mercoledì 27 giugno 2012

Il governo Monti e il "contratto sociale".

Gli scritti di Francesco Mario Agnoli sono sempre acuti ed istruttivi, e mi rincresce di non averne postati finora abbastanza. Incomincio a rimediare con questa ineccepibile replica alle superficialità di Mister Monti.
Dal sito www.ariannaeditrice.it:

Il 21 giugno, intervenendo alla cerimonia per il 238° di fondazione della Guardia di Finanza, fra le altre cose Mario Monti ha detto che “l'evasione fiscale  mina il patto tra Stato e cittadini”.
   Probabilmente  molti filosofi  della storia e della politica troverebbero da ridire  sentendo  descrivere lo  Stato come un'entità distinta dai cittadini e  replicherebbero che i cittadini sono lo  Stato e metterebbero in campo, in luogo del patto montiano, il contratto  sociale, che, al di là delle definizioni del Rousseau, che in realtà hanno soltanto reso confuso un concetto altrimenti chiaro,  è un patto fra  cittadini, cioè fra eguali senza interventi di entità superiori..
   Tuttavia i filosofi hanno torto e Monti ragione, perché, soprattutto oggi, la situazione è esattamente   quella da lui descritta. Da una parte la  grande massa dei cittadini, dall'altra lo Stato, che si materializza o s'incarna nelle oligarchie  che, essendosi assicurate in esclusiva l'esercizio del potere, parlano, decidono, impongono in suo nome e quando ne avvertono la necessità, in particolar per scongiurare il rischio della protesta non più controllabile contro una casta eccessivamente chiusa e impenetrabile, scelgono  gli uomini (e le donne) da cooptare, dopo adeguato tirocinio,  nelle proprie fila.
   Ciò non toglie che  il patto invocato dal principe dei tecnocrati effettivamente esista. Perfino le tirannie ne hanno bisogno, perché le clausole del patto segnano il limite che gli oligarchi e gli stessi tiranni sanno di  non dovere superare    per non spingere il popolo a riprendersi con la forza il potere che gli appartiene. 
    Il patto Stato-cittadini  non deve essere necessariamente scritto e anche quando lo è rimangono molte clausole fondate sulla tradizione o sopra  taciti accordi specifici, materia per materia, di reciproca tolleranza (il fenomeno è stato particolarmente evidente negli ultimi anni dell'Unione Sovietica). In ogni caso nelle  democrazie il patto  ha quasi sempre forma scritta, si traduce nelle Costituzioni, soprattutto nei cosiddetti “principi generali”, che conservano  tracce  più o meno forti ed evidenti anche del  contratto sociale,  che, come si è appena detto,   se ne distingue perché  ha come parti contraenti unicamente  i cittadini. 
     Mario Monti ritiene l'evasione fiscale una grave violazione del patto Stato-cittadini  e potrebbe avere ragione se non fosse che  proprio  il suo governo (certamente non per primo, ma proseguendo ed aggravando pratiche  consuete  delle italiche  oligarchie di governo) ha a sua volta violato  alcune condizioni fondamentali  del patto, tanto importanti da meritare di essere espressamente  inserite nella Costituzione.  In particolare l'art. 47 che, fra le altre cose, impone alla Repubblica di favorire la “proprietà dell'abitazione”, e l'art. 53  che  rapporta il contributo dei cittadini alla spesa pubblica (cioè l'imposizione fiscale) alla loro capacità contributiva e stabilisce  la progressività dell'imposizione (cioè chi possiede di più è tenuto a partecipare alla spesa pubblica in misura anche percentualmente maggiore di chi possiede di meno).
    Semplificando al massimo  e attenendoci alla più stretta attualità (del resto qualunque cosa lui ne pensi anche Monti non passerà alla storia né della politica né dell'economia),  è evidente che entrambe  queste regole vengono  violate dall'Imu Questa, difatti, da un lato  ostacola l'accesso all'abitazione e addirittura  ne favorisce la dismissione e la  perdita a danno di molti che hanno avuto difficoltà a procurarsela e non possono più mantenersela,  e, dall'altro,   ha natura di  imposizione patrimoniale, che, in quanto prende in considerazione un unico fattore (possesso di beni immobili) prescinde completamente non solo dalla capacità contributiva (che viene in genere rapportata al reddito), ma  perfino dall'ammontare del patrimonio..
   Intendiamoci. Non sto sostenendo la legittimità dell'evasione fiscale, ma solo l'infondatezza  delle argomentazioni paragiuridiche di  mister Monti. L'evasione fiscale, che potrebbe configurarsi come un atto di legittima difesa nei confronti di  uno Stato (cioè di oligarchie) che per primo ha  violato  il patto Stato-cittadini), resta invece moralmente riprovevole e  illegittima  perché, comportando una distorta e iniqua distribuzione dei carichi fiscali (anche se eventualmente iniqui) fra evasori e non evasori, viola anche il contratto sociale, cioè il patto fra cittadini, che non vkiene meno per le inadempienze dello Stato.

domenica 24 giugno 2012

Documentario sulla guerra in Libia.

