Crimini di guerra

IL CONTENUTO DI QUESTA PAGINA DEVE ESSERE AGGIORNATO ALLA LUCE DELLA DECISIONE DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA DEL 3.2.2012. IN ATTESA DELL'AGGIORNAMENTO, IL CONTENUTO DEVE ESSERE CONSIDERATO SUPERATO E NON PIU' ATTUALE. 

Grazie, ancora, agli amici di Thule Italia, mi è stata offerta la possibilità di pubblicare qualche riflessione e di divulgare qualche notizia sul tema, delicatissimo, dei crimini di guerra e dei crimini contro l'Umanità.
Il primo articolo è apparso nel 2010 sulla pagine della Rivista, il secondo (che del primo rappresenta, in un certo senso, una sorta di - non cercata - continuazione) è stato pubblicato sul sito Contro In Formazione nel settembre 2011.
Entrambi gli articoli non hanno pretese di completezza (ad es. non parlo mai del ruolo, importantissimo, del Tribunale Penale Internazionale dell'Aia), ma, come al solito, hanno soltanto lo scopo di fare arrivare al lettore notizie e nozioni che - per disinformazione o per eccesso alluvionale di informazioni - sono altrimenti difficilmente acquisibili.

(da Thule Italia, lug.-ago. 2010)
CRIMINI 

Gorla, Milano. Tarda mattinata del 20 ottobre 1944. Permettetemi di iniziare da lì, poi capirete perchè.
Quel giorno, all’alba, 103 B-24 appartenenti alla 15° Air Forse dell’USAAF erano decollati dalle basi pugliesi per un “trionfale” bombardamento di obiettivi industriali lombardi, obiettivi totalmente privi – a guerra di fatto ormai finita - di protezione aerea e contraerea. I bombardieri erano divisi in tre Bomb Group, il 461°, il 484° e il 451°. I primi due raggiunsero gli obiettivi, il terzo commise un incomprensibile (quasi “impossibile”) errore di rotta: prese senza apparente motivo una rotta di attacco deviata di 22 gradi verso destra invece che verso sinistra. La missione era fallita, il 451° group doveva rientrare alla base.
Così prosegue il racconto sul sito www.piccolimartiri.it:
Rimaneva il problema del carico: le bombe (circa 2200 Kg. ogni aereo) non potevano essere riportate a casa in quanto già innescate; il problema era di primaria importanza per l'incolumità dell'equipaggio. Una via per uscire da questa situazione poteva essere quella di proseguire per 140 gradi raggiungendo la campagna verso Cremona dove lo spazio per liberarsi dello scomodo carico non mancava, oppure lanciarle nel mare Adriatico sulla via del ritorno. Ma il comandante decise diversamente.
Non sappiamo e probabilmente non sapremo mai se la soluzione che scelse fu frutto di una sua decisione o se era prevista dal suo piano operativo, sappiamo però che in quel momento si concretizzò quello che possiamo definire uno dei peggiori crimini contro l'umanità nella guerra aerea di quegli anni, perchè egli ordinò agli altri velivoli di sganciare le bombe subito, sulla città, anche se sotto di lui non c'erano obiettivi militari ma solo abitazioni civili che poteva perfettamente vedere date le favorevoli condizioni meteorologiche.
Le conseguenze di quella decisione si manifestarono dopo tre minuti, dopo cioè il tempo necessario agli ordigni per raggiungere terra dall'altezza di lancio di circa 10.000 metri.
Trascorso infatti quel breve intervallo, durante il quale la popolazione vedendo cadere le bombe cercava di trovare riparo raggiungendo i rifugi sotterranei, l'abitato di Gorla raggiunto da oltre 37 tonnellate di esplosivo divenne l'inferno... vennero colpite case, negozi, officine ma una bomba più delle altre provocò una strage che avrebbe cambiato la vita del quartiere per sempre: quella che aveva centrato la scuola elementare "Francesco Crispi" uccidendo 184 bambini con i loro insegnanti ed alcuni genitori che al suono delle sirene d'allarme erano accorsi per portarli in salvo.
