nascita di Alleanza nazionale. Ma Erra non fu solo animale politico e cultore a latere di scienze dello spirito, fu anche un fior di notista politico e di saggista storico: ricordo tra le altre, «Le sei risposte» a Renzo De Felice, «Le quattro giornate di Napoli» e «Le radici del fascismo», che resta tra i migliori tentativi di interpretare il fascismo da posizioni neofasciste.
Da ragazzo andavo a trovare lui e de Turris in sala stampa romana a piazza san Silvestro, dove era notista politico del Roma di Lauro, e lui lasciava agenzie e pastoni per infervorarsi a conversare di storia politica e cultura. Ti guardava con quegli occhi chiari dietro quel filo spinato di sopracciglia e alternava toni solenni e perentori a scanzonate risate napoletane.
Ricordo che lo conobbi nel castello romagnolo di Giovanni Volpe, lui che raccontava quando fu convocato dai giudici perché quelli del golpe Borghese nel loro delirante organigramma, lo avevano assegnato, a sua insaputa, alla direzione del Messaggero. E lui pensava divertito al comitato di redazione che aveva respinto fiori di direttori moderati, costretto a sorbirsi il «camerata» Erra manu militari… La sua battaglia revisionista proseguì sulla rivista Storia Verità di Enzo Cipriano, ma scrisse su varie riviste e poi sulle pagine culturali del Giornale. Penso allo strano destino di quel piccolo mondo della destra giornalistica: penso al Pisanò che scriveva le cose che poi ha scritto con successo Pansa, penso a Gianna Preda che fu la Fallaci al tempo in cui l’Oriana era di sinistra, penso ad Angelo Manna che diceva le cose che poi ha scritto Pino Aprile sui terroni. E penso a Cattabiani, Marcolla e Quarantotto che scoprirono autori e filoni che poi ha scoperto Calasso con l’Adelphi. Ed Enzo Erra, che meriterebbe la fama di un Giorgio Bocca; ma lui era colto, spiritoso e dalla parte sbagliata…

venerdì 23 settembre 2011

Le agenzie di rating sono forti perchè i governi sono deboli.

Incomincio a non poterne più di dover continuare a leggere e a parlare di economia. Ma articoli come quello, brevissimo, che segue sono necessari perchè contribuiscono a fare luce su temi ben lontani dall'economia, quale ad es. il tema della sovranità nella nostra epoca post-moderna. Chi decide oggi? In capo a chi è la sovranità? Sicuramente, mai Carl Schmitt avrebbe immaginato che si sarebbe risposto a questa domanda, a lui cara, citando le agenzie di rating...
Dal sito No Reporter, post del 23 settembre.

Victor de Fontainebleau, Francia: “Buongiorno, mi chiamo Victor de Fontainebleau e ho una domanda: Come è possibile che le agenzie di rating abbiano acquisito un tale potere sull’economia dell’Unione europea?”

André Sapir, docente di economia all’Università libera di Bruxelles: “La risposta più semplice a questa domanda è che, al manifestarsi delle deficenze dei governi della zona euro nell’affrontare la crisi, le agenzie di rating hanno assunto un ruolo sempre più importante. La cosa può sembrare paradossale, dal momento che alll’inizio della crisi sono state criticate proprio le agenzie di rating, e con qualche ragione.
Il motivo è che, nel periodo precedente la crisi, le agenzie non hanno saputo dare l’allarme, e allora ci si è detti: queste agenzie devono essere incompetenti, oppure sono al soldo di qualcuno che aveva interesse a che non segnalassero il problema nel suo complesso. E adesso che siamo in piena crisi, le agenzie di rating annunciano cattive notizie con cadenza quasi settimanale.
Sono convinto che una parte delle cattive notizie distillate dalle agenzie di rating dipendano dal fatto che i governi sono in grande difficoltà nel trovare soluzioni alla crisi. Penso che le agenzie di rating reagiscano all’incapacità dei governi di agire in modo decisivo contro la crisi. E penso che fino a quando saremo in questa situazione – e spero che davvero che non durerà ancora a lungo perché stiamo arrivando al limite delle nostre possibilità – ma fin tanto che continuerà questa incapacità da parte dei governi, il ruolo delle agenzie di rating rimarrà molto importante”. 

mercoledì 21 settembre 2011

"Ho sempre sognato che bombardassero NY"

11 settembre: si può cantare fuori dal coro?
Dieci giorni dopo la grande commemorazione, proviamo a leggere l'intervento di un intellettuale, Massimo Fini, che lo fa spesso. Non si tratta di approvare o disapprovare, si tratta di conoscere una voce controcorrente. 
L'articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano dell'11 settembre.