"La guerra umanitaria": ora in italiano il documentario di Julien Teil
La guerre humanitaire è un documentario del 2011 sulla recente guerra in Libia che, dopo aver avuto successo anche nell’edizione inglese (The Humanitarian War), grazie all’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) arriva finalmente in Italia.
La versione con sottotitoli in italiano (a cura di Giuliano Luongo e Daniele Scalea) è disponibile sul canale YouTube di Geopolitica [[clicca]].
Il documentario, della durata di poco meno di 20 minuti, è stato realizzato da Julien Teil, associato al Centre for the Study of Interventionism. Esso tratta di come le accuse, rivolte alle autorità libiche, di violazione dei diritti umani all’interno del paese abbiano portato ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e a un successivo intervento armato contro Tripoli. L’indagine si concentra in particolare sul ruolo della Lybian League for Human Rights (LLHR), che ha denunciato all’ONU i presunti crimini di Tripoli, ma che risulta fortemente collusa, in varie personalità e per le fonti delle sue accuse, col CNT che ha rovesciato il regime.
Si mostra dunque con quanta facilità la giustizia internazionale sia stata manipolata per un interesse di fazione interno alla Libia.

sabato 23 giugno 2012

Boeri, il genocidio di cui non si parla.

Nel pubblicare, sul numero di gen.-feb. 2012 della rivista Thule Italia, un "focus" dedicato al genocio dei Boeri, la redazione mi ha gentilmente chiesto un articolo introduttivo, che ho ricavato dalla mia relazione alla conferenza, sul medesimo tema, che si era svolta il 3.12.2011 a Milano.
Prima che gli amici frequentatori del blog proseguano nella lettura, desidero metterli in guardia. Il linguaggio ed i concetti non sono nè teneri nè politically correct. Qualcuno potrà sentirsi urtato nella sua sensibilità, e magari attaccherà la solita tiritera dicendo che i bianchi in Sudafrica se la sono voluta ecc. ecc.
Ricordo a tutti che i bianchi boeri non vollero affatto l'apartheid, deciso altrove ed imposto tanto ai bianchi quanto ai neri, e rispondo "preventivamente", fin d'ora, alle critiche ricordando che questo blog tenta di porsi di fronte alla realtà seguendo la scuola del realismo storico e politico: le anime belle che pensano che l'ideologia debba prevalere sulla realtà, si rivolgano altrove.    


UN'INTRODUZIONE
AL GENOCIDIO BOERO

Parlamento Europeo - Dichiarazione scritta sugli omicidi di agricoltori bianchi in Sud Africa presentata il 14.11.2011 dagli europarlamentari Philip Claeys (Belgio), Andreas Mölzer (Austria) e Fiorello Provera (Italia):
Il Parlamento europeo,
visto l'articolo 123 del suo regolamento,
A.        considerando che a partire dal 1994 oltre 3000 agricoltori bianchi sono stati uccisi in Sud Africa, spesso in circostanze atroci,
B.        considerando che anche i numerosi attacchi alle fattorie, nei quali non si sono registrate vittime, determinano un clima di terrore,
C.        considerando che la situazione è così preoccupante che nel settembre 2011 l'Ong Genocide Watch, con sede a Washington, ha modificato lo status del Sud Africa, facendolo passare dalla fase 5 (polarizzazione) alla fase 6 (preparazione),
D.        considerando che Julius Malema, leader dell'ala giovanile dell'African National Congress e secondo la rivista Forbes uno dei giovani più influenti in Africa, durante i suoi incontri fa regolarmente intonare la canzone "Dubhula iBhunu" ("uccidi il boero"),
E.        considerando che le organizzazioni degli agricoltori denunciano la scarsa considerazione che le forze di polizia e il governo hanno dimostrato nei confronti degli attacchi alle aziende agricole,
1.         sottolinea la sua preoccupazione per gli episodi di violenza in Sud Africa, indipendentemente dall'origine etnica delle vittime;
2.         rileva tuttavia la sistematicità degli attacchi agli agricoltori bianchi;
3.         invita l'Alto rappresentante per la politica estera a manifestare al governo sudafricano la preoccupazione del Parlamento europeo e a sollecitare l'adozione di misure che promuovano la sicurezza;
etc.