L'unico commento a quanto accaduto venne dal colonnello Stefonowicz del 49° Wing, da cui dipendeva il 451° group, che criticò pesantemente l'operato del gruppo, non tanto per aver sganciato le bombe dopo aver preso atto di essere fuori bersaglio (colpendo quindi la popolazione civile) quanto per il danno d'immagine che lo scadente lavoro di squadra aveva causato all'aviazione americana.
Nessuno venne mai chiamato sul banco degli imputati, nè a Norimberga nè successivamente, a rispondere di questa azione che era costata la vita, oltre ad altre centinaia di milanesi civili inermi, a 184 bambini italiani.
Sicuramente molti lettori avranno negli occhi il manifesto di Boccasile: la morte che arriva dal cielo sulle ali dei bombardieri yankee... Raccomando a tutti di andare a vedere le immagini sul sito, e se possibile di procurarsi il fascicolo “Il bombardamento: Gorla ricorda e racconta”. La fotografia sulla copertina del fascicolo ritrae solo cose, ma per me è la più agghiacciante: una fila di cartelle - di cuoio, come si usavano all'epoca –, sporche e strappate, estratte dalle macerie e accatastate lungo un marciapiede... Poche ore prima, nelle case, quelle cartelle erano state preparate come al solito da genitori e nonni... le matite temperate, il panino o la mela di metà mattina... qualche bambino sarà stato rimproverato perchè aveva perso di nuovo la gomma...
Non si stroncano così i sogni dei bambini. Non si uccide il futuro di una Nazione. “Signore Iddio, ti ringrazio per avermi salvata la vita e ti prego, a mani giunte, con tutto il cuore, di vendicare i miei poveri fratellini uccisi barbaramente dai Liberatori.” scriverà il giorno dopo la piccola Franca, 8 anni, miracolosamente sopravvissuta.
Nel 2007 ho avuto il privilegio di poter visitare il monumento e la cripta dedicata alle vittime, e di poter vedere le fotografie del bombardamento custodite presso la locale biblioteca, con la guida di due persone eccezionali: la sig.ra Graziella Ghisalberti, all’epoca scolara della scuola bombardata e scampata alla strage per una pura casualità, e suo figlio Armando, due persone che si sono dedicate a perpetuare il ricordo di quel crimine. Ho trascorso con loro un intero pomeriggio. La visita alla cripta, in cui riposano i resti dei piccoli martiri, è un’esperienza sconvolgente che dovrebbe essere resa obbligatoria per tutti, come le vaccinazioni. Ma non meno sconvolgenti taluni episodi che la sig.ra Graziella mi ha raccontato con modestia e serenità, senza enfasi, come quello dei genitori che, estratto finalmente dopo ore il cadavere del loro bambino, non potevano accettare che fosse morto, e così l’hanno portato in braccio a casa, dove l’hanno lavato e hanno cercato di rianimarlo con i sali...     
Parlando con la sig.ra Graziella e con suo figlio, ad un certo punto il discorso è caduto sulle responsabilità degli autori della strage, mai giudicati da alcun tribunale, ed i miei interlocutori mi hanno espresso la loro convinzione che ormai non ci fosse “più nulla da fare” e che i singoli parenti ancora viventi non avessero alcuna possibilità di prendere iniziative perchè, secondo loro, “una cosa così possono farla solo lo Stato o il Governo”.
Poichè questa è “materia mia”, cercai di spiegare loro che lo cose non stavano proprio così e che vi è stata una grande evoluzione giurisprudenziale in tema di “crimini internazionali”, con il riconoscimento, alle vittime di tali reati, di possibilità e strumenti giudiziali che fino a qualche tempo fa sarebbero stati inconcepibili. Non seppi però vincere la loro incredulità: ed è naturale, poichè io raccontavo loro cose di cui non avevano mai sentito parlare, e quindi non riuscivano a credermi.
Il solito maledetto problema: la disinformazione. Eppure, in un Paese come l’Italia che ha subito una spaventosa serie di crimini di guerra commessi dalle aeronautiche militari degli “Alleati”, tutti dovrebbero sapere - ma il realtà praticamente nessuno lo sa! - che dal 2004 il nostro ordinamento offre la straordinaria possibilità alle singole vittime (o eredi delle vittime) di avviare un’azione civile davanti ad un normalissimo Tribunale ordinario per fare dichiarare il carattere di “crimine contro l’umanità” delle azioni militari commesse in violazione dello jus belli che hanno provocato gravi violazioni dei diritti umani, e per ottenere un risarcimento economico dallo Stato di appartenenza delle forze armate responsabili di tali azioni.