Sulla retorica del “siamo tutti americani” che avvolse (e ancora avvolge), l’intero Occidente dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 il filosofo francese Jean Baudrillard scrisse, con crudezza, con lucidità e con coraggio (e ce ne voleva moltissimo in quel momento) “che l’abbiamo sognato quell’evento, che tutti senza eccezioni l’abbiamo sognato – perché nessuno può non sognare la distruzione di una potenza, una qualsiasi, che sia diventata tanto egemone – è cosa inaccettabile per la coscienza morale dell’Occidente, eppure è stato fatto, un fatto che si misura appunto attraverso la violenza patetica di tutti i discorsi che vorrebbero cancellarlo” (J. Baudrillard, Lo spirito del terrorismo, 2002).
Per tutta la vita ho sognato che bombardassero New York e non posso essere così disonesto con me stesso e con i lettori da negarlo ora che il fatto è avvenuto. Eppure ho provato anch’io un istintivo orrore per quella carneficina, per quello sventolar di fazzoletti bianchi, per quegli uomini e quelle donne che si buttavano dal centesimo piano. E allora?
L’America è una Potenza che da più di mezzo secolo colpisce, con tranquillità e spietata coscienza, nei territori altrui, che negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale ha bombardato a tappeto Lipsia, Dresda, Berlino premeditando di uccidere milioni di civili perché, come dissero esplicitamente i comandi politici e militari statunitensi dell’epoca, bisognava “fiaccare la resistenza del popolo tedesco”, che ha sganciato una terrificante, e probabilmente inutile, bomba su Hiroshima e Nagasaki e che nel dopoguerra ha fatto centinaia di migliaia di vittime innocenti in ogni angolo del pianeta (lo scrittore, americano, Gore Vidal ha contato 250 attacchi militari che gli Stati Uniti hanno sferrato senza essere provocati). L’11 settembre invece gli americani, per la prima volta nella loro storia, venivano colpiti sul proprio territorio.
Pensavo che questa tragedia avrebbe insegnato loro qualcosa: l’orrore di vedere le proprie case cadere come castelli di carta, seppellendo uomini, donne, vecchi, bambini, famiglie, affetti. Che gli avrebbe insegnato l’orrore dell’amore ora che lo avevano vissuto sulla propria pelle. Che gli avrebbe insegnato che anche le vite degli altri hanno un valore, poiché tengono tanto alle proprie. Invece hanno continuato imperterriti. Come prima, peggio di prima. Loro hanno sempre la coscienza tranquilla, le tragedie degli altri non li riguardano, al massimo sono “effetti collaterali”.
Hanno cominciato con l’Afghanistan. Poteva esserci una ragione perché da quelle parti stava Bin Laden, anche se nessuna inchiesta seria è mai stata fatta per dimostrare che dietro gli attentati alle Twin Towers o quelli del 1998 in Kenya e Tanzania ci fosse effettivamente il Califfo saudita (sarà il motivo per cui il Mullah Omar ne rifiuterà l’estradizione non accettando l’arrogante risposta Usa: “Le prove le abbiamo date ai nostri alleati”). Ma dopo dieci anni di occupazione rimangono sul terreno 60 mila vittime civili la maggior parte delle quali provocate dai bombardamenti a casaccio sui villaggi e persino sui matrimoni.
A stretto giro di posta è venuta l’aggressione all’Iraq: 650 mila vittime civili. Giuliano Ferrara sul Foglio (6/9), proprio mentre dichiarava di detestare l’iperbole, ha definito l’11 settembre “l’attentato più grande e infame della storia”. È solo una delle tante tragedie della storia recente, forse quella che ci ha colpito di più, ma non certo la più infame. E io mi rifiuto di piangere ogni anno, ritualmente e a comando, lacrime di coccodrillo per tremila vittime. Rituali che tentano di far entrare nel buio sgabuzzino del dimenticatoio tutte le altre. Che sono milioni.
 

