giovedì 16 febbraio 2012

Guerre Valutarie.

Parlare del governo Monti e della politica economica di casa nostra dà una grande visibilità al blog (mai avute così tante pagine visitate!), che però, effettivamente, non era nato e non era stato pensato per occuparsi "solo" di questi argomenti.
L'articolo che posto ora è quasi una "rimpatriata" su temi di cui, se non vivessimo in questa emergenza quotidiana che richiama continuamente la nostra attenzione altrove, vorrei occuparmi molto di più.
Si tratta di un'analisi, a firma di Mahdi Darius Nazemroaya, pubblicata il 2 febbrario sul sito della rivista Eurasia, che offre spunti e riflessioni assai stimolanti intorno ai recenti sviluppi della "telenovela" iraniana e ci ripropone il tema importantissimo del ruolo delle valute nella politica degli Stati. Ne posto solo una porzione, poichè l'intero articolo è molto lungo, cercando di "centrare" la parte più significativa.  

Guerra Valutaria: quali sono i veri obiettivi dell’embargo petrolifero dell’UE contro l’Iran?

Contro chi è rivolto in realtà  il cosiddetto “embargo petrolifero contro l’Iran” dell’Unione Europea? Si tratta di una importante questione geostrategica. Oltre a rifiutare le nuove misure dell’UE contro l’Iran come controproducenti, Teheran ha messo in guardia gli Stati membri dell’Unione Europea che l’embargo petrolifero contro l’Iran danneggerà loro e le loro economie, molto più che non l’Iran. Teheran ha così avvertito i dirigenti dei paesi dell’Unione Europea che le nuove sanzioni sono stolte e contrarie ai loro interessi nazionali e comunitari; ma ciò è corretto? Alla fine, chi beneficerà della catena di eventi che vengono messi in moto?
L’embargo petrolifero contro l’Iran è nuovo?
L’embargo del petrolio contro l’Iran non è una cosa nuova. Nel 1951, l’amministrazione del primo ministro iraniano Mohammed Mossadegh, con il sostegno del parlamento iraniano, nazionalizzò l’industria petrolifera iraniana. In risposta al programma di nazionalizzazione del Dr. Mossadegh, gli inglesi bloccarono militarmente  le acque territoriali e i porti nazionali dell’Iran con la Royal Navy inglese, e impedirono all’Iran di esportare il suo petrolio. Inoltre impedirono militarmente il commercio iraniano. Londra congelò anche beni iraniani e iniziò una campagna per isolare l’Iran con le sanzioni. Il governo del Dr. Mossadegh era democratico e non poteva essere facilmente diffamato internamente dagli inglesi; così cominciarono a ritrarre Mossadegh come una pedina dell’Unione Sovietica che avrebbe trasformato l’Iran in un paese comunista con i suoi alleati politici marxisti.
L’embargo illegale navale internazionale britannico fu seguito da un cambio di regime a Teheran, attraverso un colpo di stato progettato dagli anglo-statunitensi nel 1953. Il colpo di stato del 1953 trasformò lo Scià di Persia da figura costituzionale a monarca assoluto e in un dittatore, come i sovrani di Giordania, Arabia Saudita, Bahrain e Qatar. L’Iran fu trasformato in una notte da monarchia costituzionale democratica in dittatura.
Oggi, un embargo petrolifero imposto militarmente contro l’Iran non è possibile, come lo fu nei primi anni ’50. Invece Londra e Washington usano il linguaggio della giustizia e si nascondono dietro i falsi pretesti sulle armi nucleari iraniane. Come negli anni ’50, l’embargo sul petrolio contro l’Iran è legato al cambio di regime. Eppure, ci sono anche più ampi obiettivi che vanno oltre i confini dell’Iran, legati al progetto di Washington d’imporre un embargo petrolifero contro gli iraniani.

