domenica 31 marzo 2013

Napolitano in stato di accusa?

Non condivido il contenuto di questo articolo di Franco Ragusa.
In una situazione straordinaria, non si può pensare di trovare la soluzione nei mezzi ordinari, quali ad esempio l'applicazione di un articoletto della Costituzione o nuove elezioni che spostino qualche decimale da un partitino all'altro.
Oggi la situazione italiana è di crisi staordinaria, poichè, nel corso della guerra che coinvolge il nostro Paese e che dura ormai da alcuni anni, l'Italia ha visto la sua intera classe politica vendersi al nemico. Roba che, al confronto, il tradimento della Marina durante la II G.M. fa scoppiare dal ridere. Quindi anche i rimedi devono essere straordinari.
L'articolo merita comunque di essere letto e meditato. 
Dal sito www.riforme.net:

Cos'altro deve fare, il Presidente Napolitano, per essere messo in stato di accusa?
 
Allora, cominciamo con il chiamare con il loro vero nome le cose: “l’operatività del Governo tuttora in carica, benché dimissionario e peraltro non sfiduciato dal Parlamento”, nonché l’istituzione di “due gruppi ristretti di personalità tra loro diverse per collocazione e per competenze” a cui chiedere di “formulare - su essenziali temi di carattere istituzionale e di carattere economico-sociale ed europeo - precise proposte programmatiche”, rappresentano un grave atto eversivo di commissariamento del Parlamento di cui ieri si è macchiato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
 Riguardo ai due comitati di saggi, è sin troppo evidente il forte valore simbolico che gli si è voluto attribuire.
Il Presidente ha infatti comunicato al Paese che ritiene inutile rivolgersi al Parlamento, ma che è anzi necessario fare affidamento alla capacità di uomini (in tutti i sensi, vista la mancata presenza di una donna) che lui, poco importa cosa hanno deciso gli elettori, avrà cura di selezionare. Un atto gravissimo, di svilimento delle prerogative del Parlamento, compiuto non alla fine di una legislatura difficile, bensì al suo nascere.
 Vi è poi da fare chiarezza sull’ampiezza del senso da attribuire all’inciso, riferito al Governo Monti, che “benché dimissionario non è sfiduciato dal Parlamento”.
A quale Parlamento si riferisce, di grazia, il Presidente Napolitano?
Non di certo l’attuale, quello appena eletto, visto che non ha ancora avuto la possibilità di accordare o revocare la fiducia così come previsto dall’art. 94 della Costituzione.
Anzi, è proprio a causa dell’omissione compiuta dal Presidente Napolitano, con la mancata nomina di un Presidente del Consiglio, che oggi non vi è la possibilità, per il Parlamento, di far valere il rapporto fiduciario che lega le sorti del Governo ai voleri del Parlamento.
 Si dirà che il Presidente non aveva altre possibilità visti i difficili equilibri presenti al Senato.
Ma può bastare un unico tentativo per arrivare ad una conclusione che, vista peraltro l’impossibilità di sciogliere le Camere in pieno semestre bianco, automaticamente comporta il nulla? O meglio, che automaticamente comporta il “mantenimento dell’operatività” di un Governo al quale il nuovo Parlamento non ha mai accordato la fiducia?
 Proviamo soltanto ad immaginare cosa potrebbe succedere nel caso che anche il prossimo Presidente possa ritenere di omettere, a proprio piacimento, la ricerca di una soluzione di Governo così come la Costituzione impone. E che, per motivi di opportunità, decida pure di omettere di sciogliere le Camere.
Che si fa, ci si tiene il Governo Monti prorogato in eterno? E si continuerà con un Parlamento al quale con facilità si può impedire di esercitare una delle sue funzioni principali, cioè esprimere, attraverso il rapporto fiduciario, un Governo?
 Certo, al momento si tratta soltanto un’ipotesi di scuola. Ma se tanto ci dà tanto, laddove si accettasse senza battere ciglio l’omissione eversiva compiuta ieri dal Presidente Napolitano, ciò che oggi potrebbe sembrare un’ipotesi scarsamente realizzabile, domani potrebbe divenire una drammatica realtà.
Rimanere pertanto immobili e limitarsi a guardare, potrebbe farci ritrovare, a breve, in una crisi istituzionale ben più grave e dagli strascichi imprevedibili.
Ma è proprio per questo che la Costituzione italiana, per frenare le eccessive pulsioni presidenzialiste, ha in sé gli anticorpi necessari per impedire il dilagare di comportamenti lesivi del Parlamento.
 Il Presidente Napolitano non è la prima volta che utilizza in maniera impropria le prerogative costituzionali per imporre un “suo” Governo.
Lo ha già fatto nel novembre del 2011, con esiti peraltro disastrosi per la tenuta politico-economica del Paese. Così come anche fece durante il Governo Prodi, imponendo continui e sfiancanti passaggi parlamentari sulle questioni di politica estera, in ossequio al principio non costituzionale dell’autosufficienza della maggioranza parlamentare uscita vincitrice dalle elezioni, sino a determinarne, in buona misura, la fine prematura.
Ce n’è quindi abbastanza per decidere di attivare gli anticorpi previsti dall’art. 90 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.
Si tratterebbe, a fine mandato, di un gesto più che altro simbolico, se riferito allo specifico della persona; ma fortemente significativo per i Presidenti a venire.

sabato 30 marzo 2013

Il Bilderberg nomina il Presidente della Repubblica?

Da troppo tempo non ospitiamo nel blog gli scritti di Ida Magli.
E' bene riprendere la buona abitudine di leggerla, incominciando da questo articolo sulla prossima elezione del successore di Napolitano.
Dal sito www.italianiliberi.it:


Il Bilderberg nomina
il Presidente
della Repubblica italiana
   In un recente passato, che appare però lontanissimo, era stata promessa agli Italiani l’elezione diretta del capo dello Stato. Naturalmente non se n’è fatto nulla. In una cosa sola i nostri governi, quali che siano le loro ideologie e i loro orientamenti politici, sono tutti “montiani”: decisi e rapidissimi soltanto nell’aumentare le tasse. Per tutto il resto tempi biblici in attesa che svanisca anche il ricordo delle promesse fatte. Dunque niente elezione diretta del Presidente. Ma c’è invece chi lo sceglie per noi e senza chiedere il permesso a nessuno: quel Potere che in silenzio ha progettato e imposto l’unificazione europea, che ha progettato e imposto la moneta unica e che continua a presiedere a tutte le vicende più importanti dei singoli Stati i quali  obbediscono anch’essi nel più assoluto silenzio. Sono uomini di cui non conosciamo altro che le facce e i nomi dei loro messi, di quelli mandati a mettere in atto la loro volontà, ma che possiamo riconoscere a colpo sicuro da un solo comune connotato: l’andamento disastroso di tutte le loro imprese, il fallimento di ciò che realizzano.