sabato 17 settembre 2011

"L'Italia faccia come l'Islanda"

Di questi tempi, è inevitabile continare a parlare di economia.
Lo facciamo postando, dal sito della rivista Eurasia, un'intervista alla professoressa Loretta Napoleoni, personaggio che sta attraversando un periodo di grande popolarità e visibilità.
Le tesi della professoressa Napoleoni sono da prendere con le pinze, anche perchè non mette minimamnete in discussione "verità ufficiali" (quali l'esistenza del debito pubblico, la necessità di ripianarlo, l'utilizzo a tal fine della leva fiscale sotto forma di "patrimoniale", ecc.) sulle quali è lecito nutrire più di un dubbio. Insomma, un'economista molto ortodossa anche se si atteggia ad "alternativa"... Però, nonostante questo, da sottoscrivere in pieno la sua proposta di uscire dall'Euro.

“Sa che potrebbe essere il giorno in cui la Grecia andrà in bancarotta?”. Curioso che il libro di Loretta Napoleoni, economista e consulente di terrorismo internazionale, compaia proprio oggi in libreria. Un testo, Il contagio (edito da Rizzoli), che fotografa l’attuale situazione internazionale nella quale anche l’Italia di qui a poco potrebbe trovarsi – drammaticamente – ad essere protagonista. L’esigenza (leggasi l’urgenza) è quella di uscire dalla fase del “non ritorno”. Come? La soluzione c’è, dice Napoleoni: l’Italia, d’accordo con l’Europa, scelga il “default pilotato”. Il resto è puro accanimento terapeutico che rischia semplicemente di procrastinare una situazione rischiosa non solo per il nostro Paese ma per l’intera zona euro.
Professoressa, significa che l’Italia come altri Paesi cosiddetti “Piigs” dovrebbe fallire?
“Il problema dell’euro è che, a livello europeo, non esiste né un protocollo né una regola per l’uscita temporanea o permanente di uno Stato dalla moneta unica. Il che significa che la Grecia, ma anche gli altri paesi Piigs come l’Italia sono in balia dei sentimenti del mercato, per quanto riguarda il mantenimento del proprio debito. Significa che se i mercati, come sta succedendo con la Grecia, improvvisamente decidono che questi Stati non sono in grado di ripagare il debito, non c’è una regola su come uscire. Cioè, l’euro non può andare in bancarotta se la Grecia va in bancarotta. Ecco perché parlo di un default volontario pilotato e della creazione di una serie di regole che permettano ad alcuni paesi di uscire temporaneamente dall’euro per riprendersi economicamente, anche in termini di convergenza, tornando entro quei parametri necessari per starci dentro. Seguire insomma l’esempio dell’Islanda che ha fatto un default pilotato e volontariamente è uscita dal mercato dei capitali, ha cioè dichiarato il default e si è messa al lavoro per ripianare i debiti”.
Un caso che sembra rimanere isolato.
“Sì, infatti. Si pensi all’Argentina che è andata in default da un giorno all’altro perché i mercati hanno girato le spalle. L’Islanda però ha una situazione migliore dell’Italia perché non ha l’euro come moneta. E il problema è proprio questo. Nel senso: come usciamo dall’euro? Come possiamo staccarci senza creare un terremoto all’interno di tutta l’Europa? Barroso ha detto: mantenere l’euro è una lotta di sopravvivenza per tutti i Paesi. E ha ragione. Infatti nelle ultime tre settimane in Germania e anche in Olanda dentro le banche si lavora per produrre una proposta, una legislazione che permetta di uscire dalla moneta unica”.
Cosa succederebbe all’Italia se optasse per il default volontario?
“Se facesse quello che ha fatto l’Islanda, un’uscita pilotata dall’euro, succederebbe che l’Italia dovrebbe garantire la metà del debito nazionale che è nelle mani degli italiani e delle banche italiane, cioè 2.850 miliardi di euro. Questo si può fare con una patrimoniale secca che colpisca con un 5 per cento su quell’1 per cento della popolazione, cioè quelle 70 famiglie che detengono da sole il 45 per cento della ricchezza nazionale. Basterebbe questo per garantire il debito interno. Dopodiché per quanto riguarda il debito esterno, quello che è in mano alle banche straniere, su quello bisognerà fare una ristrutturazione. Si rinegozia come è successo per esempio a Dubai. Io ti pago 45 centesimi per ogni euro e si stabilisce un programma di pagamento nei prossimi 5 o 6 anni e mano a mano si paga. Dopodiché l’uscita dall’euro permetterebbe di tornare alla lira che si svaluterebbe immediatamente dando una spinta alle esportazioni e più competitività”.