*   *   *
Il 3 dicembre 2011, a Milano, all'inizio della bella conferenza sul genocidio boero che si è svolta presso lo Spazio Ritter, ho incominciato il mio intervento introduttivo leggendo questa interrogazione scritta presentata da tre europarlamentari. Mi è parso opportuno esordire così, non solo perché la notizia dell'interrogazione era freschissima ed ancora sconosciuta in Italia, ma anche perché questo testo illustra bene le dimensioni del fenomeno. Più di tremila morti ammazzati su una popolazione residua di 40.000. Un clima di terrore per la sistematicità degli episodi di violenza (anzi, degli "attacchi": noi in Europa non siamo abituati a questi termini, vero?). Un ricchissimo leader del partito capital-comunista al potere (African National Congress) che può tranquillamente incitare la popolazione nera all'odio verso i bianchi, nell'indifferenza delle forze di polizia.     
E molto importante e appropriato, a mio avviso, è il riferimento fatto dai tre europarlamentari a Genocide Watch, un'organizzazione non governativa che si occupa di monitorare i genocidi che avvengono sul pianeta Terra. Da molto tempo Genocide Watch segue la vicenda del genocidio boero, e recentemente ne ha elevato il grado di criticità a 6 in una scala di sviluppo che va da 1 a 8. Fase 6 significa: "Le vittime vengono identificate e separate… Sono redatte liste di morte. Le vittime sono costrette a indossare simboli di identificazione. La loro proprietà sono espropriate. Sono spesso segregati in ghetti, deportati in campi di concentramento, o confinati…". E' agghiacciante, ma di questo stiamo parlando: in Sud Africa esiste ormai una pianificazione, una burocrazia dello sterminio dei bianchi boeri. C'è una macchina organizzativa che lavora  a questo fine: non si tratta di "tante" violenze singole, ma di una sistematicità dell'uso della violenza (nelle sue molte manifestazioni: gli omicidi ne sono una) con un obiettivo voluto e programmato.
Ora, è facile capire che, se l'ONU fosse una cosa seria, se non seguisse il criterio "due pesi e due misure", dovrebbe attivarsi, promuovere un intervento armato, invitare i Paesi "volenterosi" ad accorrere militarmente in soccorso della popolazione vittima di questo sterminio. Ma, ahimè, sappiamo molto bene che l'ONU non è una cosa seria, e quindi si guarda bene dall'assumere iniziative, preferisce voltare la testa dall'altra parte, così come i media occidentali evitano di occuparsi di un clamoroso caso di razzismo che sarebbe per loro molto imbarazzante: il razzismo dei neri contro i bianchi, un razzismo che non è solo antipatia o disprezzo, ma accanimento, volontà di sterminio… Il Sud Africa come lo Zimbabwe di Mugabe: un Paese devastato dall'odio razziale contro i bianchi: un odio razziale molto poco politically correct, che "non può" trovare spazio sulle colonne dei nostri quotidiani o nelle esternazioni di qualche prelato di professione tuttologo!  
*   *   *
La sventura del Sud Africa è di custodire nelle sue terre immense ricchezze naturali. Ovviamente i "poteri forti" (gli stessi burattinai che tirano i fili dell'African National Congress) non possono permettere ai bianchi boeri, legittimi abitanti di quelle terre e quindi naturali titolari di quelle ricchezze, di gestirle. Pertanto si sono sempre avvalsi dell'Impero "di turno" per soggiogare la popolazione locale ed imporre la loro volontà.
Inizialmente il servo utile è stato l'Impero Britannico. Guerra anglo-boera: 24.000 bambini boeri morti nei capi di concentramento britannici. Le cornamuse scozzesi poterono intonare la marce trionfali della guerra vinta, e le "grandi famiglie" (dai Rhodes in poi) non ebbero più ostacoli nel controllo delle miniere sudafricane di diamanti.
Poi il servo utile è stato l'Impero Comunista. Questa volta gli attori si chiamano Nelson e Winnie Mandela, il primo condannato all'ergastolo per terrorismo e la seconda ripetutamente condannata per reati contro le persone e per truffa. La frase celebre della dolce Winnie è: "Con le nostre scatole di fiammiferi e le nostre collane libereremo questo paese", riferendosi alla pratica delle "collane di fuoco" che consiste nel dare fuoco ad un pneumatico messo al collo della vittima. Sotto il regime del loro partito, l' African National Congress creato con i soldi di Mosca e del grande capitalismo, si sta attuando la soluzione finale: instillare nelle popolazioni nere un odio innaturale ed artificialmente indotto verso i bianchi al fine di realizzare il genocidio dei boeri. In realtà l'odio razziale è sempre stato un sentimento estraneo al nazionalismo boero, ma… chissenefrega, è così facile fare credere ai neri il contrario, far credere loro che i bianchi siano i nemici!
Queste stesse riflessioni ci aiutano a capire quanto sia importante e (passatemi il termine) “formativo”, per noi Europei del XXI secolo, afferrare i caratteri di questa carneficina e delle dinamiche sottese. Non voglio arrivare a sostenere che, quanto accade oggi in Sud Africa, accadrà domani a casa nostra, perchè so bene che le differenti specificità storiche e sociali dei due contesti renderebbero criticabile l’affermazione. Quel che intendo dire è che sono riconoscibili alcune corrispondenze e alcune “sovrapponibilità” a dir poco inquietanti. Come negare, infatti, che anche in Europa si stia assistendo ad una escalation di violenze tra i gruppi etnici, che i dati statistici indicano di dimensioni impressionanti? Come negare che, di pari passo con la crisi economica e sociale che sta devastando l'Europa, stia crescendo l’insofferenza tra le diverse collettività? Come negare il tangibile innalzamento della tensione tra immigrati e popolazione autoctona? Noi Italiani ci stupiamo ancora per fatti quali quelli di Oslo, di Liegi, di Firenze, ma nelle periferie delle città francesi, tedesche, inglesi, gli episodi di violenza razziale (europei contro extracomunitari, neri contro bianchi, ecc.) sono all’ordine del giorno! Come negare che il terreno di coltura di questi episodi sia rinvenibile in fenomeni (quale ad es. l’immigrazione incontrollata di massa) che sembrano voluti appositamente per ingenerare tensione? 
Politiche economiche e sociali mirate alla creazione di conflitti... Società sempre più povere, sempre più degradate, lacerate da sempre più gravi fratture...  E quindi popolazioni sempre più deboli, controllabili e manovrabili! Tutto casuale?? O forse quel ben preciso disegno politico e strategico che possiamo agevolmente intravedere dietro il genocidio boero è ravvisabile anche nel Vecchio Continente??
E’, questa, un'osservazione che richiederebbe un serio approfondimento. La consegno al lettore senza poterla, ora, maggiormente indagare, quale ulteriore spunto di riflessione per accostarsi alla lettura di questo fascicolo della Rivista.

mercoledì 20 giugno 2012

Oltre l'Occidente, il nuovo libro di Ida Magli.