Fino al 2004, come giustamente dicevano la sig.ra Graziella e suo figlio, le vittime godevano solo della c.d. “protezione diplomatica”: potevano avere un indennizzo dallo Stato responsabile del crimine solo se questo era  ottenuto in virtù di un accordo a livello interstatuale, ma esse non erano titolari di un vero diritto verso tale Stato direttamente azionabile in giudizio. 
Ma nel 2004 tutto è cambiato. Con la c.d. “sentenza Ferrini” (Cass. Sez. Un. 11.3.2004, n. 5044) la Cassazione ha affermato l’esistenza di una tacita regola di diritto internazionale in virtù della quale la repressione della violazione dei diritti umani si configurerebbe come principio fondamentale, di rango più elevato rispetto ad ogni altra norma. Da qui, il diritto di ogni soggetto, leso da crimini di guerra, di agire direttamente contro lo Stato di appartenenza delle forze armate responsabili, e questo persino quando in sede di trattati di pace lo Stato, di cui quel soggetto leso è cittadino, abbia rinunciato ad azioni risarcitorie. La circostanza, infine, che i crimini contro l’umanità siano imprescrittibili risolve la problematica connessa al lungo tempo trascorso tra la commissione degli stessi e l’azione giudiziale.
Successive pronunce della Cassazione (si pensi ad es. alle 12 ordinanze del 29.5.2008) hanno ribadito questo principio, a conferma del fatto che la “sentenza Ferrini” non è stata una decisione isolata ed “eccentrica” bensì veramente rappresenta il leading case di un nuovo orientamento.
Naturalmente, per affermare tale principio rivoluzionario la Cassazione ha dovuto affrontare e risolvere numerose questioni giuridica serie e complesse, che in questa sede sarebbe fuori luogo cercare di esporre. Quel che, però, è importante recepire è che l’azione giudiziale è possibile, in quanto quell’azione militare costituisca un crimine, cioè in quanto fosse un crimine allorchè fu compiuta. E’ un’ovvietà, ma questo aspetto va ben sottolineato per non cadere in equivoci: lo Stato di appartenenza delle forze armate è tenuto al risarcimento solo se l’operazione militare presentava caratteri criminali allorchè fu compiuta, e cioè solo se fu compiuta in violazione delle regole dello jus belli vigenti in quel momento. Come dire insomma, ad esempio, che mai si potrà chiedere il risarcimento alla Francia per le devastazioni provocate dalle truppe napoleoniche, per la semplice ragione che all’epoca delle guerre napoleoniche nessuna regola internazione vietava agli eserciti di condurre le operazioni belliche con tali modalità.
Si pone quindi – tornando al nostro tema – la necessità di capire se negli anni della II G.M. vigesse una regola di diritto internazionale che vietava il bombardamento aereo di obiettivi civili. Molti autori rispondono negativamente, ma è una risposta superficiale e sbrigativa. Bisogna considerare vari testi normativi. In primo luogo, le Convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907, che erano state ratificate dal Senato degli Stati Uniti nel 1902 e nel 1908. La Convenzione dell'Aja del 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra per terra, vigente all'epoca, recitava all'art. 25: "È vietato attaccare o bombardare, con qualsiasi mezzo, città, villaggi, abitazioni o edifizi che non siano difesi". A rigore non si parla di “bombardamenti aerei” (per la semplice ragione che nel 1899 e nel 1907 non si pensava alla guerra aerea!), ma il senso è chiaro.
