lunedì 3 ottobre 2011

Incultura politica di una classe dirigente

Non so se stia capitando anche a voi. Io, in questi ultimi giorni, chiacchierando con amici e conoscenti, vedo che sta aumentando con soprendente rapidità la diffusa convinzione che l'Italia sia ormai totalmente priva - tanto nella politica interna quanto in quella estera - di una guida e di un percorso da seguire. Chi siede alla barra del timone è considerato ormai dall'opinione pubblica un navigatore allo sbando che ha irrimediabilmente perduto la rotta. Proprio oggi pomeriggio ho sentito invocare anche per l'Italia una rivoluzione sul tipo delle "primavere arabe", chè tanto peggio di così!
Temo che non siano solo sfoghi e che, al contrario, si incomincino ad aprire gli occhi sulla realtà...
Questi pensieri mi richiamano alla mente un (eccellente come sempre, anche laddove meno condivisibile) editoriale di Tiberio Graziani apparso su un numero della rivista Eurasia dell'anno scorso. Ve ne propongo un breve stralcio.

Un Paese a sovranità limitata

Nonostante l’invidiabile posizione geografica e a dispetto dei caratteri che ne costituiscono la struttura morfologica, attualmente l’Italia non possiede una dottrina geopolitica.
Ciò è dovuto principalmente ai tre seguenti elementi: a) l’appartenenza dell’Italia alla sfera d’influenza statunitense (il cosiddetto sistema occidentale); b) la profonda crisi dell’identità nazionale; c) la scarsa cultura geopolitica delle sue classi dirigenti.
Il primo elemento, oltre a limitare la sovranità dello Stato italiano in molteplici ambiti, da quello militare a quello della politica estera, tanto per citare i più rilevanti per l’aspetto geopolitico, ne condiziona la politica e l’economia interne, le scelte strategiche in materia di energia, ricerca tecnologica e realizzazione di grandi infrastrutture e, non da ultimo, ne vincola persino le politiche nazionali di contrasto alla criminalità organizzata. L’Italia repubblicana, a causa delle note conseguenze del trattato di pace del 1947 ed anche in virtù dell’ambiguità ideologica del proprio dettato costituzionale, per il quale la sovranità apparterebbe ad una entità socioeconomica e culturale, peraltro mutevole e vagamente omogenea, il popolo, e non ad un soggetto politico ben definito come lo Stato, ha seguito la regola aurea del “realismo collaborazionista o claudicante”, ovverosia la rinuncia alla responsabilità di dirigere il proprio destino. Tale abdicazione situa l’Italia nella condizione di “subordinazione passiva” e lega le sue scelte strategiche alla “buona volontà dello Stato subordinante”.
Il secondo elemento inficia uno dei fattori necessari per la definizione di una coerente dottrina geopolitica. La crisi dell’identità italiana è dovuta a cause complesse che risalgono alla mal riuscita combinazione delle varie ideologie nazionali (di ispirazione cattolica, monarchica, liberale, socialista e laico-massonica) che hanno sostenuto il processo di unificazione dell’Italia, l’edificazione dello Stato unitario e, dopo la parentesi fascista, la realizzazione dell’attuale assetto repubblicano. La crisi dell’identità nazionale è dovuta, inoltre, anche alla mal digerita esperienza fascista e al trauma della perdita della guerra. La retorica romantica dello stato-nazione, il mito della nazione e, successivamente, quelli della resistenza e della “liberazione” non hanno reso certamente un buon servizio agli interessi dell’Italia, che, a centocinquanta anni dalla sua unificazione, è ancora alla ricerca della propria identità nazionale.
Il terzo elemento, infine, in parte ricollegabile per motivi storici ai precedenti, non permette di collocare la questione delle direttrici geopolitiche dell’Italia tra le priorità dell’agenda nazionale.

Nessun commento:

Posta un commento