  Di fronte ai nomi ventilati in questi giorni dai giornali come possibili Presidenti: Amato, Prodi, D’Alema, ci potremmo domandare quanti voti avrebbero preso se gli Italiani fossero stati chiamati a votare. Sicuramente nessuno, o quasi. Sono stati già abbondantemente bocciati in precedenza e di conseguenza i loro nomi vengono indicati da un potere estraneo alla democrazia e che li impone esclusivamente in funzione del progetto euro finanziario che deve fare da apripista al governo finanziario mondiale. Non abbiamo sentito fino ad ora reazioni di nessun genere da parte dei politici: davanti al Potere nascosto dietro all’Europa nessuno parla. Abbiamo però già assistito a suo tempo all’esaltazione come Capo dello Stato di Ciampi, entusiasta fautore dell’euro in coppia con l’astutissimo Prodi con il quale ha provveduto a svendere e a spogliare di quasi tutti i suoi beni l’Italia pur di riuscire a farla entrare nello spazio paradisiaco dell’euro. Ne deduciamo che il compenso stabilito sia sempre lo stesso: prima dimostri di essere un servo fedelissimo del Potere finanziario europeo e mondiale, adempiendo al compito che ti è stato assegnato quali che siano le sofferenze e i danni che apporti alla tua patria e ai tuoi concittadini, poi diventi presidente della Repubblica. Lo stesso ragionamento, mutati i compiti e le situazioni, vale per gli altri nomi. La presidenza della repubblica italiana è appaltata al Bilderberg.

  Adesso, però, che abbiamo fatto una lunga e dura esperienza della quasi assoluta mancanza d’intelligenza che caratterizza i soci del Bilderberg e i loro emissari, montiani o meno, testimoniata chiaramente dai disastri che seguono alle loro imprese, sarà bene che i politici guardino in faccia la realtà. Anche a voler prescindere dai fatti che abbiamo sotto gli occhi (è di questi giorni il macroscopico pasticcio combinato a Cipro) non sono pochi gli analisti finanziari  che prevedono un possibile crac dell’euro per il secondo trimestre e, se non un crac, delle difficoltà sempre più gravi nella gestione dell’economia in Europa. Sarebbe davvero poco “divertente” trovarsi fresco di nomina a capo della Repubblica e mandare in giro per il mondo a rappresentare gli Italiani proprio uno dei responsabili del crac.

Ida Magli

Morire di Euro?

Ragionevolissime (come sempre) considerazioni di Gabriele Gruppo sull'Euro.
Dal sito wordpress.thule-italia.net:

Morire di euro?

The Euro Is Killing Europe. From Cyprus to Portugal, the common currency has been a disaster.
Are the best days of the European Union already behind it? Just a few months ago, having won the Nobel Prize for Peace, it could boast of decades without a major war, the westward turn of the former Soviet satellites, and flourishing internal trade. But now its one big mistake — the euro — threatens to tear the union apart.
Fonte www.foreignpolicy.com
Proponiamo alla vostra attenzione questo interessante articolo tratto dal sito del Foreign Policy, in cui si valutano in poche e chiarissime parole tutte le storture poste alla base del processo di unificazione monetaria dell’area euro.
In questi giorni di sussulti, caratterizzati dai contraccolpi della crisi cipriota, gli analisti anglosassoni di FP si domandano come si poteva sperare che una valuta senza Stato, l’euro, potesse reggere l’urto di una situazione come quella che stiamo vivendo, in cui tutti i nodi sbagliati stanno venendo al pettine della sofferenza economica in cui si trova il Vecchio Continente.
L’euro ucciderà l’Europa?
Non è una questione di peregrino scetticismo nei riguardi del processo d’integrazione continentale, quanto la lucida preoccupazione che il burrone in cui siamo caduti sarà estremamente lungo, e che a schianto avvenuto ci ritroveremo tutti con le ossa rotte. Nessuno escluso.
La leggerezza con cui la nostra classe dirigente si è imbarcata nel progetto euro ci appare, con sempre maggior nitidezza, come un vero e proprio crimine.
L’Italia, per restare in casa nostra, non era in grado di essere culturalmente preparata ad affrontare legami reali con nazioni che pretendono (giustamente) che i patti vengano rispettati. La vecchia Comunità Economica era una barzelletta, più simile ad un circolo proloco che una vera unione. Il salto ad occhi chiusi nella moneta che dal 1999 è stata più croce che delizia, si sta rivelando per quello che è: un pericoloso azzardo.
Abbiamo “giocato” alla roulette russa con l’economia globalizzata, pensando (come sempre) di essere più furbi di tutti, e che alla fine avremmo tratto massima resa da minimi sforzi. In questo casinò siamo stati in buona compagnia a farci affettare come prosciutti; l’acronimo PIIGS, cui si sono aggiunte nel frattempo altre lettere, non è stato coniato certo per cattiveria teutone ma per un dato di fatto indiscutibile, che trae ragione dal nostro approccio superficiale con il mondo contemporaneo e le sue regole.
La questione ora è se potremo andare avanti ancora per molto, o arrenderci senza condizioni alla BCE. La Grecia, Cipro, la Spagna e il Portogallo hanno già perso la loro sovranità, in nome della permanenza nell’area euro. Noi italici siamo ancora qui che cerchiamo di tenere il naso fuori dal letame, che è ormai arrivato alla soglia del mento.
Uscire dall’euro, così come troppi palloni sgonfiati propongono nei loro comizi, sarebbe un nuovo azzardo. Potrebbe andare bene (il condizionale è d’obbligo), o potremmo finire con il dover ipotecare il nostro futuro per i prossimi mille anni. Oppure potremmo augurarci che la storia riservi ancora delle sorprese, e che questa Europa di banche e mercanti sia sostituita da qualche cosa di migliore.
I sogni possono realizzarsi, se si combatte, e non possono certo essere imbrigliati dalle agenzie di rating.

Faceva il palo nella banda dell'ortica.

Indimenticabile Jannacci... ma il suo "palo" non vi ricorda Bersani??

Faceva il palo nella banda dell'Ortica, ma era sguercio, non ci vedeva quasi più, ed è stato così che li hanno presi senza fatica, li hanno presi tutti, quasi tutti, tutti fuori che lui.
Lui era fisso che scrutava nella notte,
quand è passa' davanti a lu un carabinier
insomma un ghisa, tri cariba e un metronotte:
nanca una piega lu la fa, nanca un plisse'.
Faceva il palo nella banda dell'Ortica,
faceva il palo perché l'era il so mesté.
Così precisi come quei della Mascherpa sono rimasti lì i suoi amici a veder i carabinieri, han detto "Ma come, brutta lugia vaca porca, il nostro palo, bruta bestia, ma dov'è ??"
Lui era fisso che scrutava nella notte,
l'ha vist na gota, ma in cumpens l'ha sentu nient,
perché vederci non vedeva un autobotte,
però sentirci ghe sentiva un acident.
Faceva il palo nella banda dell'Ortica,
faceva il palo con passione e sentiment.
Ci sono stati pugni, spari, grida e botte,
li han mena' via che era già mort quasi mesdì,
lui sempre fisso che scrutava nella notte
perché ci vedeva i stess de not cume del dì.
Ed è lì ancora come un palo nella via, la gente passa, gli dà cento lire e poi, poi se ne va...lui circospetto guarda in giro e mette via, ma poi borbotta perché ormai l'è un po' arrabbià.
Ed è arrabbiato con la banda dell'Ortica,
perché lui dice: "Non si fa così a rubar !!
Dice "Ma come, a me mi lascian qui di fuori, e loro, e loro chissà quand'è che vengon su...e poi il bottino me lo portano su a cento lire, un po' per volta: a far così non finiamo più!!! No, no, quest chi l'è proprio un laurà de ciula, io sono un palo, non un bamba, non ci sto più: io vengo via da questa banda di sbarbati, mi metto in proprio, così non ci penso più.
Faceva il palo nella banda dell'Ortica,
faceva il palo perché l'era il so mesté,
Faceva il palo nella banda dell'Ortica,
faceva il palo, il palo, perché l'era, perché l'era il so mesté...