L’Unione Europea e la vendita del petrolio iraniano
Il principale cliente del petrolio iraniano è la Repubblica Popolare Cinese. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) di Parigi, che fu creata dopo l’embargo petrolifero arabo del 1973 come ala strategica del Blocco occidentale dell’organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE), l’Iran esporta 543.000 barili di petrolio al giorno verso la Cina. Gli altri clienti di grandi dimensioni dell’Iran sono India, Turchia, Giappone e Corea del Sud. L’India importa 341.000 barili al giorno dall’Iran, la Turchia 370.000 barili al giorno, il Giappone 251.000 barili e la Corea del Sud 239.000 barili al giorno.
Secondo il ministero iraniano del Petrolio, l’Unione europea rappresenta solo il 18% delle esportazioni di petrolio iraniano, il che significa meno di un quinto delle vendite di petrolio iraniano. Solo “collettivamente” l’Unione europea è il secondo cliente più grande dell’Iran. In tutto i paesi dell’UE importano 510.000 barili al giorno dall’Iran. La posizione collettiva che tutti i paesi dell’UE importatori di petrolio iraniano hanno, è stato evidenziato da coloro che vogliono sottolineare l’efficacia dell’embargo petrolifero dell’Unione europea contro l’Iran.
L’Iran può sostituire le vendite di petrolio verso l’Unione europea attraverso nuovi acquirenti o incrementando le vendite ai clienti esistenti, come Cina e India. Un accordo iraniano per cooperare con la Cina per lo stoccaggio delle riserve strategiche cinesi, riempirebbe gran parte del vuoto lasciato dall’Unione europea. Così, l’embargo del petrolio contro l’Iran avrà minimi effetti diretti contro l’Iran. Piuttosto, è più probabile che uno qualsiasi degli effetti che l’economia iraniana subirà, sarà legato alle conseguenze globali dell’embargo petrolifero contro l’Iran.

