mercoledì 11 maggio 2011

Luca Rimbotti recensisce l'ultimo libro di Giuseppe Giaccio,...

... un libro che, ahimè, dice molte cose vere. Anche per chi non condivide neanche un po' le idee di Giaccio.

DALLA DESTRA AL NULLA DI DESTRA

La parabola della “destra” italiana, dal neofascismo al liberalismo, dalla “fogna” all’auto-blu, è stata parecchie volte ripercorsa negli ultimi anni: l’interesse per questo soggetto alieno, un giorno improvvisamente balzato al centro della scena con pretese di leadership, ha prodotto buoni fatturati di vendita per ogni sorta di ricostruzioni giornalistiche, parastoriche, pseudoscientifiche. Tra il semiserio e l’improbabile, ma rare volte anche con dosi di buona oggettività, le idee, la psiche, gli immaginari di chi, infame fascista ancora negli anni Ottanta, da un giorno all’altro si è trovato ministro o sottosegretario, hanno costituito un materiale andato a ruba negli spacci della divulgazione democratica. C’era da aspettarselo. Il servo chiamato alla tavola del padrone è un antico canovaccio della commedia dell’arte, diverte il popolo. Chi fossero e da quali anfratti fossero emersi quei miracolati incuriosiva. Poche le analisi al dettaglio, diciamolo. Molti i rimescolamenti di carte all’ingrosso. Una sola cosa chiarissima: i missini al vertice del loro partito durante il Kampfzeit ante-1994 erano atlantisti, filosionisti, borghesi, amici dei capitalisti e dei poteri forti; i post-missini oggi al vertice dello Stato sono rimasti atlantisti, filosionisti, borghesi, amici dei capitalisti e dei poteri forti. Nessun “tradimento”, dunque, ma una bella linea retta. Il “tradimento” non è dei cosiddetti “finioti” e neppure dei colonnelli divenuti “berluscones”, è semmai quello di coloro che, partiti da posizioni di radicale contestazione del sistema almirantiano degli anni Settanta, quando basculavano fra Rauti, Evola e de Benoist, oggi hanno scantonato fino a diventare come nulla fosse Kronjuristen di Fini oppure pilastri del potere dell’uomo di Arcore. Ottimi puntelli, insomma, per un modo di essere a “destra” che una volta veniva aborrito con altissime maledizioni. Per non far nomi, un Campi oppure un Alemanno, con tutta la legione degli imitatori.
Esiste oggi un raro documento interno a quella che una volta venne definita la “Nuova Destra” e vergato da uno degli ancora più rari esempi di mancato imbrancamento nella mandria liberaldemocratica, che ricostruisce bene i meccanismi che hanno reso possibile il passaggio dal Movimento Sociale di strada e di lotta alla “destra” di palazzo e di governo. Leggendo Le metamorfosi della destra. Dal Msi a Futuro e Libertà: come è cambiata la destra in Italia di Giuseppe Giaccio (pubblicato da Caravaggio Editore di Vasto), si imparano alcune cose. Innanzi tutto, che in quella storica virata agirono meccanismi mentali, certo non ideologici. Pulsioni d’occasione, certo non culture politiche. Tattiche di svelta aderenza al kairos (l’attimo propizio, dicevano gli antichi; noi potremmo dire: la botta di fortuna) piuttosto che di meditata sintesi politica. Bravate nell’azzeccare la scelta di vita, nessun pensiero epocale, molta incoerenza ed una subcultura imparaticcia. Ad epitome di tale attitudine a rivendere banalità col tono dell’ultima frontiera del sapere politico, Giaccio colloca non a torto un autentico monumento di insipienza e di pochezza idealtipica, quell’esilarante Mein Kampf di Gianfranco Fini che or non è molto è stato pubblicato col minaccioso titolo Il futuro della libertà. Un solido testo che, per spessore speculativo e profondità d’analisi, Giaccio non esita a paragonare alla rubrica che una volta Donna Letizia teneva sui rotocalchi popolari, distribuendo consigli e precetti ai giovani a modo: «Il suo appiattimento sull’esistente è totale», commenta Giaccio parlando del presidente della Camera bassa, «come dimostra Il futuro della libertà, dove, all’interno della cornice letteraria di un discorso rivolto ai giovani, troviamo elencati e magnificati tutti i luoghi comuni indispensabili per entrare nell’establishment dalla porta principale». Gli slogan a vanvera – del tipo della «libertà nuova, senza frontiere e senza barriere, la libertà di costruire in autonomia…» - le parole che non costano nulla, i rosari perbenisti: questo il catalogo che i finiani offrono come dono avvelenato a quegli incauti giovani che avessero l’imprudenza di stare ad ascoltarli. Con, in più, la grande mossa fraudolenta, con la quale si conta di accalappiare qualche sprovveduto di passaggio. Il gioco di prestigio nel creare la formula “destra nuova”, il colpo da maestro dei finiani, per darsi un tono e un blasone ideologico, darebbe ad intendere una diretta parentela