sabato 23 marzo 2013

Grecia: il grande successo dell'Euro...?!?

E' proprio vero: non si parla più della Grecia.
Ce lo ricorda Michele Rallo dalle pagine del settimanale "Social" del 22.3.2013:


La situazione in Grecia è già precipitata da qualche mese. Ma la stampa europea non ne ha praticamente fatto cenno, perché non bisognava avvantaggiare i partiti populisti prima delle elezioni italiane e delle prossime elezioni tedesche. In Grecia – si ricorderà – dopo un risultato elettorale che aveva premiato le forze populiste (di destra e di sinistra), sono state indette nuove elezioni all’insegna di una propaganda di regime che mirava a terrorizzare gli elettori: se prevarranno ancora i populisti la Grecia sarà espulsa dall’Unione Europea e precipiterà nel caos. I greci – come si sa – hanno abboccato all’amo e sono tornati a votare per i partiti europeisti. Risultato: è stato creato un governo “responsabile” che ha accettato le ricette iugulatorie della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale. E il caos – quello vero, quello destinato a durare ben più di qualche mese – è arrivato. In Grecia – anche se la stampa “indipendente” si guarda bene dal darne notizia – siamo agli assalti ai supermercati, siamo alla caccia all’immigrato accusato di “rubare” ai greci non più un lavoro (che non c’è) ma un piatto di minestra alla mensa dei poveri, siamo alla fame vera, con i bambini che svengono in classe per la denutrizione, siamo alla scomparsa della sanità pubblica, con fasce sempre più larghe di cittadini ellenici che ricorrono per le cure alle ONG, cioè alla carità, siamo addirittura alla vendita di pezzi di territorio nazionale agli stranieri: un intero arcipelago (le sei isole delle Echinadi) è stato ceduto all’emiro del Qatar per un piatto di lenticchie, 8 milioni e mezzo di euro, il prezzo di una azienda agricola italiana di media grandezza.
Perché questo? Perché in Grecia (e a Cipro, un pezzo di Grecia che la diplomazia occidentale vuole forzatamente mantenere divisa dalla madrepatria) le ricette europee in salsa tedesca hanno portato alle uniche conseguenze logicamente possibili: innanzitutto, un indebitamento progressivo cui – impossibilitato a battere una propria moneta – lo Stato deve far fronte indebitandosi ulteriormente con i mercati e con gli organismi europei che forniscono gli “aiuti”; e, come ulteriore conseguenza, un ricorso alla più crudele macelleria sociale per sottostare ai diktat di chi concede i prestiti a strozzo.
Di fronte a questa situazione, come dimenticare la cinica dichiarazione (ancor oggi reperibile su You Tube) che è stata resa ai microfoni de La 7 dal più autorevole eurocrate nostrano, il professor Mario Monti? Trascrivo fedelmente: «Oggi, secondo me, stiamo assistendo, non è un paradosso, al grande successo dell’euro. E qual è la manifestazione più concreta del grande successo dell’euro? La Grecia. (…) Quale caso di scuola si sarebbe mai potuto immaginare – caso limite – di una Grecia costretta a dare abbastanza peso alla cultura della stabilità e che sta trasformando sé stessa?»
Certo che la Grecia sta trasformando sé stessa: da nazione con un tenore di vita collocato nella fascia medio-alta delle classifiche mondiali, a nazione con una economia da paese sottosviluppato. La stessa trasformazione che attende l’Italia, se resterà ancora nell’Unione Europea.

venerdì 22 marzo 2013

Extra Euro nulla salus?

Giuste riflessioni. E, al termine dell'articolo, l'importante notizia dell'Altrementi Festival (censuratissimo dai "giornaloni"!), in corso da oggi.
Da Il Fatto Quotidiano:

Extra Euro nulla salus (Terrorismo mediatico contro i dissidenti dell’unione valutaria)
di Pier Paolo Dal Monte