Bell'articolo di Ida Magli in occasione della presentazione del suo ultimo libro, Oltre l'Occidente, alla Libreria Feltrinelli di Roma.
Da sito www.italianiliberi.it:

 Domani, martedì 19 giugno alle 18.00, siete tutti invitati alla Libreria Feltrinelli di Via Orlando in Roma, a discutere della situazione in cui ci troviamo, prigionieri di politici che hanno rinunziato al loro ruolo per permettere ai banchieri di distruggerci come “Nazione”, come “Stato”, come “popolo” attraverso un unico strumento, quello finanziario. Il libro che sarà presentato domani, parlandone insieme agli amici Barbara Palombelli e Giordano Bruno Guerri, si intitola “Dopo l’Occidente” perché io sono convinta che della nostra civiltà, italiana, francese, tedesca, di quella di tutti i Popoli d’Europa, non rimarrà nulla, sopraffatta dalle invasioni africane, musulmane, cinesi, ma soprattutto dalla volontà di ucciderci che anima i nostri governanti. I banchieri ne sono lo strumento più rapido e più spietato.
 Ma il libro è stato scritto anche con una segreta, disperata speranza: che ciò che affermo non avvenga; che parlandone, discutendone, mettendo il quadro davanti agli occhi di tutti, qualcuno sia spinto ad agire per impedirlo. Saremmo ancora in tempo, infatti, se domani, non più tardi di domani, l’Italia desse il segnale della ribellione al suicidio, della volontà di riappropriarsi di se stessa, della propria identità, della propria cultura, della propria storia, quella storia attraverso la quale siamo riusciti con tanta fatica e tanto coraggio a diventare liberi, liberi del dominio papale, del dominio austriaco. Liberi, liberi, liberi, ma vi rendete conto? Come si è potuto pensare di far ritornare gli Italiani ad obbedire agli stranieri? Chi ha potuto credere che gli Italiani, e non soltanto gli Italiani, ma tutti i popoli d’Europa non sarebbero morti, morti nell’anima, prima ancora che nelle proprietà e negli affari, così come appaiono oggi, nel trovarsi prigionieri e fustigati di volta in volta da un tal ignoto belga, da un talaltro ignoto tedesco, sudditi di un impero surreale, creato a tavolino da quei pochi potenti che aspirano al governo mondiale e che debbono necessariamente perciò distruggere le nazioni, i singoli popoli.
 L’Europa unita non esiste e non può esistere salvo che inducendo i popoli alla morte politica e civile; facendoli guidare, dominare da banchieri nel nome del denaro, della moneta. Oggi ne abbiamo avuto l’ennesima prova. La Borsa va male, come al solito, o perfino peggio del solito. Tutti quelli che credevano e speravano che in base ai risultati delle elezioni in Grecia, interpretati come una risposta “pro euro”, finalmente la Borsa avrebbe cominciato a dare qualche segnale positivo, esprimono il proprio disappunto come se davvero la catastrofe provocata dall’unificazione europea potesse essere annullata con il grido di sottomissione emesso dalla vittima all’ultimo respiro nel momento in cui il carnefice sta per stringerle definitivamente il cappio al collo. I Greci hanno appunto detto di sì perché avevano il cappio al collo. I governanti, politici e banchieri, che esultano per questo risultato, si rivelano per quello che sono: ripugnanti usurai che la penna di Balzac non sarebbe sufficiente a descrivere.
 La cosa più tragica, poi, è che non sono soltanto avidi usurai: tutti i banchieri, salvo le rare eccezioni di coloro che hanno accumulato grandissime ricchezze riducendo sul lastrico milioni di persone, sono di mediocrissima intelligenza e commettono enormi errori nella loro cupidigia come dimostrato dalle crisi di cui stiamo pagando il conto dal 2008 a oggi. Non sono stati forse i banchieri a scrivere il trattato di Maastricht, capolavoro d’ ignoranza e di falsità, a progettare la moneta che ci ha portato al disastro? Non c’è nulla di più vergognoso e di più stupido, quindi, che mettere a capo delle istituzioni di governo dei banchieri. Dobbiamo trovare il modo per liberarcene. Di questo vogliamo discutere domani, guardando allo scenario del “Dopo l’Occidente” con rigore critico ma anche con un ultimo filo di speranza.

domenica 17 giugno 2012

Monti svende l'Italia.