Perché allora tutto ciò non avviene?
“Perché è una decisione che deve essere presa di concerto con il resto dei paesi europei. Ma è difficile che avvenga perché se l’Italia decide di fare il default pilotato c’è il problema delle banche francesi che hanno una grandissima esposizione nei nostri confronti. L’uscita dell’Italia dall’euro senza un supporto da parte delle altre nazioni, per quanto riguarda le loro economie e le loro banche, potrebbe causare il crollo degli istituti di credito. Quindi la situazione è complessa, però non così complessa da non poter essere risolta. Serve un accordo a livello europeo, ma neanche se ne parla”.
Una questione lessicale: il “debito pubblico” adesso si chiama “debito sovrano”. E’ curioso che questo avvenga proprio quando gli Stati sono più in balia della speculazione dei mercati.
“Il fatto che gli Stati siano in balia dei mercati è una percezione sbagliata e di propaganda. I mercati hanno fatto il loro mestiere. Anzi in un certo senso i mercati sono stati spinti dagli Stati ad acquistare, almeno negli ultimi 12 mesi, i titoli del debito sovrano che non valgono nulla. E non parlo solo dei titoli italiani, ma anche degli altri, vedi i titoli francesi: rendimenti pari a zero. Quindi c’è una sorta di accordo degli Stati con le banche, secondo cui tu compri i miei titoli anche se guadagni zero ed io prometto che ti proteggerò dal crollo dell’euro. Cioè esiste una condizione di mutua convenienza però relativa a una tragedia. Quindi io non direi che la colpa è dei mercati e degli speculatori.
E allora di chi è?
“Dei politici che hanno permesso la creazione di un sistema di questo tipo e loro stessi hanno abusato di questa situazione. Quindi oggi il cittadino dovrebbe essere indignato, come accade in Spagna, non con i banchieri ma con i politici”.
Nel suo libro scrive che “il malessere del modello occidentale è ormai una pandemia”. Dagli Indignados in avanti il “contagio” è inevitabile?
“Sì. Per esempio si prenda una situazione tipo quella dell’Italia, che vende parti del Paese ai cinesi. E i cinesi mica vengono gratis. Il premier quindi vende invece di tassare quelle 70 famiglie che dovrebbero farsi carico della soluzione del problema: ecco questo dovrebbe far indignare la popolazione. Perché si parla della mia vita, della mia democrazia. Poi non è solo Berlusconi, chiariamolo questo. Tutti i Paesi europei vengono gestiti in questo modo. Tutti i politici europei oramai governano come se la democrazia fosse una loro impresa. Si dimenticano la voce del popolo. Noi siamo molto vicini ai fratelli africani, come scrivo nel libro. Loro si sono  ribellati a un malgoverno dittatoriale. Le nostre non sono forme di governo dittatoriali, però sono delle oligarchie quindi tutti ci indigneremo a poco a poco. E’ inevitabile”.
Eppure noi motivi per indignarci ne avremmo già abbastanza. Perché allora fino ad oggi Spagna, Israele, Gran Bretagna sì e Italia no?
“In Italia non c’è ancora la consapevolezza. Lo spagnolo negli ultimi dodici mesi ha progressivamente preso sempre più consapevolezza della situazione economica. E questo perché c’è stata una degenerazione della situazione economica: in Spagna siamo al 43 per cento della disoccupazione giovanile e inoltre gli spagnoli hanno un senso civico più attento del nostro. La vicinanza storica con il franchismo è importante: loro apprezzano di più la democrazia e ci credono di più, sono meno cinici. E capiscono anche che per mantenerla in piedi bisogna difenderla attraverso la voce della strada che è l’unica che il popolo ha. Ma oggi la crisi economica è arrivata anche in Italia e le misure di austerità che ha preso Zapatero le prenderà anche il nostro governo. Insomma, c’è un ritardo temporale relativo proprio alla consapevolezza”.