C’è uno spettro che si aggira per l’Europa, lo spettro del terrorismo mediatico che si scatena ogniqualvolta qualcuno si azzardi a criticare la moneta unica. Tante voci differenti ma unite dall’omodossia di questo novello dogma si levano nel vaticinare il triste destino di “terrore, miseria e morte” (vi ricorda qualcuno?) che coglierebbe i malcapitati paesi che decidessero di uscire da questa sciagurata unione valutaria.
Tra tante dissonanze che rendono l’arena politica politica di questo paese una sorta di perenne ludum gladiatorium, v’è un argomento sul quale quasi nessuno dissente, ovvero: non vi sarà salvezza o redenzione per il peccatori che oseranno mettere in dubbio il supremo dogma del vecchio continente. Arriveranno gli angeli dell’Apocalisse, e vi saranno “folgori, clamori e tuoni, accompagnati da un grande terremoto, di cui non vi era mai stato l’uguale da quando gli uomini vivono sopra la terra(1). O, più prosaicamente, i nostri risparmi andranno in fumo, occorreranno carriole piene di banconote per andare a fare la spesa e ci vorrà un’intero stipendio per riempire il serbatoio dell’automobile.
Più o meno sono questi gli argomenti con i quali si conduce questa campagna di terrore, da parte di giornalisti e politici, ma anche da parte di economisti accreditati di ineccepibili credenziali accademiche, anche se i risultati dell’unione valutaria, che sono sotto gli occhi di tutti, non sono brillantissimi: quasi tutti i paesi ”periferici” sono sull’orlo della bancarotta, e ogni settimana qualcuno si aggiunge a questo triste gruppo.
Quello che non è mai stato adeguatamente raccontato , sono state le conseguenze reali dell’ingresso nell’Unione, che sono ben spiegate da Paul De Grauwe, del quale citiamo soltanto alcuni brevi passi, per motivi di spazio:
  1. «I paesi membri dell’unione monetaria devono indebitarsi in una valuta della quale non hanno il controllo» (da qui il “governo dello spread”)
  2. Le politiche macroeconomiche dell’Eurozona, sono state dettate dai mercati finanziari, che hanno forzato alcuni paesi (la “periferia”) in una situazione alquanto squilibrata: questi paesi hanno accumulato deficit nelle partite correnti mentre i paesi del “nord” hanno accumulato surplus»(2)
Quest’ultimo dato è testimoniato, nientemeno, da un personaggio come Romano Prodi che, dell’unione valutaria è stato uno dei più accaniti fautori, in un un breve filmato reperibile su You Tube, nel quale l’ex premier, risponde alle domande di una studentessa greca che chiede lui chiarimenti circa il destino dell’euro e della sua sventurata nazione: “Credo che che l’euro sopravviverà, perché nessuno ha interesse a buttarlo a mare. Non certo la Grecia, non certo l’italia ma, soprattutto, non certo la Germania. Perché, la Germania è, di gran lunga, il paese più potente e più forte dell’Europa grazie all’Euro. Quando mi sono laureato (nei primi anni ’60) il cambio lira-marco era 156 lire per ogni marco. Quando, con Kohl, abbiamo stretto l’ultimo accordo per l’entrata dell’Italia nell’Euro il cambio era 990 lire per ogni marco. Quindi abbiamo svalutato del 600%. E la Germania non ha mai potuto accumulare un surplus. Oggi, solo nell’ultimo anno, ha avuto un surplus di quasi duecento miliardi di Euro».
Pronunciando queste parole il sorriso di Prodi sembra quello di un santo estatico tra gli angeli. Ma…ci viene a questo punto da chiederci….ma Prodi non è stato il Presidente del consiglio italiano? E allora, perché è contento di questo vantaggio comparativo della Germania, che, nel caso non fosse chiaro, si è tradotto in un deficit persistente dei paesi “periferici” dell’eurozona (tra cui il nostro), che ha condotto ai problemi attuali? Misteri della politica (o forse no?)
Ben comprendiamo che l’«uomo della strada» (e tale ci consideriamo), possa essere piuttosto confuso rispetto a questo messaggio, come rispetto a molti altri che sono stati dati, su quello strano animale chiamato Euro.
Questi ed altri interrogativi, saranno discussi in occasione del prossimo “Altrementi Festival”, che si terrà a Rimini il dal 22 al 24 marzo p.v. Un’occasione unica per ascoltare qualche voce “fuori dal coro” del terrorismo mediatico, e per capire cosa de facto ha comportato l’adesione alla moneta unita e quello che potrebbe comportare l’uscita da essa. E non solo.
1) Apocalisse, 16.18
2) Paul De Grauwe, Design Failures in the Eurozone: Can they be fixed?, LSE ‘Europe in Question’ Discussion Paper Series, London School of Economics and Political Sciences, London, 2013


domenica 17 marzo 2013

Boldrini & Grasso.

Eletti i presidenti delle camere. Boldrini & Grasso, dunque.
Come sempre, le chiavi di lettura sono molte e disparate. E, come sempre, i media istituzionali evitano accuratamente quella più ovvia ed evidente, che poi è anche quella che fa più incazzare il cittadino.
Andiamo (sai che novità...) controcorrente e parliamone noi.
Dunque, questa non doveva essere la legislatura del nuovo che avanza, della discontinuità rispetto alla vecchia politica lontana mille miglia dalla vita vera? Da oggi, nulla sarà più come prima, no? Non ci hanno detto questo?
Ebbene, primo atto di questa legislatura rivoluzionaria, eletti Boldrini & Grasso.
Il nuovo che avanza? Lei, funzionaria dell'ONU dal 1989 ad oggi (ripeto: dal millenovecentoottantanove!!!), lui magistrato storico ed infine capo della c.d. "Procura Antimafia". 
Il nuovo che avanza? Questi qui sono due esponenti della più intoccabile veteroburocrazia, sono gli esempi tangibili dell'autoperpetuazione del sistema, di quel sistema che il cittadino vorrebbe spazzare via!
Finora, quanto sono costate ai contribuenti le esistenze dei sigg.ri Boldrini & Grasso?
Altro che il nuovo che avanza... la prima repubblica non è mai finita...  

venerdì 15 marzo 2013

Amor di Patria

Una boccata d'ossigeno dalla penna di Piero Vassallo, prima di ripiombare nella melma della politica quotidiana.
Dal sito Riscossa Cristiana:

La religione educa al vero amor di Patria

di Piero Vassallo

Quattro secoli prima di Vincenzo Gioberti, San Bernardino da Siena (1380-1444) aveva sostenuto il primato spirituale e civile della nostra gente, affermando che “la Patria d’Italia è la più intellettiva parte del mondo … Ma dimmi in quale parte sapresti tu dire, dove sia più dilettevole abitare che in Italia?

San Bernardino apostolo d’Italia”, dunque. Della impegnativa definizione/investitura fu autore uno fra i più geniali e nobili protagonisti del Novecento cattolico, il laico Piero Bargellini, il quale, nel lontano 1933, scrisse la magistrale, insuperata biografia di San Bernardino, che è in questi giorni riproposta dall’editore Cantagalli in Siena.

E’ dunque lecito girare al santo di Siena il secondo versante della celebre lode che Benito Mussolini dedicò a San Francesco, “il più santo degli italiani, il più italiano dei santi”.

Ora la grandezza e l’attualità del più italiano dei santi dipende dalla sua incendiaria predicazione contro i vizi, che tormentavano gli angoli bui del Medioevo: l’usura e la sodomia. Sono le piaghe che ultimamente tormentano le nazioni infettate dai profeti della cosmopoli fondata sulla fantasticheria malthusiana dei sommi cravattari.

Il francescano osservante San Bernardino, lo sottolinea nella dotta introduzione Maria Caterina Camici , “denuncia l’usuraio una belva dalle zanne lunghe che rodono le ossa del povero” e fulmina la sodomia, orribile vizio praticato nelle città, che meritano il fuoco che distrusse Gomorra.

Dal suo canto Bargellini, in perfetta sintonia con l’insegnamento di Pio XI, dimostra che le prediche del santo erano intese “a chiudere ogni spiraglio attraverso il quale sarebbe passata la spora del mostruoso fungo bancario che occupa tutto il mondo”.

All’economia liberata dall’usura e dalla vanità che accompagna i sùbiti guadagni, San Bernardino, peraltro dedicò, oltre le magnifiche prediche, un pregevole trattato.

San Bernardino tuttavia non fu un rigido e freddo moralista. Non fu un uomo del Medioevo, anche e sopra tutto perché il Medioevo dei libri descritto dagli storici illuminanti non è mai esistito.

Disegnò il labirinto dell’economia d’usura e ne indicò l’uscita. Ma la sua religione fu più alta della sua pur nobile scienza. Infiammato da una fede nutrita dalle opere di San Bonaventura da Bagnoregio e sostenuto dalla raffinata cultura letteraria e giuridica appresa in Siena alla scuola dell’umanista Giovanni di Buccio, rappresentò, infatti, la felice unione della sconfinata carità e della intollerantissima verità.