L’Iran e la guerra globale delle valute
Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), sia il dollaro che l’euro costituiscono insieme l’84,4% delle riserve valutarie mondiali scambiate alla fine del 2011. Il dollaro statunitense da solo, compone il 61,7% di questo dato, costituendo la maggior parte delle riserve valutarie mondiali scambiate nel 2011. La vendita di energia è una parte importante di questa equazione, perché il dollaro statunitense è legato al commercio del petrolio. Così, il commercio di petrolio attraverso quello che viene chiamato petro-dollaro, aiuta a sostenere il prestigio internazionale del dollaro statunitense. I paesi di tutto il mondo sono stati praticamente costretti a utilizzare il dollaro statunitense per mantenere le loro esigenze commerciali e le loro transazioni energetiche.
Per evidenziare l’importanza del commercio internazionale del petrolio per gli Stati Uniti, tutti i membri del Gulf Cooperation Council (GCC) – Arabia Saudita, Bahrain, Qatar, Kuwait, Oman ed Emirati Arabi Uniti – hanno le loro valute nazionali ancorate al dollaro statunitense e sostengono il petro-dollaro col commercio petrolifero in dollari statunitensi. Inoltre, le valute di Libano, Giordania, Eritrea, Gibuti, Belize e di diverse isole tropicali nel Mar dei Caraibi, sono anch’esse tutte ancorato al dollaro statunitense. A parte i territori d’oltremare degli Stati Uniti, anche El Salvador, Ecuador e Panama ufficialmente utilizzano il dollaro statunitense come moneta nazionale.
L’euro invece è contemporaneamente sia un rivale del dollaro statunitense che una valuta alleati. Entrambe le valute lavorano insieme contro le altre valute, in molti casi, e sembrano essere sempre più controllati da centri di potere finanziario in fusione. A parte i diciassette membri dell’Unione europea, che utilizzano l’euro come moneta propria, il Principato di Monaco, San Marino e Città del Vaticano hanno la concessione di diritti e anche il Montenegro e la provincia serba a maggioranza albanese del Kosovo usano l’euro come valuta nazionale. Al di fuori dell’area dell’euro (zona euro), le valute di Bosnia, Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, in Europa, e le valute di Capo Verde, Comore, Marocco, Repubblica democratica di São Tomé e Príncipe e le due zone CFA in Africa, e le valute di diverse colonie occidentali extraeuropee, come la Groenlandia, sono tutte ancorate all’euro.
Diverse zone monetarie sono direttamente legate all’euro. In Oceania, il franco Comptoirs Français du Pacifique (PCP), chiamato semplicemente Franco del Pacifico (franc pacifique), utilizzato in un’unione monetaria alle dipendenze francesi di Polinesia francese, Nuova Caledonia e Territorio delle Isole Wallis e Futuna è ancorato all’euro. Come accennato in precedenza, le zone CFA in Africa sono anch’esse ancorate all’euro. Così, sia il franco della Comunità Finanziaria dell’Africa (Communauté financière d’Afrique, CFA) o franco CFA dell’Africa occidentale, viene utilizzato da Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo – che il franco della Cooperazione Finanziaria dell’Africa centrale (Coopération financière en Afrique centrale, CFA) o franco CFA dell’Africa centrale – viene utilizzato da Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica del Congo (Congo-Brazzaville), Guinea Equatoriale e Gabon -, hanno il loro destino legato al valore monetario dell’euro.
L’Iran non è alla ricerca di un confronto militare tra le crescenti ostilità con gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Nonostante la narrazione deformata che viene presentata, Teheran ha detto che chiuderebbe lo Stretto di Hormuz come ultima risorsa. Gli iraniani hanno anche detto che non lasceranno che le navi degli Stati Uniti o nemiche, attraversino le acque territoriali iraniane, loro diritto legale, e che invece le navi ostili possono attraverso le acque territoriali dell’Oman nello Stretto di Hormuz. Come nota a margine, tra l’altro, il problema per gli Stati Uniti e gli altri avversari dell’Iran, è che le acque dell’Oman nello Stretto di Hormuz sono troppo basse.
Invece di un confronto militare, Teheran sta reagendo  economicamente in diversi modi. Il primo passo, iniziato prima del 2012, sono stati la diversificazione della vendita e degli scambi internazionali del petrolio iraniano, riguardo le rispettive valute di transazione. Questo fa parte di una mossa calcolata dall’Iran per abbandonare l’utilizzo del dollaro statunitense, proprio come Saddam Hussein in Iraq fece nel 2000, come mezzo per combattere contro le sanzioni imposte all’Iraq. In questo contesto, l’Iran ha creato una borsa internazionale dell’energia in competizione con il New York Mercantile Exchange (NYMEX) e l’International Petroleum Exchange (IPE) di Londra, che operano entrambe con il dollaro statunitense per le transazioni. Questa borsa dell’energia, chiamata Kish Oil Bourse, è stata ufficialmente inaugurata nell’agosto del 2011 sull’isola di Kish nel Golfo Persico. Le sue prime operazioni sono state effettuate utilizzando l’euro e il dirhem degli Emirati.
Nel contesto delle rivalità tra di euro e dollaro statunitense, gli iraniani in origine volevano mettere l’euro in un sistema di petro-euro, con la speranza che la competizione tra il dollaro statunitense e l’euro potesse rendere l’Unione europea un alleato dell’Iran e scollegare l’Unione europea dagli Stati Uniti. Con le tensioni politiche crescenti con l’UE, il petro-euro è diventato sempre meno allettante per Teheran. L’Iran ha capito che l’Unione europea è sottomessa agli interessi degli Stati Uniti ed è guidata da capi corrotti. Così, in misura minore, l’Iran ha anche cercato di allontanarsi dall’euro.
Inoltre, l’Iran ha ampliato il proprio abbandono dell’uso del dollaro statunitense e dell’euro, come politica nelle relazioni commerciali bilaterali. Iran e India discutono di pagamenti in oro per il petrolio iraniano. Il commercio iraniano-russo viene condotto in rial iraniani e rubli russi, mentre il commercio iraniano con la Cina e altri paesi asiatici, viene effettuato utilizzando il renminbi cinese, Rial iraniano, yen giapponese e altre valute che non siano il dollaro e l’euro.
Mentre l’euro avrebbe potuto essere il grande vincitore in un sistema di petro-euro, le azioni dell’Unione europea hanno lavorato contro ciò. L’embargo petrolifero dell’Unione europea contro l’Iran ha solo piantato i chiodi nella bara. A livello globale, la matrice emergente del commercio e delle transazioni eurasiatici e internazionali al di fuori degli ombrelli del dollaro statunitense e dell’euro, sta indebolendo entrambe queste valute. Il Parlamento iraniano ha appena passato una legge che tagliare le esportazioni di petrolio ai membri dell’Unione europea che faranno parte del regime di sanzioni, fino alla revoca delle sanzioni petrolifere all’Iran. La mossa iraniana sarà un duro colpo per l’euro, soprattutto perché l’Unione europea non avrà il tempo di prepararsi per i tagli energetici iraniani.
Ci sono diverse possibilità che possono emergere. Uno di queste è che ciò potrebbe essere parte di quello che Washington vuole, e che potrebbe essere giocata contro l’Unione europea. Un altro è che gli Stati Uniti e specifici Stati membri dell’UE, stanno lavorando insieme contro i rivali strategici economici e altri mercati.