Bisogna poi considerare che negli anni ’20 e ’30 le nazioni civili (o meglio quelle che per convenzione consideriamo tali...) sentirono la necessità di disciplinare la guerra aerea ed in particolare i bombardamenti, e furono quindi redatti testi denominati “Progetti di regole di guerra aerea” (L'Aia, febbraio 1923) e “Protezione delle popolazioni civili contro il bombardamento da l'aria in caso di guerra” (Società delle Nazioni, 30 settembre 1938) che estesero la tutela dei civili, inizialmente limitata alla guerra per terra, anche alla guerra aerea. Sarà anche vero, come quegli autori sostengono, che gli Stati Uniti non si sono mai impegnati formalmente su quei testi, ma, a fronte di tale elaborazione giuridica, nel 1940-45 era innegabile l’esistenza di una norma di diritto internazionale, universalmente accettata, di tutela dei civili dai bombardamenti aerei!
E c’è anche il riscontro oggettivo di quanto sto dicendo: Hermann Göring, comandante in capo della Luftwaffe, al processo di Norimberga del 1946 fu condannato (fra le altre cose) per crimini di guerra connessi ai bombardamenti della città di Londra effettuati a partire dal 1940! Gli States stessi quindi, a Norimberga, hanno affermato l’esistenza della norma di diritto internazionale che stiamo cercando!
Rimane da capire se vi sia in Italia un erede di una delle vittime di uno dei tanti bombardamenti terroristici che abbia voglia di avviare l’azione giudiziale a cui ha diritto: sarebbe un’iniziativa (quand’anche si concludesse con un risultato economico irrilevante o nullo) di immenso valore culturale ed etico, che aiuterebbe tutti a recuperare un rapporto maturo e consapevole con la nostra storia.
      

(dal sito Contro In Formazione, post del 6.9.2011)
QUESTA VOLTA I CRIMINALI SIAMO NOI
Quando, poco più di un anno fa, scrivevo l’articolo dedicato ai crimini di guerra, crimini contro l’umanità, violazioni dei diritti umani, che sarebbe poi stato pubblicato sul numero luglio-agosto 2010 della Rivista, le mie riflessioni erano rivolte al passato, ed in particolare ai bombardamenti aerei effettuati dai Liberatori contro obiettivi civili sul territorio italiano. A quei tragici episodi della nostra storia pensavo quando informavo i lettori della Rivista circa la possibilità, ora, di avviare cause per ottenere la condanna degli Stati responsabili. In quel momento, mai avrei immaginato che, di lì a pochi mesi, l’argomento sarebbe divenuto di terribile e scottante attualità.
Come il lettore avrà già compreso, mi sto riferendo alla guerra in Libia ed ai reportage di coraggiosi giornalisti non allineati e di pochi organi di informazione non istituzionali che, quotidianamente, denunciano accadimenti sconvolgenti perpetrati dalla coalizione NATO: massacri di civili; bombardamento di abitazioni e di strutture non militari; stragi nelle città di Tripoli, Sorman e Majar; ricerca e deliberato tentativo di assassinio, mediante bombardamenti mirati, di Muammar Gheddafi e dei suoi figli... Leggiamo di intere città prive di elettricità, gas ed alimenti a causa del blocco navale... leggiamo di centinaia di migliaia di esuli che si accalcano alla frontiera con il Niger per cercare di mettersi in salvo...    
Non so se sia vera, ma è certamente verosimile e ragionevole la notizia, che circola su internet, secondo la quale la famiglia Gheddafi avrebbe incaricato un avvocato francese, Philippe Missamou, di agire in giudizio per ottenere la condanna degli assassini dei loro congiunti. Certamente vera e riscontrabile è invece la notizia che un pool di avvocati francesi, tra cui l’ex Ministro degli Esteri Roland Dumas, si è messo a disposizione delle vittime dei bombardamenti per avviare analoghe azioni giudiziarie. E qui da noi si sta muovendo in tal senso anche la sezione italiana della IALANA, “International organization of lawyers against nuclear arms”, il cui portavoce ha recentemente evidenziato come anche l’uccisione di militari appartenenti all’esercito regolare libico (i c.d. “milizioni di Gheddafi” nella vulgata radiotelevisiva) è un crimine qualora non sia indispensabile per impedire azioni aggressive.
Però... c’è qualcosa che non mi torna.
Questi giornalisti (che, sia chiaro, meritano la nostra ammirazione e a quali deve andare tutta la nostra gratitudine per il servizio che rendono alla verità) e questi stuoli di avvocati (e tanto di cappello anche a loro) ragionano ed agiscono come se in un contesto generale (cioè la guerra) lecito e legittimo, si verificassero alcuni episodi illeciti (cioè alcune, singole, identificabili operazioni militari condotte in modo non legittimo).