La carità peraltro segnò l’incipit della vita religiosa del santo senese. Bargellini rammenta che, prima che il giovane e già dotto Bernardino degli Albizzeschi si consacrasse alla severa vita dei francescani osservanti, la città in cui fioriva la sodomia fu colpita dall’ira di Dio: “Invece del fuoco venne la peste. Nell’anno giubilare 1400, Siena fu invasa dal morbo“.

Il temuto contagio fu un’occasione per mettere alla prova la fortezza e l’altruismo dei veri cristiani. Lo sconvolgente spettacolo della sciagura rese manifesta il carattere eroico di Bernardino, che si affrettò a soccorrere gli appestati. La carità attribuì alla sua scelta intrepida un perfetto significato religioso.

Bargellini narra che nell’ospedale, in cui erano ricoverati gli appestati, “in pochi mesi erano morti nove sacerdoti, sette medici, cinque chierici e novantasei serventi. Non si trovava più chi volesse varcare la soglia dell’ospedale, dove il puzzo e l’infezione erano spaventevoli. Il rettore dell’ospedale si raccomandò alla Madonna. Rispose Bernardino, che si presentò un giorno con dodici compagni“.

Di lì a poco Bernardino bussò alla porta del convento dei francescani osservanti è iniziò la splendida carriera della carità.

La supremazia della carità su tutte le virtù non è un’invenzione dei neomodernisti scorazzanti/sentenzianti/deliranti intorno al Vaticano II, ma una certezza da sempre posseduta dai veri cristiani.

In una splendida pagina, scritta da Bargellini con il suo inimitabile stile, si narra che il santo respinse la sollecitazione all’intransigenza formulata da un pio uditore delle sue incendiarie prediche: “Bernardino che non aveva altra cura se non quella di far splendere ala per ala, gemma per gemma, il suo Serafino d’amore, e che non aveva voglia di ombrarlo con la tristezza del vizio, gli spiegava che l’amore e l’amore soltanto aveva la forza di vincere ogni peccato; e l’altro a insistere che invece una toccatina sul vivo non avrebbe fatto tanto male e avrebbe rattenuto tanti cristiani dall’ingordo traffico di sangue umano”.

La conclusione della vicenda accenna al severo, tradizionale ammonimento a non cedere al moralismo, maschera dei disonesti e scudo degli ipocriti: “Tant’era la premura e l’insistenza di questo brav’uomo, che Bernardino volle sapere chi fosse, ed era il più crudele usuraio di Milano, che aveva pensato di mettere a profitto del suo commercio la persuasiva parola del fratino toscano, per stroncare il ridosso che altri cristianucci strozzini gli facevano”.  

L’eredità del nostro medioevo non è stata dispersa. Anche nell’oscuro presente, anche sotto l’ombra disonesta della bandiera sventolata dagli usurai cosmopoliti e dai maestri di pederastia installati sulle ruggenti cattedre anticristiane di Bruxelles, di Londra e di Berlino, gli italiani possono vantare, come suggerì San Bernardino, i prestigiosi e indiscussi primati della loro Patria.

In primo luogo, infatti, dobbiamo rammentare che è italiana l’alta scienza politica, che destò e incentivò la resistenza al laicismo, che nel Medioevo indossava la veste del falso ecumenismo, alibi degli imperatori ghibellini di nazione germanica.

Alla religione degli italiani si deve, infatti, l’illuminata difesa della vera libertà politica, un bene sacro che fu difeso eroicamente da San Gregorio VII e da Alessandro III e fatta oggetto di perfetta scienza da San Tommaso, dai teologi della Controriforma e dai santi pontefici che resistettero alle rivoluzioni del moderno .

La qualunque difesa dalla superstizione intorno alla sovranità popolare e ai burattinai che fanno ballare il sovrano, non può fare a meno della politologia guelfa, unico baluardo atto a resistere efficacemente alla tirannia esercitata dai dissoluti.

Vantano gli italiani la fioritura dei geni universali vissuti nello splendore incomparabile del Medioevo: San Francesco e Santa Chiara d’Assisi, Santa Caterina da Siena, San Bonaventura da Bagnoregio, gli eruditi laici ma illuminati dalla fede, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Coluccio Salutati, i pittori Cenni di Pepo detto Cimabue, Giotto (Angiolo o Ambrogio) di Bondone.

La misericordia e il genio profetico degli italiani, Santa Caterina Fieschi da Genova ed Ettore Vernazza, hanno fondato un magnifico sistema assistenziale, gli ospedali degli incurabili, opere d’avanguardia, grazie alle quali fu mitigato il devastante effetto del mal franzese, la pestilenza che tormentò il XVI secolo, prima di diventare il motore delle rivoluzioni.

Gli italiani vantano anche la straordinaria vitalità della loro filosofia nei secoli ultimi. Il pensiero italiano ha evitato i gorghi prodotti dal pensiero europeo grazie agli eredi e ai continuatori di San Tommaso e San Buonaventura: Giambattista Vico, Antonio Rosmini, Luigi Tapparelli d’Azeglio, Giorgio Del Vecchio, Cornelio Fabro, Michele Federico Sciacca, Nicola Petruzzellis, Augusto Del Noce, Maria Adelaide Raschini, Marino Gentile, Carmelo Ottaviano.

La scolastica italiana del Novecento è un’isola privilegiata, in cui la ragione ha respinto e girato alle gazzette gli assalti del nichilismo dominante nell’Europa illuminata dalla decomposizione del protestantesimo e dell’idealismo.

La scienza giuridica italiana, grazie a pensatori quali Giorgio Del Vecchio, Carlo Costamagna, Antonio Messineo, Giuseppe Capograssi, Sergio Cotta e Paolo Pasqualucci ha compiuto la straordinaria impresa di tener testa al positivismo giuridico che avvilisce i legislatori dell’Occidente.

Anche il capitalismo dal volto umano, illuminante dottrina risalita dal secolo di San Bernardino al XX secolo, ha impresso un carattere inconfondibile all’Italia, la nazione che per prima uscì della crisi del 1929 e che, dopo una guerra tragicamente perduta, fu capace di produrre un miracolo economico, che stupì il mondo.

Il più nobile dei presidenti americani, il cattolico John Fritzgerald Kennedy, incontrando l’italiano Amintore Fanfani, confessò di essere debitore della sua ingente opera sulla rivoluzione economica attuata nella Toscana nei secoli illuminati dal genio di San Bernardino.

Inoltre la più rivoluzionaria scoperta scientifica del Novecento, il telegrafo senza fili, si deve al cattolico italiano Guglielmo Marconi.

I più grandi compositori del XX secolo, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Ruggero Leoncavallo, Ottorino Respighi, sono italiani.

Il più vivace movimento artistico dell’età contemporanea, il futurismo, è stato fondato dall’italiano Filippo Tommaso Marinetti, che alla fine di un’esistenza straordinaria morì confortato dalla fede in Cristo.

L’italiano Marcello Piacentini è un modello imitato dagli architetti d’avanguardia in tutto il mondo.