Chi se ne avvantaggia? Gli obiettivi economici non sono l’Iran…
La fine delle esportazioni di petrolio iraniano verso l’Unione europea e il declino dell’euro vanno direttamente a beneficio degli Stati Uniti e del loro dollaro. Ciò che l’Unione europea sta facendo è semplicemente indebolire se stessa e consentire al dollaro statunitense di avere il sopravvento nella sua rivalità nei confronti dell’euro. Inoltre, qualora vi fosse il crollo dell’euro, il dollaro statunitense riempirà rapidamente gran parte del vuoto. Nonostante il fatto che la Russia possa beneficiare dei prezzi del petrolio e di una maggiore leva sulla sicurezza energetica dell’Unione europea come fornitrice, il Cremlino ha anche messo in guardia l’Unione europea che sta lavorando contro i propri interessi, subordinandosi a Washington.
Molte importanti questioni sono in gioco, circa le conseguenze economiche dell’aumento dei prezzi del petrolio. L’Unione europea sarà in grado di resistere alla tempesta economica o al collasso della valuta? Ciò che l’embargo petrolifero dell’Unione europea contro l’Iran farà sarà destabilizzare l’euro e creare una valanga globale, danneggiando le economie extra-UE. A questo proposito, Teheran ha avvertito che gli Stati Uniti mirano a danneggiare le economie concorrenti mediante l’adozione delle sanzioni petrolifere dell’UE contro l’Iran. All’interno di questa linea di pensiero, questa è la ragione per cui gli Stati Uniti stanno cercando di costringere Cina, India, Corea del Sud e Giappone in Asia, a ridurre o tagliare le importazioni di petrolio iraniano.
Nell’Unione Europea, saranno le economie dei membri più fragili e in lotta, come la Grecia e la Spagna, che saranno ferite dall’embargo  petrolifero dell’UE contro l’Iran. Le raffinerie di petrolio nei paesi dell’Unione europea che importano petrolio iraniano, dovranno trovare nuovi venditori come fonti e saranno costrette ad adeguare le loro operazioni. Piero De Simone, uno dei leader dell’Unione Petrolifera d’Italia, ha avvertito che circa settanta  raffinerie di petrolio dell’UE potrebbero essere chiuse e che i paesi asiatici potrebbero iniziare a vendere petrolio raffinato iraniano all’Unione europea a scapito delle raffinerie locali e della locale industria petrolifera. Nonostante le rivendicazioni politiche in sostegno all’embargo petrolifero contro l’Iran, l’Arabia Saudita non sarà in grado di colmare il vuoto delle esportazioni petrolifere iraniane verso l’Unione europea o altri mercati. Una carenza di forniture di petrolio e i cambiamenti della produzione potrebbero avere effetti a spirale nell’Unione europea e sui costi di produzione industriale, dei trasporti e sui prezzi di mercato. La previsione è che che l’UE effettivamente aggraverà la crisi nella zona euro o eurozona.
Inoltre, l’aumento continuo dei prezzi, che vanno dal cibo ai trasporti, non sarà limitato all’Unione europea, ma avrà ramificazioni globali. Coll’aumentare dei prezzi su scala globale, le economie in America Latina, Caraibi, Africa, Medio Oriente, Asia e Pacifico si troveranno ad affrontare nuove difficoltà, mentre il settore finanziario negli Stati Uniti e di molti dei suoi partner – tra cui i membri dell’Unione europea – potrebbe capitalizzare attraverso l’acquisizione di alcuni settori e mercati. Il FMI e la Banca Mondiale, in rappresentanza di Bretton Woods a Wall Street, potrebbero gettarsi nella mischie e imporre altri programmi di privatizzazione a vantaggio dei settori finanziari degli Stati Uniti e dei loro principali partner. Inoltre, come l’Iran decide di vendere il 18% del petrolio e di smettere di vendere ai membri dell’UE, sarà inoltre un fattore di mediazione.

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