Si discute insomma su "come" intervenire militarmente in Libia, non "se" intervenire militarmente: il "se" è, sostanzialmente, fuori discussione.
Temo che le cose non stiano così. Pur sforzandomi di condurre una disamina puramente giuridica e non politica (infatti vedete che, come sempre, parlo di diritto e non di politica), temo che tutta la guerra condotta sotto i simboli NATO, nella sua interezza, dal primo all’ultimo atto, sia illecita, illegittima, criminale e sicuramente foriera in futuro di gravissimi obblighi risarcitori per gli Stati che la stanno conducendo.  
In verità, nelle prime fasi della nostra partecipazione al conflitto vi è stata, in Italia, una certa quale polemica poichè alcuni commentatori (ad es. Michele Ainis su l’Espresso del 7.4.2011) hanno evidenziato che il nostro intervento insieme agli altri Stati “volenterosi” era precluso dall’art. 11 della Costituzione, che ammette solo la guerra difensiva, ed inoltre non si è mancato di denunciare i clamorosi errori procedurali commessi nell’iter di approvazione dell’intervento, nel quale è stato... “dimenticato” il Consiglio supremo di difesa, il cui ruolo era invece, e doveva essere, centrale ed imprescindibile.
Ma non è a questo che mi sto riferendo. Questi sono dettagli, cavilli. Se domani l’Italia sarà chiamata al banco degli imputati per i crimini a cui partecipa in Libia, nessuna importanza assumerà l’art. 11 della Costituzione o il ruolo svolto dalle mummie del Consiglio supremo di difesa. Il punto è un altro, come cercherò ora di spiegare.
Il diritto di guerra prevede i casi nei quali una guerra è lecita. In estrema sintesi, si tratta dei casi di legittima difesa; di esistenza di una reale, attuale e seria minaccia per la pace e la sicurezza internazionale (c.d. legittima difesa preventiva); di intervento in aiuto di uno Stato ingiustamente aggredito. Nel caso della guerra in Libia, è lampante l’insussistenza di alcuna delle suddette ipotesi, tuttavia “nessuno” dubita della legittimità di questa guerra per il semplice motivo che essa viene condotta sulla base di un risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la n. 1973/2011 del 17.3.2011. Addirittura si è sostenuto che questa risoluzione, non solo legittimerebbe l’intervento, ma lo renderebbe quasi obbligatorio; così ad es. Napolitano (su Il Messaggero del 21.6.2011): “E’ nostro impegno... restare schierati in Libia con le forze di altri paesi che hanno raccolto l’appello della Nazioni Unite... L’Italia non poteva rimanere inerte dinanzi all’appello del Consiglio di Sicurezza...”.
Insomma – a prescindere dal fatto che l’Italia si era schierata con gli eserciti aggressori già prima del 17.3.2011 poichè già in precedenza aveva dichiarato di mettere a disposizione le proprie basi - si va ad integrare il diritto tradizionale di guerra introducendo una nuova ipotesi di guerra lecita: la guerra deliberata da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Peccato che questa tesi rappresenti una vera bestemmia giuridica, frutto di clamorosa ignoranza o di totale malafede.
L’ONU non è una federazione mondiale, un “superstato” mondiale. Il Consiglio di sicurezza non è il governo nè il legislatore del mondo. Non siamo di fronte ad un ente sovrano che può deliberare a suo piacimento, ma di fronte ad un organismo internazionale i cui poteri sono circoscritti alle previsioni contenuto nel suo statuto, la Carta delle Nazioni Unite, e la cui attività e vincolata alle norme giuridiche, che non può disapplicare.