Via dall'Euro dei bluff.

Mentre invito tutti alla lettura del nuovo magistrale intervento di Ida Magli del 12 settembre (sul sito www.italianiliberi.it), segnalo, dallo stesso sito, un  simpatico articolo di Roberto Benedetti, Vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana:   http://www.italianiliberi.it/Edito11/riflessioni-dalla-spiaggia.pdf
Buona lettura.

domenica 11 settembre 2011

Ormai in Italia si prega Allah in chiesa.

Mai avrei immaginato di postare un articolo di Magdi Allam, personaggio verso il quale nutro infinite diffidenze. Ma questo suo scritto è veramente condivisibile. Aggiungo solo un brevissimo commento alla fine.

Ormai in Italia si prega Allah in chiesa per iniziativa e volontà del
sacerdote che dovrebbe aver votato la propria vita per testimoniare la verità unica ed
esclusiva in Gesù Cristo. E’ successo a Cantù, in provincia di Como, martedì
scorso 30 agosto, in occasione della Festa dell’Eid al-Fitr, la seconda
festa più importante della religione islamica che conclude il mese di digiuno del
Ramadan.
Nella Basilica di San Paolo il prevosto emerito di Cantù, don Lino Cerutti,
ha fatto trovare su un tavolino all’inizio della navata centrale e ha fatto
distribuire dei volantini contenenti preghiere islamiche per celebrare la
fine del Ramadan scritte dal filosofo Sejjed Hossein Nasr, dal mistico Rabi’a e
dal poeta Hafez, in cui si tessono le lodi di Allah e si esalta l’islam come la
religione eccelsa.
E’ vero che nello stesso giorno il capo dello Stato Napolitano ha ritenuto
di inviare gli auguri ai musulmani, arrivando a sostenere che il dialogo con l’
islam sarebbe “indispensabile presupposto affinché la società italiana
sappia interpretare le sfide del mondo contemporaneo e divenire sempre più libera,
aperta e giusta”. Che Il vice-sindaco di Milano Maria Grazia Guida si è
recata ad omaggiare gli islamici in preghiera con il velo in testa e che anche il
sindaco di Roma Gianni Alemanno ha visitato la Grande Moschea di Roma.
Ma un conto è prostrarsi agli islamici in moschea, un altro conto è
trasformare la chiesa in moschea. In linea di principio si è cristiani
perché si crede nella verità di Gesù Cristo, del Dio che si è fatto uomo, nato,
morto e risorto per redimere l’umanità, il suggello della profezia e il compimento
della rivelazione. Significa che se si crede in Gesù non si può in alcun
modo credere né che Maometto è un profeta autentico né che l’islam è una
religione veritiera. O si crede in Gesù o si crede in Maometto; o si è cristiani o si
è musulmani. Ma non si può assolutamente sostenere di credere in Gesù e al
tempo stesso legittimare Maometto come profeta; così come non ci si può professare
cristiani e al tempo stesso legittimare l’islam come religione. Chi lo fa
non è cristiano. Non si tratta di essere più o meno sincretisti. Semplicemente non
si è più cristiani. E se a legittimare Maometto e l’islam è un sacerdote,
ebbene commette un’eresia ed è passibile di apostasia.
Perché non si può relativizzare la verità storica e sacra di Gesù: o ci
credi o non ci credi. L’errore capitale in cui è incorso don Lino Cerutti è di
aver aderito all’ideologia del relativismo religioso che è la conseguenza della
trasposizione acritica della dimensione delle persone con la dimensione
della religione. L’immaginare cioè che per amare il prossimo, laddove l’amore per
il prossimo è il fondamento della fede cristiana, il comandamento nuovo
portatoci da Gesù, si debba sposare la religione del prossimo. Quindi per amare i
musulmani come persone si debba legittimare l’islam come religione, a
prescindere dai suoi contenuti, da ciò che è scritto nel Corano e da ciò che
ha detto e fatto Maometto.
Tutto ciò avviene in un contesto dove il relativismo religioso, a partire
dal Concilio Vaticano II, sta dilagando all’interno della Chiesa; mentre dall’altra
parte, intendo dalla parte dei musulmani e dell’ortodossia islamica, non
solo non hanno nulla a che fare con il relativismo ma, all’opposto, condannano
noi ebrei e cristiani come eretici perché avremmo deviato dalla retta via,
fortunatamente ritrovata con la rivelazione divina affidata a Maometto
elevando così l’islam ad autentico suggello della profezia. Siamo pertanto
doppiamente ingenui ed illusi: immaginiamo che relativizzando il cristianesimo per
legittimare l’islam loro si renderanno più disponibili nei nostri confronti,
mentre all’opposto finiamo per essere percepiti come una landa deserta che
merita di essere occupata dai musulmani.
Come? Con la proliferazione delle moschee. Ed anche qui la nostra ingenuità
e vocazione al suicidio ci porta ad offrirgliene noi prima ancora che le
chiedano loro. Noi vorremmo veder sorgere delle grandi moschee con cupola e minareto
a Milano, Bologna, Firenze, Napoli e ovunque in Italia. Loro, più
furbescamente, ci dicono che preferiscono delle piccole moschee diffuse sul territorio, per
potersi spartire il bottino considerando che tra loro non vanno affatto d’
accordo tranne che sull’obiettivo di islamizzare l’Italia, l’Europa e il
mondo libero, democratico e civile. Ci siamo trasformati in islamici più degli
islamici stessi prima ancora di essere costretti a convertirci all’islam.
Che cosa possono volere di più gli islamici da noi italiani ingenui, stolti,
ideologicamente collusi e votati al suicidio?
Magdi Cristiano Allam