Propongo un'analisi di Massimo Ragnedda (giornalista e docente universitario) relativa alla genesi e agli scopi del governo Monti. Nessuna nuova rivelazione clamorosa, cose già note, ma esposte in modo chiaro ed ordinato. Un "Bignamino" da tenere sotto mano e rileggere ogni tanto, per ricordarci che cosa rispondere a quei pochissimi che ancora vanno dicendo che Monti "mette in sicurezza il sistema Italia...".
Dal sito mragnedda.wordpress.com:

Monti svende l’Italia per tutelare gli interessi delle banche d’affari e delle multinazionali

martedì 12 giugno 2012

Lo scandalo Fornero

Bell'articolo di Pietro Spataro, giornalista dell'Unità.  Mi fa un po' sorridere, però, il fatto che dalle parti di certa "sinistra" istituzionale si tema ancora che il governo Monti possa rivelarsi irresponsabile e non credibile: tranquilli compagni, che sia un governo irresponsabile e non credibile gli Italiani l'hanno capito da un pezzo!
Dal sito dell'Unità:

Questa volta elsa fornero ha superato se stessa: ha mentito al Paese. E ha mentito su un argomento che brucia sulla pelle di tanti lavoratori, stravolge la loro vita e sconvolge la serenità del loro futuro. Un ministro che tiene chiuso in un cassetto un dossier scottante come quello sugli «esodati» e che, pur conoscendo le cifre ufficiali certificate dall’Inps, continua a insistere su un numero di gran lunga più basso, compie sicuramente un atto grave. Che incrina il rapporto di fiducia e di rispetto che deve esserci sia con le parti sociali che con i partiti che compongono la «strana maggioranza» che sostiene il governo. In questo modo, insomma, si compromette seriamente il patto di lealtà politica.
Il caso degli esodati è uno degli effetti collaterali più iniqui della riforma del sistema pensionistico approvata dal governo di Mario Monti. Stiamo parlando di lavoratori che avevano concordato un percorso verso la pensione (concordato, si badi bene, con le aziende e con l’Inps) sulla base di una normativa vigente e che, all’improvviso, si sono ritrovati in mezzo al guado: senza più lavoro e senza possibilità di assegno pensionistico. L’allungamento dell’età, infatti, li ha ricacciati in una sorta di terra di nessuno senza alcun diritto e senza alcun sostegno. Non si tratta di “furbetti”, ma di persone che erano al lavoro e hanno accettato la cassa integrazione, la mobilità, hanno subito il licenziamento oppure hanno firmato accordi di fuoriuscita che gli consentivano di pagarsi i contributi volontari per arrivare alla pensione. In molti casi lo hanno fatto convinti da aziende in stato di crisi, che in questo modo hanno alleggerito i loro organici. Quel patto tra lavoratore, Stato e imprenditore è stato stracciato con una leggerezza impressionante.
Ma più impressionante ancora è il modo in cui il ministro Fornero ha gestito una vicenda umana delicatissima. I sindacati, il Pd e il centrosinistra sin dall’inizio avevano lanciato l’allarme sulle reali dimensioni della platea interessata a quel drastico taglio. Di fronte alla cifra di 330-350 mila lavoratori – indicata da Cgil, Cisl e Uil e che oggi appare persino drammaticamente sottostimata – il ministro ha sempre scrollato le spalle. Accusò addirittura, appena un mese fa, «chi ironizza» sui ritardi nel calcolo esatto degli aventi diritto: «Vengano a vedere le difficoltà degli screening che stiamo facendo», disse con tono perentorio. Quali fossero questi screening non è dato sapere. Sappiamo, invece, che alla vigilia dell’approvazione del decreto nella sede del Welfare è arrivato il dossier dell’Inps con quel numero drammatico (390.200) e che il ministro lo ha tenuto segreto, prevedendo una copertura solo per 65 mila lavoratori. Una grave, persino irresponsabile, scorrettezza. Avremmo preferito un discorso di verità: non ci sono i soldi per tutti, per il momento salviamo quelli che possiamo, nei prossimi mesi faremo di tutto anche per gli altri. Si è adottato invece un escamotage che non ha niente di tecnico e che finiva per lasciare il conto al prossimo governo. Che sarebbe stato costretto a intervenire, magari subendo anche l’accusa di aumentare la spesa pubblica da parte di qualche solerte commentatore di fede liberista.
Ma ora il dossier uscito dagli uffici dell’Inps mette fine all’indecente balletto dei numeri. Che ormai diventa di scarso interesse di fronte a un decreto già fortemente restrittivo e che contiene un grave errore di impostazione: partire dalle risorse per definire i numeri. Un percorso tanto più ingiusto se si pensa che il taglio alle pensioni è stato il più drastico tra quelli operati dal governo Monti. E allora, qualunque sia la cifra reale degli esodati, il governo deve assicurare subito che a tutti sarà garantito il diritto sacrosanto di andare in pensione. In Parlamento sono depositate proposte di legge che vanno in questa direzione e che il ministro potrà facilmente consultare. Non ci sono le risorse? Si devono trovare: usando, per esempio, i risparmi della spending review, una più efficace lotta all’evasione fiscale oppure mirate dismissioni. Quel che non si può accettare è che ci sia anche un solo lavoratore che alla fine resti senza salario e senza pensione. Perchè questo non è soltanto eticamente disdicevole o pesantemente iniquo ma è un colpo grave alla credibilità dello Stato.