La cinematografia italiana, grazie a registi quali Goffredo Alessandrini, Mario Camerini, Alessandro Blasetti, Roberto Rossellini, Augusto Genina, Vittorio De Sica, Federico Fellini, Pietro Germi detiene il primato della qualità.

Quando si considerano seriamente le eccellenze italiane sorge spontanea una domanda: perché la patria del diritto deve obbedire a una costituzione vecchia, fumosa e sgangherata?

Perché l’Italia deve prendere lezioni di politica da un’obesa luterana di Germania? Perché può essere impunemente governata da nani in auto blu, comici eterodiretti e vaneggianti, banchieri disonesti, vocianti ballerine, spogliarelliste filosofanti, filosofi tombali, benzinai strapagati, ostricai e distributori di mimose e orchidee a spese del contribuente?

Perché, per effetto di quale congiura, la vita pubblica italiana è dominio di una plebaglia desolante, professionisti della chiacchiera, paglietti ruggenti, democristiani rigurgitati, comunisti affranti, discepoli ed eredi di Gaucci, comici senza idee, economisti antieconomici, radicali senza pudore, schedate mignotte e ladruncoli rampanti?

Perché l’Italia deve sottostare ultimamente ai comandi di strozzini e lettori americani di fondi di caffé, di nani francesi, di azzeccagarbugli belgi e di tristi valchirie germaniche?

Perché l’alternativa ai politici non sorpassa la statura di uno scialbo, noioso, spocchioso e disastroso professore della Bocconi? Perché la politica dei sedicenti moderati è calamitata dai pensieri avvilenti in uscita dalle ceneri del liberalismo e dalle viete chiacchiere del partito radicale?

A tali domande dovrà rispondere la generazione in uscita dalle illusioni seminate dal neopaganesimo.

sabato 9 marzo 2013

Grande Gramellini!

Non sempre Gramellini fa centro. Questa volta sì. Esilarante e clamorosamente realistico.

Cinque stelle extra luxe.
L’autopresentazione dei parlamentari di Grillo in diretta tv da un albergo della Capitale («Ciao, sono Diego, in quanto sommelier mi vorrei occupare di agricoltura») ha dissolto in un istante decenni di polverosa comunicazione politica. Siamo in grado di anticiparvi l’intervento degli eletti della lista Monti che si raduneranno oggi a Roma in un esclusivo monolocale del centro.
«Ciao, sono Filippo Maria Ondeggioni Guerreschi, uno come tanti. In quanto proprietario di due aerei privati, vorrei entrare nella commissione Trasporti». 
«Ciao a tutti, sono la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare: avendo tre cameriere peruviane e un personal trainer russo, mi piacerebbe occuparmi di politica estera».
«Salve, mi chiamo Giangi Anfuso Lambertenghi, sono appassionato di ecologia e andrò alla Camera con la bicicletta guidata dal mio autista».
«Ciao ragazzi, sono Fiordalisa Filippini in Gaumont in Sauroni in Rottweiler in Beauchamp in Opale: felicemente sposata cinque volte e divorziata quattro ancora più felicemente, mi interessano molto i temi della famiglia».
«Salve, sono Marco Maniscalchi Ferreris d’Argonauta: figlio dell’ambasciatore Maniscalchi, nipote del cardinale Ferreris e figlioccio del professor d’Argonauta: vorrei occuparmi di pari opportunità». 
«Ciao, sono Luigia Tonnarelli Guitti: non ho mai lavorato un giorno in vita mia, sarà per questo che mi incuriosisce il Welfare».
«Salve, sono Gianfranco Fini, disoccupato, mi piacciono le immersioni, ma vorrei tornare a galla. A qualcuno serve un sommelier?».

venerdì 8 marzo 2013

Siria: la politica americana dà la nausea.

La realtà di ciò che sta accadendo in Siria non va dimenticata, in tutte le sue implicazioni, che ci toccano maledettamente da vicino.
Per ri-fare il punto, un utile articolo di Rodolfo Casadei dal sito Il deserto dei Tartari:

