Riflessioni fiscali di Gilberto Oneto, dal quotidiano Libero del 10 maggio:
Ogni giorno Monti di Nottingham si inventa una nuova gabella, qualche trucco per spremere i sudditi, soprattutto quelli che si ostinano a voler lavorare e produrre ricchezza. Fà anche finta di farlo con una certa maliziosa equanimità, sostenendo di tartassare tutti senza distinzione di ceto sociale e di collocazione geografica. La cosa è discutibile perché ci sono categorie che vengono trattate con i guanti. Una di queste, sicuramente la più grande in termini numerici, è quella degli stranieri regolari e irregolari che costituiscono per il fisco una sorta di zona franca: i primi sono coccolati e i secondi tranquillamente ignorati. Si sta parlando di una massa che si avvicina a sei milioni di persone: una "regione" più popolosa del Lazio e della Campania, di un quarto più grande di Piemonte, Veneto ed Emilia e di solo un terzo inferiore alla Lombardia.
Quando si parla di stranieri si deve sempre fare i conti con dati evanescenti, parziali, inesatti, stimati, insomma con una insidiosa cortina fumogena di incertezze creata ad arte da chi vuole mantenere il fenomeno in una affettuosa atmosfera di vaghezza.
Quel poco che emerge o sfugge è, però, sufficiente a generare inquietudine. La Fondazione Moressa parla per il 2009 di circa 3 miliardi di euro versati in tributi dall'intera comunità straniera: nello stesso anno il Veneto ha versato in sola Irpef 63 miliardi e la meno virtuosa Campania "solo" 44: entrambe le regioni hanno meno abitanti di tutti gli stranieri messi assieme. Pur fatta la tara del contributo dei foresti nelle due regioni, è credibile che gli ospiti dichiarino e paghino ciascuno il 15,2% o il 17,5% di quanto faccia un indigeno? Invece che inseguire gli scontrini fiscali, gli agenti del fisco non farebbero meglio a farsi un giro nelle comunità foreste?
Ci sono altri numeri che lasciano per lo meno perplessi. Secondo l'Istat e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il reddito medio delle famiglie composte da almeno un cinese veniva stimato nel 2008 attorno ai 20mila euro. La Fondazione Moressa ci informa che nel 2011 i cinesi hanno spedito come rimesse al proprio paese di origine 12.085 euro a testa. A meno che i redditi dei cinesi siano prodigiosamente lievitati in tre anni (cosa che contraddirebbe l'affermazione della stessa autorevole fonte che indica in un calo annuo dello 0,6% la contribuzione dei foresti in generale), non si capisce davvero come una famiglia che guadagni venti possa risparmiare dodici per ogni suo componente. La Banca Mondiale dice che le rimesse dichiarate sono all'incirca la metà di quelle effettive: il nostro dubbio si fa sempre più angoscioso. I cinesi stampano soldi? Allevano galline che depongono uova d'oro? Che ci sia qualcosa di prodigioso nella loro "laboriosità" è provato sia dall'affetto con cui il ministro Riccardi visita le loro comunità, sia nella rapidità con cui si è "suicidato" il malvivente marocchino che aveva assassinato e rapinato lo scorso gennaio a Roma un agente cinese dedito al "money tran-fer". I cinesi sono solo la punta dell'iceberg che l'Agenzia delle Entrate dovrebbe finalmente decidersi a esplorare.
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