con la cosiddetta “Nuova Destra” gestita in Italia per qualche decennio da Marco Tarchi: solo che questa l’eresia la viveva davvero, e pestava duro – e ancora pesta - sul tasto anti-americano, anti-capitalista, anti-utilitarista, neo-ecologista, solidarista, etc.; mentre la “novità” della “destra” alla Campi-Fini si segnala per decrepitezza, essendo in tutto simile alla ricetta almirantiana di compiacere il padronato al potere ingurgitandone tutte le pietanze liberal-occidentaliste, e senza battere ciglio. Giaccio precisa: «la lettura “continuista” delle esperienze della Nuova destra e della Destra nuova, secondo cui il “seme innovativo” della Nd “avrebbe fecondato la nuova cultura politica di Fini”, è destituita di ogni fondamento, come ben sa chi conosce i testi e possiede anche solo un briciolo di onestà intellettuale».
Il solo fatto, aggiungiamo noi, di parlare di “cultura politica” a proposito dei finiani è già un azzardo dialettico: i riferimenti fatti dagli scarni pensatoi di Futuro e Libertà (dalla fondazione Farefuturo ai blogger “futuristi”, fino a certi recentissimi pasticci “fasciocomunisti” allestiti in provincia) sono tutti un programma: sempre ed in ogni caso si va nella direzione voluta dai padroni del pensiero unico e, senza deviare di un millimetro dai suoi interessi, si ammassano brandelli di Scruton e Popper, Kant e Dahrendorf, si butta là una citazione da Marinetti ma subito ci si precipita a recitare l’orazione atlantista, quella cosmopolita, mondialista, anti-nazionale, antieuropeista, etnopluralista,  sionista, magari strizzando l’occhio libertario alla lobby gay, così, per andazzo, per stare sull’onda: da tali pertugi si effettua l’uscita dal famoso “tunnel del fascismo”…Di fatto si recita l’antico copione almirantiano: ossequiare comunque il potere liberale e quello liberal, poi si vedrà. Lo direste un programma di “destra”? O invece qualcosa di “postfascista”? Un’occasione perduta? Un teatro dell’assurdo? Il libro di Giaccio – che ancora oggi è tra i più cocciuti collaboratori delle riviste tarchiane “Trasgressioni” e “Diorama” - va letto per schiarirsi le idee, per verificare i limiti di una classe politica che, lungi dall’avere qualcosa di nuovo, si presenta coi vecchi vizi congeniti ad un certo modo degenere di vivere all’italiana la politica. Giaccio, in poche ma ben condite pagine, parte da lontano, dall’8 settembre, dalle spaccature ideologiche che oggi si ricreano nell’odio compulsivo verso il tiranno mediatico, ripercorre i traumi del crollo del Muro e del polverone di Mani pulite, quelli che hanno accompagnato la “crescita della società civile” a suon di mutazionismi politici eterodiretti dai soliti noti. Critica l’universalismo cosmopolita cui tutti – di “destra”, di “centro”, di “sinistra” – si adeguano; analizza le sindromi della “destra” nostrana e di tutto il sistema della prima e seconda Repubblica, incentrato sull’accettazione passiva del modello liberaldemocratico occidentale. Irride il “patriottismo costituzionale” – versione coloniale di quello americano – e poi chiama a raccolta quei pochi – un Tarchi, uno Zolo - che mettono in guardia contro gli abbagli illuministici della modernità. Fa un quadro preciso di quel disastro politico che è oggi diventata la “destra” italiana. La sua è una parola di rilievo, poiché proviene da uno dei pochi osservatori radicalmente anti-sistema che ancora esistono, sia pure minoritari, spinti nell’angolo, ignorati. Da erede del progetto “Nuova destra”, quello vero, che avrebbe potuto rovesciare la politica italiana se solo avesse avuto una sponda politica, Giaccio non demolisce soltanto, ma ricorda quale era e avrebbe dovuto essere l’alternativa vera: «formulare un europeismo non autoritario e disposto ad allearsi col terzo mondo, favorire una presa di coscienza antioccidentale in quei settori della società civile che hanno manifestato un senso di profondo disagio verso il liberalcapitalismo». Giaccio è un osservatore politico con venature di poeta. Qualche anno fa ha scritto racconti di visione e di attesa, di panteismo e di infinito, di silenzio e di ascolto (Storie francescane, edizioni Controcorrente). Una specie di apologo pagano e nietzscheano sulle forze elementari della vita, ma viste sotto immagine cristiana. Che c’entra con la “destra”? C’entra. Era per dire che, senza una concezione “apocalittica”, senza un’ideologia della rivolta tellurica, radicale, ultimativa, senza raffinatezza di sensi e fame di abissi, la “destra” e la politica in genere rimangono al livello di una conversazione fra Fabio Granata e Andrea Camilleri.
                                                                                Luca Leonello Rimbotti   