Come si sente un inviato che torna dalla Siria dopo aver trascorso una settimana nel martoriato paese in aree controllate dalle forze governative e si imbatte nelle notizie che i media italiani danno della riunione degli “Amici della Siria” a Roma, in particolare le dichiarazioni del segretario di Stato americano John Kerry e del ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi? Si sente male. Perché il quadro della situazione che queste persone disegnano e giustificano – un regime dittatoriale che opprime il suo popolo e si macchia di crimini di guerra contro la popolazione civile e un’opposizione che ha bisogno del sostegno della comunità internazionale per prevalere e portare la democrazia nel paese- è lontanissimo dalla realtà. L’idea che grazie a Usa ed Europa in Siria entrino altre armi – “non letali”, perché tanto a quelle letali ci pensano già i paesi arabi sunniti come Qatar, Arabia Saudita e Turchia – in aggiunta a quelle che già ci sono dall’una e dall’altra parte, dà semplicemente la nausea. Da quando in qua per spegnere un incendio si butta altra benzina sul fuoco? Forse da quando non si ha il coraggio -o più probabilmente l’interesse- a guardare in faccia la realtà nella totalità dei suoi fattori.
E allora è certamente vero che le forze governative -esercito, servizi di sicurezza, milizie di civili armati- si sono macchiate di crimini di guerra con esecuzioni sommarie, torture, violenze su civili, stragi gratuite, arresti indiscriminati e maltrattamenti nelle prigioni. Io questo non l’ho potuto accertare di persona, ma mi fido di Human Rights Watch e di altre organizzazioni che lo hanno attestato nei loro rapporti. Vorrei però modestamente aggiungere che una settimana trascorsa in Siria nelle aree più o meno precariamente controllate dalle forze governative mi ha consentito di toccare con mano il terrore in cui vivono le popolazioni di quelle zone, quotidianamente esposte alla minaccia di autobombe, colpi di mortaio e rapimenti – sia da parte di elementi criminali che di bande di ribelli -, che giorno per giorno si traduce in realtà. Nel comunicato diffuso dalla Farnesina al termine dei lavori degli “Amici della Siria”, basato sulle dichiarazioni dei ministri degli 11 paesi presenti, si legge fra l’altro che «Il regime deve porre un termine immediato ai bombardamenti indiscriminati contro le aree popolate perché si tratta di crimini contro l’umanità e non possono rimanere impuniti». Giovedì 21 febbraio sono arrivato a Damasco poche ore dopo che due autobombe, opera di ribelli jihadisti, erano esplose a Mazraa e Barzeh, nel cuore della città, uccidendo 52 civili. Nei giorni seguenti ho visitato alcuni dei feriti scampati all’eccidio. Fra loro una signora, madre trentenne divorziata con due figli adolescenti, che è rimasta sfigurata al volto dall’esplosione. Si tratta di una profuga, musulmana sunnita come tutta la sua famiglia, che ha dovuto abbandonare la casa dove abitava coi genitori nel sobborgo di Ein Tarma a causa degli scontri fra governo e ribelli. Era stata accolta in una moschea vicina al luogo dell’attentato. Il fratello ha protestato davanti alle telecamere della televisione, gridando «è questa la libertà che ci vogliono dare?», e subito gli sono arrivate minacce di morte da parte dei ribelli. In una stanza poco lontana dello stesso ospedale giace un ragazzo palestinese di 15 anni del campo profughi di Yarmuk, alle porte di Damasco. Un cecchino di parte ribelle gli ha aperto tre fori nell’addome, ai quali è miracolosamente sopravvissuto. È andata peggio a quattro suoi amici della sua stessa età, che nel giro di tre mesi hanno perso la vita per il fuoco dei cecchini. Il ragazzino, di cui taccio il nome per tutelare la sua incolumità, mi ha spiegato che dopo essersi limitati per qualche tempo a sparare agli uomini, adesso i cecchini dei ribelli sparano anche alle donne e ai bambini di certe aree del quartiere palestinese. A un bambino di 9 anni, suo compagno di stanza fino al giorno prima che io visitassi l’ospedale, è stata amputata una gamba ferita.
A Damasco non c’è stato giorno, dei quasi cinque che vi ho trascorso in due riprese, senza che cadessero sui quartieri del centro colpi di mortaio lanciati contro obiettivi governativi, ma in realtà non meno imprecisi delle bordate di artiglieria sparate dall’esercito contro i quartieri della periferia in mano ai ribelli. Quando mi sono spostato nelle province del nord-est, ho incontrato famiglie e studenti cristiani in fuga per le continue minacce di morte e di rapimento da parte sia di elementi della criminalità, scatenati a causa del quasi collasso delle istituzioni, sia di elementi jihadisti e salafiti intenzionati a fare piazza pulita della millenaria presenza cristiana in Siria. A Damasco come nel nord-est quasi nessuno di quelli che hanno parlato con me ha accettato di farsi fotografare; nessun profugo dei 15 centri di accoglienza di Damasco e nessuno dei giovani volontari che operano presso queste strutture ha accettato che io prendessi le loro immagini: tutti hanno paura di subire rappresaglie da parte dei ribelli. Allora la mia domanda agli “Amici della Siria” è la seguente: quelli che ho fin qui elencato e che ho toccato con mano -condividendo coi semplici cittadini siriani delle aree governative il quotidiano pericolo rappresentato dalle autobomba e dai colpi di mortaio che cadevano un po’ dappertutto, e quello rappresentato dai dilaganti sequestri di persona nel nord-est- rappresentano «crimini contro l’umanità che non possono restare impuniti» oppure no? E se, come penso tutti convengano, lo sono, perché il ministro Terzi, il segretario di Stato Kerry, e gli altri ministri europei presenti alla riunione non hanno disposto perché venissero inseriti nella dichiarazione finale? Il sangue dei civili -cristiani, sunniti, palestinesi, alawiti, curdi, ecc.- che rischiano quotidianamente la vita o la sicurezza personale a causa delle attività militari dei ribelli, vale meno di quello dei civili che hanno la sfortuna di trovarsi nelle aree bersaglio degli attacchi delle forze governative? A nessuno viene in mente che la fornitura di aiuti militari “non letali” ai ribelli -giubbotti antiproiettile, visori notturni, blindati- aumenterà le probabilità dei civili residenti nelle aree governative di cadere vittima degli attacchi di costoro? Lunedì scorso mi trovavo a Damasco nel quartiere di Salieh con altri stranieri, quando l’esplosione di un’autobomba nel non distante quartiere di al Qaboun ha dato il via a una battaglia che è durata un’ora. Forse se avessero avuto a disposizione i blindati e i giubbotti antiproiettile che Usa e Nato potrebbero fornire loro i ribelli non sarebbero stati respinti, ma avrebbero invaso il centro città. Chi avrebbe a quel punto garantito i civili dalle razzie di tutti i loro beni mobili, come accaduto in molte località occupate dai ribelli? Chi avrebbe impedito a qualcuno dei vari gruppi combattenti di sequestrare noi stranieri e chiedere un ingente riscatto?
Naturalmente non considero stupidi o ingenui gli “amici della Siria” riuniti l’altro ieri a Roma, né ingenuo sono io. Kerry, Terzi (ministro tecnico “indicato” a suo tempo da Gianfranco Fini) e tutti gli altri sono perfettamente al corrente di quello che ho sopra raccontato. Sanno benissimo che crimini di guerra vengono compiuti da una parte e dall’altra con terrificante regolarità. Come pure sanno che alla fine della guerra civile internazionalizzata attualmente in corso la Siria non conoscerà nessuna trasformazione democratica, sia che vincano i ribelli, sia che vinca il regime. Più probabilmente non vincerà nessuno. La via delle armi e della guerra generalizzata determinerà la discesa del paese nel caos, dal quale non si riprenderà per lungo tempo. La manfrina di Roma serve soltanto ad occultare l’imperativo geopolitico che detta la posizione di Usa, Ue e Nato di fronte alla crisi siriana: indebolire l’Iran e la Russia favorendo la caduta di un regime, quello di Damasco, che è loro storico alleato. Ma siccome combattere le influenze iraniane e russe in Medio Oriente attraverso la morte violenta di centinaia di migliaia di siriani potrebbe essere considerata una politica cinica e leggermente criminale, l’amministrazione Obama e la Nato preferiscono mettere l’accento sui crimini di guerra del regime e sulla necessità di proteggere i civili nelle aree controllate dai ribelli. Una logica che lascia senza parole. Destabilizzare il cuore della mezzaluna fertile mediorientale potrà servire a occidentali (e sunniti) a sgominare i disegni di Iran e Russia nella regione. Ma solo al prezzo di creare minacce più gravi. Ad approfittarne saranno infatti i jihadisti, come dimostra quello che sta succedendo nell’Africa occidentale dopo l’eliminazione manu militari di Gheddafi in Libia. Ma a parte l’azzardo geopolitico, questo modo di fare politica internazionale con un totale disprezzo della vita umana e con l’arroganza di un’ipocrisia sfrontata, fa veramente venire la nausea. Identica alla nausea reale provata da chi, come me, si è trovato per quasi cinque giorni in una città dove, fra cannoneggiamenti quotidiani di parte governativa sui quartieri ribelli e autobomba e colpi di mortaio dei jihadisti e del Libero esercito siriano sul centro città, poteva accadere veramente il peggio a chiunque e in qualunque momento.

L'Italia che muore.