domenica 10 giugno 2012

L'Europa è prigioniera della NATO

Fin quando certe cose le dico io, o qualche altro mattacchione che pretende di occuparsi, senza titolo, di geopolitica, è legittimo alzare una spalla. Ma quando incomincia a dirle un addetto ai lavori come l'ambasciatore Sergio Romano, la musica cambia...
Dal sito della rivista Geopolitica:


"Serve una politica estera distinta da quella degli USA" 



Il progetto di uno spazio comune tra Europa e Russia è auspicabile, ma reso impossibile dalla presenza di una NATO strutturata in funzione anti-russa che tiene l’Europa prigioniera della politica USA. Lo sostiene, in un’intervista esclusiva realizzata da Giacomo Guarini e pubblicata in Vent’anni di Russia, Sergio Romano, storico, giornalista e diplomatico, considerato uno dei massimi esperti italiani di Russia. Già ambasciatore a Mosca durante gli ultimi anni dell’URSS, oggi è editorialista di varie pubblicazioni (tra cui Il Corriere della Sera e Panorama). Ha insegnato alle università di Milano-Bocconi, Pavia, Sassari, Harvard e della California. Fa parte del Comitato Scientifico di Geopolitica.
Secondo Romano, la priorità della nuova presidenza Putin sarà e dev’essere la modernizzazione economica, per uscire dall’eccessiva dipendenza dall’esportazione di risorse naturali. Tale modernizzazione è una precondizione imprescindibile anche perché il progetto putiniano di Unione Eurasiatica abbia successo.
Commentando i rapporti tra Russia e Cina, l’ex Ambasciatore afferma ch’essi sono eccellenti, ma favoriti dalla comune necessità di arginare la potenza statunitense. Non si può escludere che si tratti solo d’una tregua, e che in futuro la tensione torni a salire.
Uno dei capitoli su cui Cina e Russia fanno fronte comune è quello relativo a Iran e Siria.
Secondo Romano al Cremlino non si desidera un Iran dotato dell’arma nucleare, ma si è consci che una caduta dei governanti a Damasco o Tehran rappresenterebbe una vittoria degli USA. «La Russia – ricorda l’ex Ambasciatore a Mosca – è portata a pensare che ogni vittoria americana si traduca nell’allargamento dell’area in cui gli Stati Uniti sono la potenza dominante. E questo non le piace».
Parlando dei rapporti tra Europa e Russia, Romano ritiene che sia auspicabile uno spazio comune “da Lisbona a Vladivostok”, e che questo progetto sia già proprio alla Germania. Tuttavia, è impossibile realizzarlo «finché esiste una NATO che è evidentemente strutturata in funzione anti-russa»; l’Europa è «in qualche modo prigioniera della NATO», mentre dovrebbe avere «una propria politica estera, distinta da quella degli Stati Uniti».
Lo scudo ABM degli USA è uno dei capitoli più spinosi dei rapporti con Mosca: «Non credo – afferma l’esperto storico e diplomatico – che i russi abbiano completamente torto quando si sentono potenzialmente minacciati da queste basi anti-missilistiche americane».
Venendo ai rapporti italo-russi, Romano non prevede che vi sarà un peggioramento col nuovo governo italiano. Berlusconi «non ha mai messo in discussione veramente la strategia degli Stati Uniti», e comunque Monti ha delle priorità di carattere economico-istituzionale che lo distrarranno dall’intervenire in maniera rilevante sulle relazioni estere.
L’intervista in forma integrale può essere letta in Vent’anni di Russia, il primo numero di Geopolitica.

mercoledì 6 giugno 2012

NATO: sette guerre chiamate "operazioni di pace".

...e visto che siamo in tema di provocazioni, prendiamoci questo pugno in faccia da Massimo Fini. Chè a volte i pugni fanno bene.
Dal sito www.massimofini.it:

