domenica 24 febbraio 2013

Ancora poche ore...

Dai, ancora poche ore e ci saremo liberati di questa iattura che è la campagna elettorale. Rientreremo nella realtà e tutti, anche il nostro blog, torneremo alla realtà.
Intanto, proprio per ricordarci che la realtà esiste, merita leggere qualche riflessione sul penoso spettacolo offerto dal servile Napolitano alla corte di Re Obama. 
Da Il Manifesto del 19.2.2013:

C'è anche la Nato economica
 
Manlio Dinucci
 
«Amore per il popolo italiano»: lo ha dichiarato il presidente Obama ricevendo alla Casa bianca il presidente Napolitano «l'indomani di San Valentino». Perché tanto amore? Il popolo italiano «accoglie e ospita le nostre truppe sul proprio suolo». Accoglienza molto apprezzata dal Pentagono, che possiede in Italia (secondo i dati ufficiali 2012) 1.485 edifici, con una superficie di 942mila m2, cui se ne aggiungono 996 in affitto o concessione. Sono distribuiti in 37 siti principali (basi e altre strutture militari) e 22 minori. Nel giro di un anno, i militari Usa di stanza in Italia sono aumentati di oltre 1.500, superando i 10mila. Compresi i dipendenti civili, il personale del Pentagono in Italia ammonta a circa 14mila unità. Alle strutture militari Usa si aggiungono quelle Nato, sempre sotto comando Usa: come il Comando interforze, col suo nuovo quartier generale di Lago Patria (Napoli).
 «Ospitando» alcune delle più importanti strutture militari Usa/Nato, l'Italia svolge un ruolo cardine nella strategia statunitense che, dopo la guerra alla Libia, non solo mira alla Siria e all'Iran ma va oltre, spostando il suo centro focale verso la regione Asia/Pacifico per fronteggiare la Cina in ascesa.
 Per coinvolgere gli alleati europei in tale strategia, Washington deve rafforzare l'alleanza atlantica, anche economicamente. Da qui il progetto di un «accordo di libero scambio Usa-Unione europea», riproposto da Obama nell'incontro con Napolitano. Accordo che riscuote l'incondizionato appoggio del presidente italiano ancor prima che sia scritto e ne siano valutate le conseguenze per l'economia italiana (soprattutto per le pmi e le aziende agricole). Si tratta, sottolinea Napolitano, di «un nuovo stadio storico nei rapporti tra Europa e Stati Uniti, non solo economicamente ma anche da un punto di vista politico».
Si prospetta dunque una «Nato economica», funzionale al sistema politico-economico occidentale dominato dagli Stati uniti. Sostenuta dai grandi multinazionali, come Goldman Sachs. Il nome è una garanzia: dopo aver partecipato alla truffa internazionale dei mutui subprime e aver così contribuito a provocare la crisi finanziaria che dagli Stati uniti ha investito l'Europa, Goldman Sachs ha speculato sulla crisi europea, istruendo i suoi principali clienti su come fare soldi con la crisi e, subito dopo, piazzando al governo in Italia (grazie a Napolitano) il suo consulente Mario Monti. Il cui governo è stato subito garantito dal segretario del Pd Bersani come «autorevole e a forte caratura tecnica». Lo stesso Bersani, intervistato da America 24, dichiara ora che, «nella tradizione di governo del centrosinistra di assoluta fedeltà e amicizia con gli Stati uniti, siamo assolutamente favorevoli a che fra Europa e Stati uniti si creino meccanismi di libero scambio». Comunque vada il voto, l'adesione dell'Italia alla Nato economica è assicurata.
 

sabato 16 febbraio 2013

Nessuno è mai morto per il libero mercato!

Ragionando sul "libero mercato", Gabriele Gruppo ritorna con la memoria agli anni in cui frequentava quei posti poco eleganti che sono la "destra radicale" e la sua musica... Ne nasce questa riflessione (dal sito wordpress.thule-italia.net):