4 commenti:

  1. Ormai le terminologie sembrano pongo, un materiale privo di forma che reca il pregio d'essere adattabile a tutte le forme. Dunque non è nulla, ma può essere tutto, ed all'occorrenza anche il contrario di tutto. Tanto basta poter "tirare a campare", come diceva il Divo Giulio in altra era politica, nell'attesa della prossima tornata elettorale per chi, nel tempo che fu, a braccio teso gridava "Boia chi molla!". Ma non scherziamo! Oggi il test delle urne è diventato l'unico metro di misura valido per la politica e nella politica. Parole quali "coerenza", "fede" (sì anche quella!), "onore" (una vera BESTEMMIA!!), ideologia ecc. sono bandite dal gioco del consenso. Non amo fare il Savonarola, ed ho visto troppi "duri e puri" nel mio percorso d’uomo di destra che hanno preferito talmente adagiati sul quieto vivere da sembrare degli zerbini. Quando ci furono le ultime regionali in Piemonte, ebbi l'idea di leggermi i programmi dei due candidati principali: Cota (destra se volete) e Bresso (sinistra se vi pare). Bene, due fotocopie. Questo m'induce a rafforzare la mia convinzione che ormai nessuno si prende più la briga, presso la classe politica, di rendersi differenziato, di voler emergere con delle soluzioni concrete ed innovative, basta cavalcare qualche slogan, fare crociate prive d’attinenza con le reali esigenze della nostra Italia, e nessuno andrà così a verificare se, dentro quei contenitori, esista una sostanza, oltre che una forma.
    Una sedicente "nuova destra" null'altro è se non l'ennesimo giochetto di parole, atto a celare il vuoto che circola nelle scatole craniche della classe politica nazionale. Non è qualunquismo, quello lo lascio a grillini, dipietristi e popoli colorati, altro non reco se non la sofferenza di chi la politica l'ama davvero, quale forma d'arte sublime di organizzare i popoli, ed una forma d'arte necessita di una schiatta di genio, non di un branco di penosi uomini (e donne) di mezza età, che avendo fallito da giovani, ora vogliono fare il lifting alla loro biografia. Io d’artisti della politica non ne vedo in giro, e l'Italia n’avrebbe un disperato bisogno.

    RispondiElimina
  2. Ho sottoposto questo articolo ai frequentatori abituali del blog. Mi sono pervenute parecchie risposte (grazie!), che possono essere raccolte in tre gruppi:
    - è un polpettone privo di interesse;
    - non occupiamoci delle miserie di questa politica e dedichiamoci ad argomenti che meritano la nostra attenzione;
    - non è vero che tra il MSI e Futuro e Libertà non è cambiato nulla, quella era una comunità che discuteva, affrontava i problemi e faceva politica, oggi quella comunità è stata annientata ed il responsabile di questo disastro ha nome e cognome.
    Sono ben contento che i commenti pervenuti siano stati (praticamente tutti) critici: non dubitavo che il blog sia letto da teste pensanti.
    Mi permetto solo di dissentire rispetto a chi dice che non bisogna occuparsi di queste miserie: sono tali, è vero, ma questa è la politica oggi in Italia, ed il disinteresse è comunque sbagliato,anche se ha il pregio di evitare il voltastomaco.