Il 20 e 21 maggio si è tenuto a Chicago il summit dei 28 Paesi membri dell’Alleanza Atlantica. Sul Corriere Massimo Gaggi scrive che la Nato ha potuto celebrare "il successo della sua missione storica: un mondo che da oltre 60 anni non conosce vere guerre". Ah sì? In poco più di vent’anni la Nato, improvvisatasi, in nome di non si capisce bene quale diritto "poliziotto del mondo", ha inanellato sette guerre: primo conflitto del Golfo (1991), Somalia (1992), Bosnia (1995), Serbia (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), Libia (2011). 
In che senso queste non sono delle "vere" guerre? Perché le chiamiamo "operazioni di pace" o, preferibilmente, "missioni umanitarie"? Credo che oggi più nessuno oserebbe sostenere questa truffa linguistica. Più probabilmente per noi occidentali queste non sono vere guerre perché non hanno coinvolto i nostri territori e, grazie all’enorme superiorità militare e tecnologica, non c’è alcuna possibilità che li coinvolgano. Ma sarebbe difficile andare a dire ai circa 400mila civili iracheni, serbi, afgani, libici morti per causa diretta o indiretta, delle nostre aggresioni, delle nostre invasioni, delle nostre occupazioni e dei nostri bombardamenti ("effetti collaterali") che quelle che hanno subito non sono state delle "vere" guerre. Quattrocentomila vittime civili stanno in rapporto di 40 a 1 con quelle provocate, nello stesso periodo, dal terrorismo internazionale, Torri Gemelle comprese.
Al sicuro, sostanzialmente ancora ben pasciuti, preoccupati di mantenere con Activia la nostra "naturale regolarità", viviamo con la coscienza tranquilla mentre le nostre macchine belliche (perché ormai non combattiamo nemmeno più con gli uomini, con i soldati ma con i satelliti, con sistemi digitalizzati, con l’elettronica con i "droni", aerei senza equipaggio) perpetrano massacri su popolazioni più o meno lontane. Molto attenti alla nostra pelle abbiamo introiettato una totale indifferenza per quella altrui. Noi italiani abbiamo guardato con comprensibile orrore ciò che è avvenuto a Brindisi: quei corpi in fiamme, quelle membra semicarbonizzate, quei feriti a terra. Ebbene queste scene, e altre ancora più sconvolgenti, si ripetono quasi ogni giorno, a causa nostra, in Afghanistan e, sempre a causa nostra in Iraq perché con la demiurgica pretesa di portarvi la democrazia abbiamo scatenato una guerra civile fra sunniti e sciiti che sotto il pugno di ferro di Saddam non c’era. I giornali della "cultura superiore" coprono le guerre, pardon le "missioni umanitarie", dell’Occidente con l’omertà, le mezze verità, i silenzi.
Durante il summit di Chicago i Talebani hanno inviato ai Paesi della Nato un messaggio. Dice: "Ci rivolgiamo agli altri Paesi membri della Nato perchè non lavorino a favore degli interessi americani e rispondano alle richieste dei loro popoli ritirando immediatamente tutte le loro truppe dall’Afghanistan". In coda i talebani ringraziano Francois Hollande per aver anticipato a quest’anno il ritiro delle truppe francesi. Nessun giornale italiano ne ha dato notizia. Lo ha fatto l’Ansa, senza peraltro riferire il contenuto del messaggio ma solo per definirlo "minaccioso". A me pare invece molto civile, considerando che viene da uomini che da undici anni, pagando un tributo di sangue altissimo, si battono per la libertà del loro Paese da truppe di Paesi che, con violenza e arroganza, pretendono di sostituire i loro valori con i propri

Europa: la crisi oltre l'economia.

Nel commentare un articolo tratto dal sito "The European Concil on Foreign Realations", relativo ai recenti interventi del Presidente Obama sulla politica europea, Gabriele Gruppo propone un'analisi della crisi che, ad una lettura molto superficiale, potrebbe apparire soltanto provocatoria, ma che forse, invece, contiene importanti e profondi spunti di verità.
Dal sito wordpress.thule-italia.net:

Il presidentino americano Barak Obama, durante un recente comizio elettorale, s’è preso la briga di affermare che la crisi occidentale è sostanzialmente causata dai politici europei, rei di non riuscire ad adottare le misure necessarie capaci di risolvere le criticità che minano l’UE, e la sua moneta unica. Il cui riflesso destabilizzante sembra lambire anche gli USA.
Questa affermazione, che in tempi passati avrebbe messo in allerta il Vecchio Continente, è stata completamente ignorata; prova del fatto che nessuno in Europa (o quasi) ha più voglia di farsi dare “lezioni” dal maestrino di turno parcheggiato alla Casa Bianca.
Di problemi l’Unione Europea ne ha tanti, strutturali e contingenti, e le bacchettate d’oltre Atlantico servono solamente a irrigidire le posizioni divergenti tra i suoi Stati membri. Una vera azione dolosa, in linea con la pluridecennale dottrina politica di Washington d’ingerenza nelle questioni d’Europa.
Quindi, non è un caso che il cancelliere tedesco Merkel abbia dato il ben servito nella teleconferenza di fine Maggio, a tutte le stupidaggini che proferiva il bamboccio a stelle e strisce. Raccogliendo il tacito consenso del Presidente francese Hollande durante l’incontro virtuale. A quanto pare solo il Presidente del Consiglio italiano Monti appariva succube di Obama. Fatto che non ci lascia per nulla stupiti.
Questa premessa ci serve ad introdurre un più ampio spettro di riflessioni, corroborate dalla lettura del pezzo proposto, tratto dal sito The European Concil on Foreign Realations.
La crisi epocale che coinvolge l’Europa e l’Occidente sta travalicando l’aspetto puramente economico, per andare a coinvolgere le problematiche identitarie, sorte con l’avvento della globalizzazione.
In altre occasioni abbiamo avuto modo di affermare, e manteniamo tale convinzione, che il processo di omologazione planetaria, fondata sul materialismo economico, sia tecnicamente fallito, provocando quale reazione il riemergere di tutte le differenze insite nei popoli dei cinque continenti.
I contraccolpi dell’instabilità nell’area euro sui popoli che ne fanno parte, l’indebolimento del guinzaglio americano, e la complessa ridefinizione geopolitica tra Oriente e Occidente, sono alla base del parziale riemergere di quegli istinti naturali europei di carattere identitario, capaci ormai di manifestarsi nei modi più diversi.
I “colori” politici contano poco, l’aderenza a talune tradizioni ideologiche anche, visto e considerato che il risultato complessivo è la messa in discussione di quelle istanze imposte dal 1945, tanto alla Germania, in quanto forza motrice continentale, quanto alle altre nazioni d’Europa.
Se il freno al prorompere impetuoso di tali istanze si cela ancora in frange politico/dirigenziali, l’aggravarsi della crisi economica potrà solo incentivare la ricerca di una dialettica interna europea, che ponga mano in modo complessivo a tutta la struttura comunitaria: dalle regole di bilancio delle singole nazioni, al ruolo della BCE, dalla specificità delle strutture sociali delle regioni d’Europa, alla ricerca di uno sbocco geopolitico continentale nuovo.
Questa crisi potrà rivelarsi salvifica per l’Europa. Aprendo sbocchi d’indipendenza che sembravano perduti per sempre. L’attuale instabilità, il conseguente collasso dei vecchi progetti d’integrazione, potrebbero essere null’altro che una parentesi di drammatico riordino interno al Vecchio Continente, di una ridefinizione delle priorità dei popoli e degli Stati. Che ne siano consapevoli le attuali classi politiche europee poco importa. Il processo è avviato, il dado è tratto, e solo domando un simile processo storico darà modo di porre le fondamenta per un nuovo futuro; molto lontano da quello che sembrava previsto fino a pochi anni fa.

