sabato 7 maggio 2011

Ancora polemiche su Giovanni Gentile. L'ANPI: "rimuovete la salma!"

Sono anziano quanto basta per avere ancora studiato su testi scolastici che raccontavano la storia della filosofia come un disordinato elenco di opinioni casuali. Ora molte cose sono cambiate e gli studenti (e gli studiosi) hanno a disposizione analisi come quelle di Costanzo Preve, ed altri, che illustrano magistralmente l'evoluzione delle scuole di pensiero, i loro sviluppi, i loro percorsi.
I filosofi cessano di essere eccentrici estranei, li si può capire e conoscere, e ci si può riconoscere.
Queste analisi mi confortano nel mio antico convincimento che Giovanni Gentile sia stato l'ultimo epigono (in attesa del prossimo venturo) di una visione della realtà che certamente non può piacere a chi pretende una costruzione scientifica del mondo basata sulla sua matematizzazione sperimentale (il cui simbolo è Galileo) né a chi vorrebbe espellere dal mondo Dio e la sua oggettività (e qui il simbolo è Kant). Una visione della realtà molto ragionevole e molto "europea", realistica e non ideologizzata, che nel tempo riaffiora carsicamente: Platone, gli umanisti italiani, Hegel, e da ultimo - appunto - Gentile.
Ma ogni concezione della realtà è anche foriera di ben precise conseguenze pratiche e "politiche".
E quando si parla di politica non si va per il sottile.
Ecco perché - posto che so molto bene che oggi hanno vinto Galileo e Kant, e Gentile ha perso - la notizia che segue non mi stupisce neanche un po'.       

di Francesco Perfetti su “Il Tempo” del 2 maggio 2011 (da Storia in Rete)
Quello che è successo a Firenze, nei giorni scorsi, a ridosso delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è la dimostrazione che – malgrado gli appelli del Capo dello Stato a cercare «condivisioni» sul nostro passato – il tessuto morale del paese è profondamente lacerato. I fatti sono – non c’è parola migliore per descriverli – allucinanti. E avrebbero dovuto sollevare un’ondata di sdegno in tutta Italia. Eccoli. La sezione fiorentina dell’Anpi, con il plauso e l’adesione di personalità politiche locali di sinistra e centro-sinistra, ha chiesto la rimozione della salma del filosofo Giovanni Gentile dalla Basilica di Santa Croce a Firenze in quanto (è la motivazione testuale) «appoggiò il regime mussoliniano».
E, come conseguenza, ne ha proposto la traslazione in un cimitero comune. Non se ne farà, probabilmente, nulla, anche perché il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha definito l’iniziativa una inutile «provocazione» smentendo in tal modo il capogruppo del Pd che aveva definito la proposta «molto solida» e degna di essere «presa immediatamente in considerazione». Tuttavia il problema non è questo, non è nella fattibilità o meno di una proposta dissennata. Il problema sta nel fatto stesso che – ad oltre mezzo secolo dai fatti luttuosi della “guerra civile” – possa scaturire una proposta del genere, possa venire partorita cioè l’idea, balzana e priva di ogni base giuridica, che sia possibile rimuovere una salma, per le idee politiche del defunto, e spostarla da un cimitero, ritenuto evidentemente di serie A e con un grande valore simbolico, a un altro cimitero, considerato di serie B e quindi adatto a un nemico. Dietro questa proposta balorda – a meno che non ci sia un banale episodio di bassa lotta politica interna al centro-sinistra per mettere in difficoltà l’attuale sindaco di Firenze – c’è, con molta probabilità e assai più verosimilmente, il desiderio, fors’anche inconsapevole ma non per ciò meno pericoloso, di rifiutarsi di voltare le pagine del grande libro della storia e di voler mantenere vivo un clima di permanente «guerra civile strisciante».
Non è un caso, infatti, che, sui muri di Firenze, sia apparsa la scritta: «Gentile fascista eri il primo della lista, morte a te e a chi ti difende». Una scritta che evoca scenari sanguinosi sui quali, evidentemente, da certe parti non è calato il sipario. E che,anzi, taluni ambienti della sinistra vorrebbero riproporre trasformando l’antifascismo in antiberlusconismo. L’assassinio del filosofo avvenne il 15 aprile 1944 per mano di un commando di partigiani comunisti. Fu una pagina nera nella storia della Resistenza, un episodio che ancora imbarazza la Sinistra. Fu un assassinio privo di giustificazioni militari o politiche dal momento che Gentile non ricopriva cariche pubbliche, se non culturali, e, conosciuto per mitezza e disinteresse, si era pronunciato e adoperato per la riconciliazione degli italiani. Per molti, anche antifascisti illustri, la notizia del barbaro assassinio del filosofo fu un trauma. Indro Montanelli, che all’epoca era prigioniero della Gestapo a Gallarate, avrebbe riferito le sue reazioni con parole emblematiche: «Mi ci trovavo da molti mesi, e sempre avevo creduto di trovarmici dalla parte giusta: quella dei resistenti. Per la prima volta dubitai di essere dalla parte sbagliata: quella dei sicari».
In realtà, l’assassinio di Giovanni Gentile ebbe un significato politico e un significato filosofico. Dal punto di vista politico fu l’esito di una strategia maturata ai vertici del Pci e volta ad affermare il primato comunista alla guida del Cln mettendo in difficoltà la componente costituita dagli intellettuali allievi del pensatore. Dal punto di vista filosofico, rappresentò la sconfitta dell’egemonia culturale dell’”attualismo” e la sua sostituzione con quella del “gramscismo”. In altre parole, l’assassinio di Gentile rientrò in una strategia volta a consolidare la guida comunista della Resistenza e, al tempo stesso, a gettare le basi dell’egemonia culturale e politica del “gramsci-azionismo” nell’Italia liberata. Il che, sia detto per inciso, spiega il motivo per il quale attorno al nome del filosofo andò sviluppandosi una vera e propria damnatio memoriae che, periodicamente, torna a manifestarsi ogni volta che se ne presenti l’occasione: per l’apposizione di una targa o per l’emanazione di un francobollo ovvero per la proposta di intitolargli una via o una strada in quella Firenze al cui sviluppo intellettuale, ma anche economico, egli contribuì non poco. Tuttavia non era mai stato toccato questo limite: la voglia di profanare una salma in nome dell’antifascismo. Montanelli avrebbe parlato, probabilmente, del ritorno dei sicari.

1 commento:

  1. Tale notizia conferma - per quanto ce ne sia ancora bisogno - quanto a sinistra et similia (anpi) ci si ritrovi assai bene tra morti e cimiteri...

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