    RispondiElimina
  3. Troverai il tuo OTTIMIO spunto di riflessione posto su Contro In Formazione.

    RispondiElimina
  4. L'amico torinese Alberto mi invia una lunga mail in cui esordisce scrivendo di essersi accostato alla destra già avanti negli anni, ma mostra per le vicende di questa parte politica interesse e competenza. Merita leggerla perchè gli spunti di riflessione sono tanti:

    Da uno come me che si è avvicinato alla destra già avanti negli anni,
    la riflessione è quella che può essere, ma ci provo lo stesso. La
    destra al governo è un'occasione mancata. La destra "ghettizzata" (non
    sempre e non dovunque, e comunque la DC non sputava sui voti missini
    quando facevano comodo, salvo poi fare finta di niente - vero, Oscar
    Luigi?) era al suo interno un luogo di confronto e di apertura politica
    e sociale e non solo, come piacerebbe ad alcuni credere e far credere,
    una stanca / ottusa celebrazione di quanto accadde fino al 1945.
    Paradossalmente la rottura del contenitore ha disperso il fermento
    politico, che non ha portato frutto nelle sedi istituzionali.
    A mio parere le ragioni sono due. Da un lato, con poca speranza di
    governare, il partito non si era dotato di strutture / apparati idonei a
    far fruttare il fermento dei pensatori e della base. Lo sdoganamento
    berlusconiano ha colto di sorpresa?
    Dall'altro lato la parabola finiana, il tentativo di traghettare l'ex
    MSI in una destra "moderna" (? - a me pare che la Carta del lavoro non
    sia superata... Che vuol dire moderno: politicamente corretto,
    democratico, neutro e permissivo?) è stato spinto sino al taglio delle
    radici da parte del gruppo dirigente. Taglia di quà, taglia di là,
    colla proibizione delle camicie nere e dei saluti romani (come se la
    gente di destra non avesse altro da fare) si è sacrificato anche quello
    che era meno appariscente ma più succoso.
    In subordine, le poltrone hanno dato alla testa un po' a tutti. Anche
    a quelli che non hanno fatto il salto della quaglia; di destra cosa è
    stato fatto in RAI? Riconosco che disse bene Barbareschi, abbiamo fatto
    entrare le mignotte che non erano entrate col centro-sinistra.
    Abbiamo dunque ormai con FLI dei buonisti politicamente corretti che
    sono diventati dei democristiani. Sì, Fini e i suoi sono dei
    democristiani di ritorno nel terzo polo, ma senza lo spessore dei
    democristiani veri, forchettoni ma con una scuola e salde radici. A
    cosa si appoggia Fini?
    La destra è morta allora? Ma no, semplicemente le cose cambiano in un
    continuo equilibrio (penso al vecchio modello democrazia - oligarchia -
    monarchia). Ci sono i giovani: non solo casa Pound; anche se non sono
    iscritti a un circolo di destra e non sono etichettati nero d.o.c., non
    sono omologati e non respingono la riforma Gelmini senza averla letta
    (mi fanno ridere i ragazzi democratici che protestano quando c'è un
    ordine di scuderia). Ci sono quelli che non si fanno accecare dalla
    retorica democratica e vaglieranno il passato pacatamente, riscoprendo
    e adattando cose che a ben vedere erano già state impostate nel
    ventennio famoso. Se nel frattempo il politicamente corretto,
    l'economia disastrata (uno a zero per Prodi...) ci faranno toccare il
    fondo, non si potrà che risalire, ed il retaggio della destra, che
    rimane, tornerà utile.

    Sempre che l'economia non collassi, gli immigrati non ci superino di
    numero, assumano il controllo e l'italia rischi di diventare davvero una
    espressione geografica di austriaca memoria. Ma è già successo in
    passato e siamo risaliti. Diversi, ma portandoci le radici. E molto
    prima del 1945.
    Mussolini (come molti all'epoca) oscillò a lungo fra lo ius sanguinis
    e lo ius soli, ma da qualche parte scrisse che il fascismo accettava
    come italiano chi si riconosceva come tale e come tale agiva (Maria
    Uva..).

    RispondiElimina