Mi permetto, a questo punto, di citare testualmente un autorevolissimo giurista, il Prof. Aldo Bernardini, le cui peculiari idee politiche nulla tolgono alla lucidità dell'analisi: "L’art. 2, n. 1, della Carta evoca la “sovrana eguaglianza di tutti i membri” e il n. 4 vieta l’uso della forza “contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”: l’Assemblea generale nel 1981 chiarisce “il diritto sovrano di uno Stato di determinare il suo sistema politico, economico, culturale e sociale… senza intervento, ingerenza sovversione… in qualsiasi forma dall’esterno” e il divieto di “abbattere o cambiare il sistema politico di un altro Stato o il suo governo”. Per il diritto internazionale non esistono forme statali vietate, sistemi autoaffermantisi come democratici o viceversa dittatori da respingere: lecite o no sono solo le specifiche azioni nei rapporti interstatali. Il regime statale rientra nelle scelte e nelle lotte delle forze interne di ogni Stato. Di fronte a rivolta interna è legittimo per il governo costituito di contrastarla. Senza interferenze. Il Protocollo II del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949 sul diritto bellico, tuttora vigente, stabilisce per gli Stati parti l’applicazione delle norme umanitarie ai conflitti armati interni (guerre civili, insurrezioni), ma senza che ciò possa invocarsi “per attentare alla sovranità di uno Stato o alla responsabilità del governo di mantenere o ristabilire l’ordine pubblico nello Stato o di difendere l’unità nazionale e l’integrità territoriale dello Stato con tutti i mezzi legittimi”: nulla “potrà essere invocato per giustificare un intervento, quale che ne sia la ragione, in un conflitto armato o negli affari interni o esterni” dello Stato in cui avviene il conflitto. È dunque impensabile quanto si va pretendendo nel senso che il vertice libico debba venire sostituito per volontà esterna, o che si interferisca nella guerra civile, addirittura con il sostegno di ogni genere ai ribelli, con gli attacchi armati contro le forze governative di contrasto all’insurrezione, con i riconoscimenti prematuri degli insorti… Se il C.d.s. potesse a sua discrezione travolgere i principii accennati sarebbe dittatore mondiale e padrone del diritto internazionale: il che non è. Qualora una decisione del C.d.s.  consentisse ciò o fosse interpretabile in tal senso sarebbe invalida. [grassetto nostro]".
Ma le parole del Prof. Bernardini – benchè già sufficienti a dimostrare che la guerra è priva di legittima giustificazione e quindi è illecita - non esauriscono l’argomento. C’è anche, ahimè, dell’altro, per quanto sia doloroso parlarne: il Trattato di amicizia tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica firmato a Bengasi il 30.8.2008. Questo trattato esiste, non è uno scherzo, non è mai stato revocato o sospeso (il fantasmagorico Ministro La Russa dice che è sospeso “di fatto”: balle, non esiste la sospensione “di fatto”!) e, come ogni trattato, fissa obblighi precisi per gli Stati firmatari, non obblighi “politici” come si è cercato di affermare, ma obblighi giuridici: un trattato è un contratto, se non lo rispetto, ne pago le conseguenze.
Il contenuto di questo trattato è agghiacciante (sulle riviste giuridiche specialistiche si preferisce l'aggettivo "imbarazzante"). L’art. 2 stabilisce “il diritto di ciascuna delle Parti di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale”. L’art. 3 fissa l’impegno di “non ricorrere alla minaccia o all’impiego dell’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte”. L’art. 4 sancisce il principio di “non ingerenza negli affari interni” di ciascuno dei due Stati e impegna l’Italia a “non usare nè premettere l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia”.
Insomma esattamente l’opposto di tutto ciò che abbiamo fatto. Un tradimento in piena regola. La tesi dell'ancor più fantasmagorico Ministro Frattini, secondo cui la risoluzione dell'ONU avrebbe tolto efficacia al trattato (seduta parlamentare del 24.3.2011), è così assurda e inconsistente da non meritare neppure una replica.        
L'illegittimità di questa guerra, e segnatamente della partecipazione italiana, è vistosa ed incontestabile. Scrive, usando parole più pacate ed "accademiche" delle mie, un giovane esperto di diritto internazionale, il Prof. Marco Benvenuti: "L'attuale situazione - per la sua indubbia gravità e le molteplici ricadute anche all'interno del nostro Paese - avrebbe richiesto una maggiore ponderazione delle scelte adottate…". Mi permetto di aggiungere (ed è l'unica notazione non giuridica del mio scritto) che questa situazione avrebbe richiesto una classe politica dirigente degna di questo nome.