Ci domandiamo in questo periodo così carico di tensioni, in che misura ormai un modo d’interpretare l’economia abbia decisamente travalicato i suoi argini, invadendo ogni aspetto della nostra vita.
Quanto siamo condizionati dal libero mercato?
Tanto, troppo, per alcuni soggetti addirittura sarebbe impensabile che i popoli occidentali possano fare a meno di questa invadente e perniciosa presenza quotidiana, che sembra sempre più intenzionata ad accompagnarci in ogni fase dell’esistenza.
Da qualche giorno soffermiamo il pensiero su di una canzone della destra identitaria italiana (per chi non la conoscesse VEDI), in cui nelle strofe finali si afferma: “…non mi sembra siano morti gridando viva il libero mercato!”.
Il fulcro del problema sta tutto qui; nessuno è mai morto per il libero mercato, nemmeno coloro che l’hanno concettualmente partorito. Magari fossero morti prima di questo “parto”, ci saremmo risparmiati l’innesto di un mostro in seno alla civiltà occidentale, il cui frutto maturo ci sta rendendo succubi di un gioco al massacro fatto di speculazione criminogena, di finanza apolide, di regole fatte per non essere rispettate, ecc.
In fondo, ragionando bene, chi sarebbe disposto a morire per difendere questa nemesi di ogni vera cultura?
Forse solo un idiota o uno statunitense (che sovente sono sinonimi), di altri soggetti ne dubitiamo.
Popoli e nazioni possono fare a meno del libero mercato, ogni civiltà ha la capacità di elaborare nuove forme di organizzazione economica, stabilendo magari criteri etici e sociali più equi che non debbano dar conto del loro operato a coloro che hanno nel denaro virtuale una sorta di divinità, celebrata ogni giorno sui mercati.
Noi disprezziamo il libero mercato, e poco ci interessa quanto le nostre parole possano suonare demagogiche o retoriche. Meglio la retorica che gli indici di borsa, o le fluttuazioni del prezzo delle materie prima; vere armi di distruzione di massa, poste come una spada di Damocle sul futuro non solamente dell’Italia o dell’Europa ma dell’intero pianeta.
Cerchiamo di non far definitivamente surgelare le nostre radici da un’allucinazione!

La "democrazia" di Davos.

Lettura opportuna per accostarci con cognizione di causa all'ultima settimana di campagna elettorale.
Dal sito www.insorgente.com:

Il World Economic Forum di Davos del gennaio 2013 ha contribuito a chiarire, per chi non l’avesse ancora capito, la reale articolazione dei poteri nel mondo globalizzato contemporaneo.
Schierati a Davos abbiamo infatti potuto vedere, in carne ed ossa, gli invisibili, gli inarrivabili, gli egemoni; coloro che non alimentano il gossip, non compaiono in televisione, non vengono bersagliati dai giornali o insidiati dalla magistratura: il vertice del sistema finanziario dominante.
Il potere, nei diversi momenti storici, è di volta in volta conteso tra politica ed economia e, nella maggior parte dei casi le due sfere d’influenza coincidono: coincidono nelle fasi storiche di ascesa delle società, per la corale spinta verso conquiste di benessere e di solidità, determinata dalla coincidenza tra ideali forti e consolidamento dell’economia; divergono nelle fasi discendenti, nelle quali si perde la spinta ideale e l’obiettivo comune e si tende a vivere di rendita su quanto prodotto in passato.
L’Occidente all’avvio del Terzo Millennio si trova proprio in questa parabola recessiva di stanchezza e perdita di ideali: il capitalismo figlio della Rivoluzione Industriale, fatto di progresso tecnico e di impresa, è degenerato in capitalismo finanziario; la politica a sua volta, raggiunta la fase di stabilità e di pace dopo la seconda guerra mondiale, ha perso di impulso e si è ritirata, per mancanza di orizzonti per i quali valesse la pena spendersi, a fare da zerbino alla dittatura dei capitali, delle banche e delle finanziarie.
Chiarito lo scenario di fondo, possiamo collocare gli attori della rappresentazione contemporanea comprendendone il copione. In tal modo capiamo, ad esempio, come sia stato possibile il golpe strisciante che ha portato l’insipido Monti al potere SENZA CHE LA POLITICA ABBIA MOSSO UN DITO; comprendiamo l’unanime apprezzamento dello stesso Monti in Europa e sui maggiori giornali, e ci diamo una spiegazione per lo strisciante disprezzo e la derisione da sempre manifestata verso Berlusconi (uomo d’impresa e non di finanza), da parte di molti dei suoi colleghi europei.

In questo quadro ricollochiamo, nella corretta dimensione, il parlamento, i partiti, ed in generale il cosiddetto ‘potere’ politico. Senza ideali alti, la politica si ritrova a rappresentare la parodia del potere, in essa si trovano a proprio agio parassiti di ogni risma che, a costo di accomodarsi a vita su poltrone di privilegio, sono disposti ad ogni compromesso, facendosi dettare l’agenda dai Principi di Davos e subendo senza vergogna i dileggiamenti dell’opinione pubblica, dei giornali, dei pubblici ministeri e dimostrando in tal modo di essere solo delle marionette senza dignità, nelle mani di chi conta davvero.
In questo quadro si consuma la liturgia “democratica” delle elezioni, per la quale un popolo espropriato della sovranità finge di decidere delegando a rappresentarlo una classe politica di cortigiani al soldo dei Signori di Davos.

Luca Bertagnon