Brevissimo commento. Opportunamente Magdi Allam evidenzia le responsabilità della Chiesa post-conciliare. Peccato però che non porti fino in fondo il suo discorso e non ricordi che, tra poco più di un mese, ad Assisi, S.S. Benedetto XVI farà esattamente ciò che ha fatto il prevosto di Cantù: cioè rinnoverà l'incontro di preghiera con i rappresentanti di tutte le sette e le superstizioni (tra cui l'Islam) inventato 25 anni fa dal suo predecessore. Da dove incomincia a puzzare il pesce...?    

venerdì 9 settembre 2011

Scandalo in Germania.

Gunther Grass, faro morale ed intellettuale della sinistra tedesca, l'uomo che accompagnò Willy Brandt ad inginocchiarsi nel ghetto di Varsavia, rilascia un'intervista sulla II Guerra Mondiale allo storico Tom Segev e chiama i soldati tedeschi, anzichè "soldati di Hitler" o "soldati nazisti" come impone il lessico politically correct, "i nostri soldati"!
Inoltre denuncia lo sterminio di milioni di soldati tedeschi catturati dai russi!
E - udite udite - arriva al punto di affermare che "l'Olocausto non è l'unico crimine"!
Qualcuno sta già valutando se le sue parole integrino il reato di riduzionismo della Shoa, così da potergli fare un bel processo e zittirlo per i prossimi anni... 

Asilo per bambini senza sesso.

Dal sito http://www.ilsussidiario.net/:

Si chiama Egalia (uguaglianza), l'asilo svedese dove i bambini non possono essere né maschi né femmine. Nell'asilo è vietato a maestri e inservienti di rivolgersi ai piccoli usando il pronome lui o lei. Ovviamente divieto assoluto per grembiuli rosa o azzurri mentre i giochi sono di tutti i tipi: bambole, trenini, piccole cucine. Chi ha visitato l'asilo fa anche notare che le bambole sono tutte rigorosamente di colore, cioè nere. Ma soprattutto fa scalpore che i bambini vengano chiamati e definiti con il pronome neutro svedese "hen" (che è inesistente nel vocabolario svedese ma è stato inventato dalle femministe e dai circoli omosessuali) in modo che i piccoli crescano senza quelli che gli educatori definiscono pregiudizi sessuali: non devono cioè sapere se sono maschi o femmine, ma semplicemente bambini neutri. Nonostante la particolarità, la lista d'attesa per far entrare i propri figli a Egalia è lunghissima. L'asilo in realtà è molto piccolo, dispone di soli 33 posti. Si trova nel distretto di Sodermalm, una piccola isola molto popolata a sud di Stoccolma. Da quando è stato aperto, circa un anno fa, un solo bambino è stato ritirato. E' un progetto pedagogico ben preciso quello che viene offerto: lotta alla discriminazione sessuale. Ecco uno die punti forti del programma: «La società si aspetta che le bambine siano femminili, dolci e carine e che i bambini siano rudi, forti e impavidi. Egalia dà invece a tutti la meravigliosa opportunità di essere quel che vogliono». Ci sono anche libri dai testi appositi, come quello che racconta dell'amore tra due giraffe maschio. Vietati classici come Cenerentola e Biancaneve: troppo maschilisti.