sabato 2 giugno 2012

La miopia della politica, o vogliono prenderci ancora in giro?

Il 5 giugno si svolgerà a Bruxelles, organizzato dal PPE, un convegno dall'impegnativo titolo: "L'Europa e il cambiamento necessario".
Tema, in apparenza, interessante e stimolante, quanto mai di attualità, che parrebbe l'occasione per mettere a fuoco le criticità dell'UE e della sua politica.
Ma se leggiamo il documento di presentazione (anche questo con un titolo mica da poco: addirittura "Appello agli Europei"!), viene il latte alle ginocchia: il vuoto totale, la parata delle banalità, che denotano ignoranza e totale assenza di comprensione dei fenomeni. O forse pensano di poterci prendere ancora in giro?
Ecco il testo:

Appello agli Europei
L'Europa e il cambiamento necessario

L'Europa sta attraversando la crisi economica e sociale, oltre che di leadership politica e istituzionale, più grave dal 1929, una crisi dovuta a una serie di scelte sbagliate, che rischiano di sprofondarci in una depressione economica da anni trenta e di dissolvere il progetto d’integrazione europea avviato nel dopoguerra da uomini illuminati.

L'Europa ha bisogno di politiche condivise dai suoi popoli e dagli Stati. Essa è oggi governata da un direttorio di governi che, oltre ad essere percepiti dai cittadini europei come lontani dai loro problemi e dalle loro aspirazioni, sono oggettivamente animati da scarsa comprensione dei problemi e delle aspirazioni altrui, perseguendo in modo quasi esclusivo un interesse nazionale di corto respiro e controproducente per gli interessi dell'Europa nel suo insieme.

Occorre un vero governo europeo democratico, cioè eletto direttamente dai cittadini in una prospettiva federale.

L’Europa ha bisogno di più unità e solidarietà tra i popoli e gli Stati. A questo si può arrivare più facilmente anche promuovendo una rete d’iniziative culturali, che rilancino e favoriscano lo sviluppo di un'identità e di una coscienza “patriottica” europea. 

C'è bisogno urgente di un grande cambiamento per la politica europea che deve, in questo drammatico momento di rischio involutivo, operare per lo sviluppo economico e sociale di tutti gli europei rispettando la loro dignità e riconoscendo la libertà umana come motore fondamentale di sviluppo all'interno di valori morali e sociali fondanti la convivenza civile.


Elementi irrinunciabili di questo cambiamento sono:
  • La riaffermazione della centralità delle radici spirituali e culturali cristiane e greco-romane della nostra Europa, nel rispetto e nella valorizzazione del contributo che alla costruzione dell'identità europea hanno dato anche le altre tradizioni religiose e culturali quantitativamente minoritarie, dagli albori fino ai giorni nostri;
  • La valorizzazione della piena libertà di educazione e d'impresa quali elementi indispensabili di reazione alla crisi globale e, in parallelo, la riduzione dell'intermediazione amministrativa nella gestione economica globale;
  • Il riconoscimento dei principi di responsabilità personale e di rappresentanza democratica quale base dell'azione individuale e politica, intesa quest’ultima come affermazione del bene comune e come servizio alla comunità;
  • L'applicazione del principio di "sussidiarietà" per regolare i rapporti fra l'Unione, gli Stati nazionali e i cittadini europei e di un approccio solidaristico che non sia di natura assistenziale, ma che miri ad aprire opportunità di sviluppo per tutti;
  • Il sostegno giuridico ed economico-sociale alla famiglia naturale basata sull'unione tra uomo e donna, fondamento della società;
  • Il pieno e concreto sostegno ai tentativi di formazione e divulgazione di una Storia europea, e non unicamente nazionale, nelle scuole di tutta l'Unione