Senza parole.
Da Il Corrosivo di Marco Cedolin:

 Mentre Bersani filosofeggia intorno a fantasiose redistribuzioni dell'IMU e rivisitazioni della macchina di morte di Equitalia, nel tentativo di mercanteggiare l'appoggio di Grillo. Mentre l'Europa pretende con tono perentorio altre lacrime ed altro sangue subito, senza discussioni. Mentre il golpista trombato Mario Monti si dice pronto a tutto purché non nasca un governo anti europeo. Mentre la politica gigioneggia nei salottini TV su argomenti pregnanti come la legge elettorale ed il diritto di cittadinanza, alternando la rava e la fava con la fava e la rava.
C'è un'Italia che muore e continua a suicidarsi, refrattaria alla giustizia dispensata da Mr. Legacoop/Mps ed alla libertà offerta dal salapuzio di Arcore.
Perfino i media mainstream che su ordine di Mario Monti da un anno avevano eliminato dai propri palinsesti la mezza dozzina di suicidi giornalieri causati dalla disperazione economica, sembrano non essere più in grado di occultare il fenomeno.
Quando come nella tragedia accaduta oggi a Perugia all'interno della sede della Regione Umbria.... il disgraziato rovinato dall'Italia giusta, decide nella sua follia di portare con sè anche altri malcapitati, per forza di cose la notizia tracima e neppure il diktat di Mario Monti riesce a mantenerla sottotraccia. Così come sta accadendo sempre più spesso, quando la persona rovinata e gettata in mezzo ad una strada, nel momento di togliersi la vita porta con sé il coniuge, i fratelli, le sorelle, i parenti.
Nonostante la portata del fenomeno sembri non essere stata colta dal mondo del giornalismo italiano (con l'eccezione di chi redige i necrologi locali), impegnato a dissertare intorno agli equilibri degli schieramenti politici, al toto elezioni del Papa, alla salute della regina d'Inghilterra e alle partite di Champions League, il paese è simile ad una pentola a pressione, con la valvola che non funziona più. Nè la politica sembra intenzionata a trovare in extremis un qualche rimedio, essendosi già impegnata con i propri
padroni ad alzare ulteriormente la fiamma, così come ordinato dalla BCE e da Bruxelles.
L'Italia muore di troppa giustizia sbagliata, di troppe famiglie che non ce la fanno più, di troppi drammi economici trasformatisi in tragedie esistenziali, di troppe grida d'aiuto lasciate obliare nel frastuono dell'indifferenza, da chi preferisce parlare di spread, di tatticismi politici, di reazioni dei mercati, di grafici di borsa e di prestigio europeo. Muore e trascina con sé i suoi figli ogni giorno, muore ogni giorno
di più, anche se restiamo voltati dall'altra parte e fingiamo di non accorgercene

venerdì 1 marzo 2013

Un altro governo compiacente?

Che, con il recente voto politico, il popolo italiano abbia espresso una bocciatura di dimensioni plebiscitarie della politica europea, è un dato evidente per quanto accuratamente sottaciuto da media e commentatori.
Marco Della Luna muove da questa considerazione per fare alcune riflessioni sul possibile scenario post-elettorale:

DESTABILIZZARE LE BANCHE ITALIANE
PER IMPORRE UN GOVERNO COMPIACENTE A BERLINO E BCE
Per imporre in Italia un governo compiacente alla linea Monti-Merkel-Goldman Sachs nonostante l'esito elettorale di ieri, potrebbe essere a breve organizzata una crisi bancaria italiana che terrorizzi la popolazione e crei il consenso per un governo di quel tipo in cambio di aiuti monetari di BCE, Fed e altri. I recenti spostamenti di capitali dello Ior da banche italiane a banche tedesche (compresa parte del nostro 8 per mille) corrobora questa congettura.
Il voto politico del 25 febbraio esprime disinganno e rifiuto della maggioranza degli italiani verso la dittatura dei mercati, l'egemonia della Germania, il modello economico mercatista e neoliberista, le ricette rigoriste e fiscaliste di tecnici e accademici balordi o traditori, la falsa solidarietà dei paesi euroforti. Sgamati. Tutti sono d'accordo che occorra riformare – ma in quale direzione? Quella di Monti, Rehn, Barroso, Merkel, Draghi, oppure una opposta, col recupero della sovranità monetaria alla Nazione e la sottrazione del debito pubblico alle manovre di mercati pilotati e ricattatori, e massicci investimenti pubblici infrastrutturali, e separazione tra banche di credito e risparmio e banche di azzardo finanziario?
Adesso pare impossibile formare un governo stabile, che deve comprendere il PD, quale detentore della maggioranza assoluta dei seggi della Camera per effetto del premio di maggioranza. Ma proprio il PD e Monti sono paladini di quella politica che, come dicevo, la maggioranza degli italiani ha respinto, e sempre più respingerà via via che la depressione peggiorerà, mettendo a rischio il rispetto del pareggio nominale di bilancio imposto, sotto severe pene, dal fiscal compact.
Stranamente e significativamente, in questa cruciale situazione Napolitano vola in visita di Stato presso la potenza egemone. Non sarà che intende forse nominare un nuovo pseudo-tecnico come premier per continuare, sotto il pretesto dell'emergenza e del volere dei mercati, le riforme distruttive che trasferiscono capitali, imprese e cervelli dall'Italia a Germania, Svizzera e altri? E che stia concordando con Berlino un sostegno di brevissimo termine per questo nuovo asso della delocalizzazione guidata, un sostegno che lo faccia apparire bravo, una boccata di ossigeno per il Paese stremato? Questo asso potrebbe essere Prodi o Amato, che con le loro leggi e riforme e privatizzazioni già tanto hanno fatto in quel senso, spezzando la schiena all'economia di questo Paese. O qualcuno della Banca d'Italia, che si è distinto nel non vedere le ruberie in MPS o nel legittimare davanti ai giudici penali il superamento della soglia di usura, mediante compiacenti circolari in conflitto di interesse e che esse stesse costituiscono concorso in quel medesimo delitto.
Quel che mi aspetto è che, se non ci mobilitiamo con la denuncia e l'informazione preventive, a brevissimo parta un'azione di destabilizzazione del sistema bancario italiano, anche mediante un rialzo artefatto dello spread finalizzato a deprezzare i titoli pubblici italiani detenuti dalle banche italiane, in quanto queste detengono i detti titoli come importante componente del loro attivo patrimoniale, e in caso di rialzo dei rendimenti con conseguente calo del valore di mercato dovrebbero ridurre la loro valorizzazione in bilancio, con tutte le conseguenze di ciò. Lo spread lo possono far salire a piacimento mediante lo shorting, il rating, le esternazioni. Poi, quando si sarà alzato a livelli di allarme, potrebbero imporre alle banche italiane di fare accantonamenti a copertura di possibili perdite sui titoli pubblici, così da comprimere il capitale netto delle banche. Allora saremmo davvero in croce.
La predetta manovra di destabilizzazione creerebbe panico, blocco di pagamenti, allarme per i depositi, carenza di contanti, limitazione della prelevabilità. Allora il Quirinale manderà avanti il nuovo Salvatore a cui il voto e la fiducia e l'obbedienza sono dovuti di necessità, perché “non c'è alternativa”. Egli imporrà sacrifici durissimi, innanzitutto in termini di rinuncia alla democrazia e alla sovranità, e in cambio apporterà un misericordioso aiuto dei fratelli europei.