L'incapacità di troppi europei di reagire agli imperativi del "pensiero unico" è sconcertante.

mercoledì 7 settembre 2011

Gerd Honsik.

Giunge notizia, ancora da verificare, che sarebbe stato liberato il poeta e scrittore austriaco Gerd Honsik. 69 anni, padre di tre figli, era detenuto a Vienna da 6 ottobre 2007 per reati di pensiero.
Sapevate della sua carcerazione? No, certo, come nulla sapete di quasi tutte le altre, innumerevoli, vittime delle leggi liberticide, come nulla sapete dei roghi di libri, ecc. ecc. I media italiani non parlano di queste cose...

martedì 6 settembre 2011

I diktat liberisti.

Un articolo del quotidiano Rinascita per provare ad interpretare la notizia di cronaca della "irruzione" in Piazza Affari.

L’irruzione all’interno della Borsa di Milano ha ricordato a qualcuno che in questo Paese esiste ancora chi si indigna per il contenuto di una manovra economica che segnerà la ritirata della politica a vantaggio della grande finanza internazionale. Una tattica suicida che in pochi hanno il coraggio di denunciare e contrastare. Da qualche tempo sembra che la priorità per i Governi di tutto il Vecchio Continente sia diventata la salvezza di banche e società finanziarie.
Quel che rimane dello stato sociale è considerato un retaggio figlio di ideologie di un secolo sempre più lontano. Una ingiustificata rete di servizi pubblici e sostegni alla persona che tarperebbe le ali allo sviluppo. Menzogne avvalorate da chi – colpevolmente – continua a sostenere che l’Unione europea sia la cura e non la malattia. La cosiddetta crisi è frutto del capitalismo basato sui giochi di borsa e sulle politiche incentrate sul debito.
Un sistema al collasso condannato ormai a morte certa. I listini degli investitori istituzionali pullulano di titoli tossici che valgono ormai meno di zero.
Ogni giorno gli indici delle varie borse valori salgono o scendono in base agli appetiti della grande speculazione. Nessun indice però rende chiaro a tutti che i titoli obbligazionari emessi superano di sei volte la ricchezza prodotta sulla Terra. Un dato incontrovertibile che pende come una spada di Damocle sullo sviluppo di tutti i popoli. Genti che qualcuno vorrebbe continuare a strozzare pur di garantirsi lauti guadagni; nel breve come nel lungo periodo. Una precisa strategia impedisce che il dibattito politico sia occupato da questi temi, in Italia è diventato addirittura auspicabile che le strategie economiche di uno Stato sovrano possano essere approvate sotto la dettatura dei tecnocrati della Banca centrale europea. Persino il Quirinale ha accettato di fare da cassa di risonanza a posizioni pericolose per il domani dell’Italia. Le analisi di chi accetta acriticamente il protagonismo sfrenato di Francoforte fanno il paio con l’immobilismo di un Parlamento sempre più incapace di servire l’interesse nazionale.
Eppure, il dibattito sulla manovra correttiva sembrava instradato verso un risultato che non fosse eccessivamente penalizzante per i lavoratori e per le piccole e medie imprese. Un tentativo spazzato via dalla minaccia di un’approvazione del decreto con imposizione della questione di fiducia. Tutto viene ridotto al solito teatrino fra centrodestra e centrosinistra. Attori non protagonisti di una pellicola diretta da lobbies, banchieri e cacciatori di liquidità.
La manifestazione di Piazza Affari dimostra che non tutti gli italiani sono disposti a chinare il capo di fronte ai diktat del liberismo imperante. L’alternativa per la costruzione di un Europa che torni ad essere un’unione di popoli potrebbe non essere così lontana.